1Le politiche
e i numeri
3Chi vive dentro
© Associazione Antigone 2017 — Via Monti di Pietralata 16, 00157 Roma — +39 06.4511304 — segreteria@associazioneantigone.it
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Architettura
Implicazioni architettoniche e urbane dello spazio della pena nel Bel Paese
Alice Franchina
Indagare lo spazio fisico del carcere può apparire come un ragionamento estremamente specialistico, quasi ostico, riservato a ingegneri, talvolta ad architetti, comunque a tecnici. Al contrario, guardare al carcere nella sua dimensione spaziale induce una serie di ragionamenti che coinvolgono non solamente aspetti legati all’edilizia, ma anche allo spazio che fisicamente e culturalmente diamo -come società- alle carceri nelle nostre città. Il capitolo, più che fornire soluzioni pronte all’uso, mira ad esplorare alcune connessioni tra il corpo del carcere e lo spazio sociale e a mettere in luce delle questioni aperte al riguardo.1
Uno dei punti di partenza è certamente la riforma del sistema penitenziario del 1975, che aveva tra le sue righe l’idea di un carcere più aperto e di una maggiore osmosi con il mondo esterno, ma che è stata puntualmente disattesa dalla pratica. Paradossalmente, anzi, dal 1975 si è assistito a un progressivo disincentivo alla sperimentazione architettonica sul tema, poi definitivamente dispersasi nella tempesta dell’emergenza degli anni Ottanta, con la costruzione di carceri nelle quali il carattere punitivo della pena continuava ad essere centrale (C. Marcetti, 2011). Questa scomparsa dell’architettura ha determinato il prevalere della cultura dell’isolamento sia dentro che fuori dal carcere: isolamento delle persone detenute tra loro, attraverso strutture architettoniche rigide che non favoriscono le attività di socializzazione; isolamento fisico del carcere dalla città, secondo un processo di periferizzazione (S. Paone, 2011) rispondente alla volontà di espungere dalle città, e dunque dal consesso dei cittadini liberi, il simbolo della devianza, del pericolo, della malattia.
Situazione al 31.1.2017
Situazione al 31/1/2017
95
96
prima del 1700
tra il 1700 e il 1799
tra il 1800 e il 1899
URBANE
EXTRA-URBANE
dopo il 1900
15
3
21
18-3
152
59-93
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Fonte: Antigone
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Secondo i dati di Antigone, quasi il 40% degli istituti penitenziari italiani è stato costruito tra il 1980 e il 1999, e quasi la totalità di essi (70 su 74) è situato in aree periferiche; questi edifici ospitano complessivamente ben il 52% delle persone detenute.
la riforma del sistema penitenziario del 1975 è stata puntualmente disattesa dalla pratica
L’ultimo Piano Carceri elaborato nel 2010 rimaneva essenzialmente nel solco di questo modello, essendo incentrato sull’emergenza sovraffollamento e sulla costruzione di nuove carceri (per altro poi non attuata2) riproponendo note tipologie edilizie. Un recente segnale in controtendenza è invece rappresentato dalle proposte emerse dagli Stati Generali dell’Esecuzione Penale del 2016, tese al contrario a un ripensamento critico dell’intero impianto del sistema penitenziario, e con una specifica attenzione alla qualità degli spazi in relazione ad esso. Tuttavia, queste proposte hanno bisogno di tempo e sperimentazione per poter incidere sulle condizioni effettive della vita detentiva, e pertanto la situazione attuale è invece ancora caratterizzata da forti criticità.
Situazione al 31.1.2017
2.615
4.211
48.510
Tra il 1800
e il 1900
Dopo
il 1900
Prima
del 1800
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Tra il 1800
e il 1900
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Dopo il 1900
Fonte: Antigone
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Queste le premesse necessarie per capire le condizioni odierne delle carceri italiane. A fronte dell’alto numero di istituti nel nostro paese (191 al 31/01/2017), il lavoro dell’Osservatorio mostra che complessivamente siamo in presenza di un patrimonio edilizio, sia antico che recente, in scarso stato di manutenzione, con situazioni igieniche non sempre adeguate, e con una generale carenza di spazi dedicati ad attività sociali, ricreative o lavorative.
La nota sentenza Torreggiani è stata determinante nel far emergere, a partire dal 2013, alcune situazioni particolarmente critiche, e ha contribuito a operare diverse forme di apertura nella vita detentiva (come il regime di celle aperte e l’abbattimento dei banchi divisori nelle sale colloqui). Oggi c’è il rischio però di un appiattimento del dibattito su questioni meramente quantitative, secondo l’idea che è sufficiente che i 3 mq pro capite siano rispettati per assicurare alle persone detenute adeguate condizioni di vita. Inoltre, negli ultimi anni è stato implementato uno strumento informatico chiamato Applicativo Spazi Detentivi (ASD), che consiste in una serie di tabelle aggiornate quotidianamente, istituto per istituto, sulla situazione dei detenuti in termini di numeri e di allocazione, e permetterebbe di evidenziare e risolvere prontamente le situazioni contrarie alle norme CEDU (E. Nanni, 2014). Secondo il Dipartimento per l’Amministrazione penitenziaria, l’ASD inoltre «rileva (…) la presenza, o meno, di spazi agricoli e spazi sportivi ad uso detenuti; (…) monitora le sezioni ristrutturate e/o i padiglioni degli Istituti di nuova costruzione; [permette] il censimento degli spazi di socialità e dei laboratori ad uso dei detenuti» (Ministero della Giustizia, 2017: 5-6). Purtroppo i dati raccolti non sono pubblici, pertanto al momento non è possibile venire a conoscenza di queste informazioni che permetterebbero di fare analisi più approfondite. Tuttavia, il lavoro dell’Osservatorio consente invece di fare delle considerazioni sulla base delle visite effettuate da tutti gli osservatori sul territorio nazionale.
