I contatti con l’esterno ed i rapporti con i familiari
Tutti convengono sull’importanza di mantenere contatti con la propria famiglia per rendere la detenzione meno disumana e per evitare l’implosione dei legami familiari, ma non tutto quello che si poteva fare è stato fatto
Se sarà approvata la riforma della legge carceraria voluta dal ministro della Giustizia Andrea Orlando (cosa che al momento in cui scriviamo non possiamo ancora sapere), fin dall’articolo 1 il trattamento penitenziario dovrà tendere al reinserimento sociale “prioritariamente” – e non “anche”, come nella legge vigente – attraverso i contatti con l’ambiente esterno. Se sarà approvata la riforma, la legge sancirà il diritto a essere detenuti in istituti prossimi al luogo di residenza della famiglia o al proprio centro di riferimento sociale e a non venire trasferiti verso destinazioni casuali a seguito di sfollamenti dettati dagli alti numeri di presenze. Se mai sarà approvata la riforma, sarà garantita per legge alle persone detenute la possibilità di comunicare con i propri cari facendo uso delle nuove tecnologie. E, se sarà approvata la riforma, i contatti con l’ambiente esterno includeranno il diritto a una libera informazione, anche attraverso il web. Nonché, in direzione opposta, il diritto a esprimere le proprie opinioni.
La riforma non è ancora approvata e chissà se lo sarà mai. Ma i contatti tra dentro e fuori il carcere, l’attenzione ai legami con gli affetti esterni, la facilitazione delle comunicazioni sono tutti elementi cui già l’ordinamento attuale dà grande rilievo e sui quali inoltre la “commissione di studio in tema di interventi in materia penitenziaria”, costituita dall’allora ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri all’indomani della sentenza Torreggiani, aveva dato indicazioni nette e puntuali. La commissione, guidata dall’attuale Garante dei diritti dei detenuti Mauro Palma, dedicò un capitolo della propria relazione conclusiva agli “Interventi di ridefinizione della quotidianità carceraria realizzabili nel breve periodo”, all’interno del quale un lungo paragrafo era intitolato a “I rapporti con il mondo esterno”.
Favorire i contatti con il mondo esterno
Nella relazione erano indicate alcune modifiche organizzative di facile realizzazione capaci di facilitare i rapporti con l’esterno, in primo luogo estendendo “al massimo le possibilità di fruizione dei colloqui da parte dei detenuti”. I colloqui, si leggeva, dovranno “essere organizzati su sei giorni alla settimana, prevedendo almeno due pomeriggi per i minori che vanno a scuola. Si garantirà, comunque, a rotazione, il giorno di riposo settimanale degli operatori. Va sottolineato che i colloqui dovranno essere previsti, come da Regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario, anche nei giorni festivi (ciò aiuterà a risolvere una endemica criticità del carcere: la limitata performance lavorativa dei detenuti rispetto agli uomini liberi, che scoraggia i datori di lavoro) (…). Nella buona stagione i colloqui avverranno all’aperto”. Alle carceri più grandi e affollate si richiedeva di introdurre “progressivamente, iniziando da subito, il sistema di ‘prenotazione delle visite’, al fine di evitare penose file di attesa fuori degli Istituti che di fatto fanno ricadere anche sui familiari una parte delle conseguenze della commissione del reato”. In ogni sala di attesa e in ogni sala per i colloqui si disponeva la creazione di uno spazio dedicato ai bambini, “dove i minori da 0 a 12 anni possano sentirsi accolti e riconosciuti”. Dove possibile, si chiedeva di allestire a ludoteca una stanza separata. Per quanto riguarda i colloqui telefonici, si richiedeva che essi non venissero più effettuati tramite centralino, bensì utilizzando telefoni a scheda che dovevano venire allestiti in tutti gli istituti e che potevano essere gestiti direttamente dai detenuti, a prescindere dalla presenza o meno dell’operatore in una determinata fascia oraria. “Tale sistema garantisce lo stesso livello di sicurezza del passaggio tramite centralino e consente, nel contempo, di risparmiare unità di personale. Inoltre, la mancanza del filtro dell’operatore, unita alla possibilità di gestire autonomamente il momento della giornata in cui telefonare, aumenta notevolmente l’autonomia del detenuto, a beneficio, anche, della relazione affettiva”. Si introduceva inoltre “la pratica dell’organizzazione dei colloqui via ‘Skype’ negli Istituti forniti di computer, in aggiunta alle ore di colloquio regolamentari. Tale organizzazione attenua l’afflittività della carcerazione, non comporta spese né problemi di sicurezza”.
