di Patrizio Gonnella su il manifesto del 22 febbraio 2018
Nel nome della sicurezza – presunta, possibile, percepita, nazionale, democratica – si sta per concludere la campagna elettorale. Non è la prima volta e non sarà l’ultima. Di sicurezza c’è chi si nutre come le sanguisughe. Di sicurezza però anche si muore, perché come un boomerang prima o poi colpisce chi l’ha lanciata.
Un rapido sguardo al passato è utile per sgombrare il campo da promesse di un mondo migliore fatto di italiani con la fedina penale pulita. La Lega oggi monopolizza il dibattito, lo egemonizza culturalmente. La Lega però ha già governato la giustizia e la sicurezza in questo Paese sin dal 1994 quando sottosegretario alla giustizia era addirittura Mario Borghezio. Nel 2001, nel secondo governo Berlusconi, l’ingegnere leghista Roberto Castelli diventa ministro di Giustizia e lancia un improbabile piano di edilizia penitenziaria.
Il mantra della destra è sempre quello: vanno costruite nuove prigioni. Altro che depenalizzazione, legalizzazioni varie, misure alternative. Così l’ingegnere istituisce la società Dike Edifica, che avrebbe dovuto valorizzare il patrimonio immobiliare penitenziario con innovative operazioni di leasing. Progetti faraonici milionari finiti come era prevedibile in rosso. La società è messa in liquidazione nel 2007. Una bella figuraccia condita da inchieste di corruzione.
Nel 2010 compare un Piano carceri made Berlusconi. Finto male, anche quello. Nel 2018 si riscrivono le stesse fandonie. Nel programma per Salvini premier c’è un intero capitolo dedicato alla riforma penitenziaria che prevede la «completa e piena attuazione di un piano straordinario per le carceri con investimenti straordinari sull’edilizia penitenziaria e messa in sicurezza o in funzione delle 38 carceri fantasma al fine di aumentare la capienza dei posti».
Peccato che quelle carceri fantasma erano lì dal 2001 quando Castelli e il suo amico ingegnere leghista Giuseppe Magni ci hanno lasciato in eredità inchieste penali, contabili e un sistema al collasso. Nel programma di Salvini c’è anche spazio per l’abrogazione del reato di tortura definito penalizzante per le attività delle forze dell’ordine. La tortura a suo dire deve essere lecita. Messaggio chiaro a chi indossa una divisa: vi garantiremo impunità. La stessa impunità di Genova 2001.
Anche Berlusconi evoca la retorica della paura. «Serve più sicurezza per tutti, per donne anziani e bambini. Un reato di strada al minuto e un furto in appartamento ogni 2 minuti». Peccato che nel 2012 quando ministro degli Interni era il leghista Roberto Maroni rapine, violenze sessuali e omicidi erano più di oggi. Peccato, per chi ha sollevato la bolla degli stranieri cattivi, che nel 2007 quando gli immigrati presenti in Italia erano la metà rispetto a oggi, i detenuti stranieri erano circa il 37% del totale della popolazione detenuta contro il 34% odierno.