Nell’estate del 2014, trascorsi più di sei mesi dall’emanazione di tale documento, l’Osservatorio di Antigone effettuò una ricognizione sul livello di recepimento da parte delle singole carceri di quella parte di indicazioni della commissione che erano pensate per il breve periodo, tra cui appunto quelle relative a visite e telefonate (vedi il capitolo a mia firma Cambia la vita in carcere: il carcere cambia vita?, in Oltre i tre metri quadri. Undicesimo rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia, Edizioni Gruppo Abele, 2015). Lavorammo allora su alcune regioni a campione, pari a circa la metà del territorio italiano. A distanza di altri tre anni, vogliamo adesso dare uno sguardo alle rilevazioni del nostro Osservatorio durante l’anno 2017 in merito ai contatti con il mondo esterno, per tentare un bilancio di quanti istituti hanno provveduto a migliorare la loro organizzazione relativa a colloqui e telefonate. Non lavoriamo questa volta per singole regione, bensì su carceri campione selezionate sull’intero territorio nazionale.
Dei 190 istituti di pena italiani, il nostro Osservatorio nel corso del 2017 ne ha monitorati con osservazione diretta 86, pari al 45% del totale. A parte le due carceri del Trentino Alto Adige, tutte le regioni sono state toccate dalla nostra rilevazione di quest’anno, in proporzioni più o meno consistenti (3 carceri in Sicilia, 3 in Sardegna, 3 in Calabria, 3 in Basilicata, 5 in Puglia, 6 in Campania, 9 nel Lazio, 3 in Abruzzo, 4 in Umbria, 3 in Molise, 4 nelle Marche, 3 in Toscana, 10 in Emilia Romagna, 4 in Friuli Venezia Giulia, 4 in Veneto, 7 in Lombardia, 7 in Piemonte, 4 in Liguria e l’unico carcere della Valle d’Aosta).
Il grafico qui sotto restituisce un quadro numerico (al netto di pochissimi istituti in cui qualcuno dei dati non è risultato disponibile) degli adeguamenti alle disposizioni in merito alla facilitazione dei contatti con il mondo esterno nelle carceri da noi visitate.
È evidente come i primi tre punti riguardino esclusivamente migliorie di tipo organizzativo, senza comportare alcuna spesa o modifica strutturale di sorta. Sorprende che l’adeguamento alle indicazioni della commissione ministeriale non sia stato immediato e universale. Anche per quanto riguarda l’acquisto di telefoni, la spesa è decisamente contenuta e non giustifica il mancato adempimento che ancora si riscontra in troppi istituti. Pure l’area verde, eccetto singole situazioni dove l’edilizia rema in senso contrario, è uno spazio spesso facile da ricavare all’interno delle mura di cinta.
Ancor più sorprende tuttavia come i colloqui a distanza con l’utilizzo delle nuove tecnologie siano sconosciuti quasi ovunque. Uno strumento di nessun costo e di facilissima organizzazione, che potrebbe consentire di mantenere un contatto continuativo con gli affetti esterni soprattutto a coloro che li hanno lontani, è presente in meno del 10% delle carceri visitate. Aggiungiamo che la possibilità di accesso a internet per motivi diversi dal colloquio non se la cava meglio. Abbiamo potuto riscontrarla solamente in tre istituti: un quadro che restituisce pienamente tutta l’immagine del carcere quale mondo fantasma separato dalla vita reale e dalle sue evoluzioni.
Da apprezzare invece il netto abbattimento dei tempi di attesa per i colloqui che, negli istituti dove esiste un servizio di prenotazione a distanza, si aggirano intorno al quarto d’ora, sfiorando i 60 minuti solo in pochissimi casi e nelle giornate più affollate.
La territorialità della pena
E cosa accade della territorialità della pena e del diritto a scontarla in un carcere vicino ai luoghi rilevanti per la propria vita relazionale? Non è facile procurarsi delle stime su quanto tale diritto venga effettivamente garantito. Tuttavia, l’ufficio del Difensore Civico dei detenuti di Antigone può costituire un buon laboratorio per fornire qualche indicazione al proposito. Tra i detenuti che si rivolgono all’ufficio con qualche richiesta di aiuto, non sono pochi coloro che vorrebbero essere trasferiti in altro istituto poiché collocati distante dai propri affetti. In molti denunciano anche sfollamenti improvvisi verso carceri lontane. Nel 2016, su 129 casi in carico al Difensore Civico di Antigone, almeno 26 (pari al 24,5% del totale) erano richieste di aiuto in materia di trasferimento (ma forse di più, avendo probabilmente ereditato dall’anno precedente qualche necessità di inviare un sollecito al Dap in materia). L’anno successivo, su 124 casi in carico, almeno 30 riguardavano i trasferimenti (il 24,2%). Nei primi due mesi e mezzo del 2018, su 57 casi in carico ben 18, il 31,6%, concernevano motivi legati al trasferimento.
Secondo la nostra esperienza diretta, alle istanze di trasferimento del detenuto quasi mai l’amministrazione penitenziaria risponde entro il termine di 60 giorni suggerito dalla relativa circolare del 2014. Spesso non viene rispettato neanche il termine di 180 giorni imposto dal relativo decreto del 1997. Non è dunque affatto infrequente che i detenuti tornino a rivolgersi all’ufficio di Antigone per chiedere consigli in relazione a tale silenzio.
Genitori in carcere
La lontananza da casa colpisce in maniera preminente il rapporto con i figli. Elaborando secondo una stima leggermente approssimata i dati ufficiali del Ministero della Giustizia, al 31 dicembre 2017 erano conteggiati circa 57.000 figli di un genitore detenuto in Italia. Tuttavia, erano solo 25.075 i genitori di questi figli, su 57.609 detenuti presenti nelle carceri italiane. L’indagine ministeriale escludeva, come esplicitamente riportato, “non solo coloro che non hanno figli ma anche gli individui per i quali il dato non è disponibile”. Possiamo dunque ipotizzare che questi ultimi siano parecchi e che il numero dei figli sia notevolmente superiore a quello rilevato. Infatti, secondo la ricerca europea dal titolo “When the innocent are punished: children of imprisoned parents – a vulnerable group”, condotta nel 2011 in alcuni Paesi Ue, erano 75.000 i bambini che avevano uno o entrambi i genitori in carcere in Italia.
Alcuni di questi bambini, quando di età inferiore ai tre anni, vivono in carcere con le loro madri. Al 31 marzo 2018, erano 70 i bambini che ogni notte tornavano a dormire dentro una cella e 58 erano le loro madri. Di queste, 31 (per un totale di 36 figli) erano straniere. Il numero maggiore di bambini (17, per 15 madri) lo troviamo nel carcere romano femminile di Rebibbia. Gli Icam (Istituti a Custodia Attenuata per detenute Madri) sono attualmente cinque, e si trovano a Torino, Milano, Venezia, Cagliari e Lauro. In carcere si incontrano anche detenute incinte (erano 7 al 31 dicembre 2017).
Bambini in carcere
I molti tentativi – sia normativi che attraverso il lavoro sui casi individuali – di non far vivere più alcun bambino in una situazione di detenzione sono sempre falliti e il numero dei bambini in carcere ha di recente ricominciato a salire. Il grafico riportato sopra ne mostra l’andamento dal 1993 a oggi
@ Maggio 2018 | foto Ilaria Scarpa