20% degli istituti risalgono a prima del 1900
È una proposta che riemerge ciclicamente nel dibattito pubblico: ultimamente è stato il ministro Orlando ad annunciare addirittura la vendita, tramite Cassa Depositi e Prestiti, di San Vittore, Regina Coeli e Poggioreale per costruire col ricavato carceri innovative incentrate su un diverso progetto ri-educativo. Seppure la proposta pare non aver avuto seguito al momento3, ci sembra che essa usi strumentalmente un’idea fortemente condivisibile, ovvero quella di costruire carceri più umane, e invece finisca per favorire investimenti immobiliari in zone molto appetibili delle principali città italiane, rinunciando invece a vagliare diverse ipotesi di riuso delle storiche sedi a fini penitenziari. Inoltre, la proposta di Orlando sembra inserirsi nel solco della periferizzazione, che oltre ad avere un valore simbolico si traduce in ostacoli materiali e dispersioni di energie: per familiari e lavoratori diventa più difficile raggiungere il carcere; le associazioni sono disincentivate a farvi del volontariato; divengono impraticabili le iniziative di apertura delle porte del carcere alla città (in occasione di rappresentazioni teatrali, convegni etc.); è difficile quando non impossibile per i detenuti in semilibertà raggiungere eventuali luoghi di lavoro.
L’ipotesi di vendita delle carceri rimanda poi ad un altro tema piuttosto inesplorato: oltre alle carceri storiche in uso, l’Italia è costellata anche di numerose ex-carceri antiche, talvolta di altissimo pregio. Questi edifici sono in gran parte di proprietà del Demanio, sono stati dismessi dalla funzione penitenziaria parecchi anni fa, e sono rimasti spesso inutilizzati. Non vi sono in merito dati ufficiali, ma un parziale censimento di Antigone ne ha individuati almeno 14, sparsi da Nord a Sud4. Alcuni di essi sono molto noti, per gli avvenimenti che vi si sono svolti e per la forza iconica delle loro strutture: una su tutte è il carcere borbonico sull’isola di Santo Stefano (Ventotene), storica prigione dei dissidenti politici dal Risorgimento al Fascismo, e luogo in cui venne scritto il famoso Manifesto di Ventotene nel 1941. La struttura a ferro di cavallo è un incrocio tra un Panopticon e un teatro rovesciato, posato come una corona sulle rocce dell’isola. Abbandonato dopo la chiusura nel 1965, versa nel totale abbandono, seppure recentemente il Ministero dei Beni Culturali abbia promesso dei finanziamenti per un restauro5.
L’Italia è costellata di numerose ex-carceri antiche di altissimo pregio. Ormai dismesse, sono rimaste spesso inutilizzate.
L’Italia è costellata di numerose ex-carceri antiche di altissimo pregio. Ormai dismesse, sono rimaste spesso inutilizzate.
L’unica struttura ex carceraria passata al demanio e in seguito ad un ente locale che l’ha ristrutturata per ospitare un museo sulla storia della prigione è quella della Castiglia di Saluzzo che ospita dal 2014 il Museo della memoria carceraria. Si tratta del primo carcere moderno del Regno Sabaudo collocato, dopo la ristrutturazione del 1828, nell’antica dimora del Marchesato di Saluzzo e sede di carcere sino al 1992. L’allestimento multimediale e interattivo risponde ai più aggiornati canoni dello storytelling museale e rappresenta l’unico esempio italiano di percorso interamente dedicato alla storia del carcere moderno (cfr. C. Sarzotti, 2013). Antigone è stata direttamente interessata al progetto museale, attraverso l’attività del curatore scientifico che è anche presidente di Antigone Piemonte Claudio Sarzotti, e con la donazione dell’archivio storico dell’associazione al Comune di Saluzzo che lo ha collocato alla Castiglia in alcune sale recentemente intitolate a Giulio Regeni.
Accanto al caso di Santo Stefano vi è però anche un’altra serie di edifici meno noti su scala nazionale ma molto significativi nelle storie locali, che rappresentano un consistente patrimonio inattivo nei nostri territori. A questo proposito, una svolta è avvenuta nel 2010, quando, col d. lg. 85/2010, l’Agenzia del Demanio ha avviato il cosiddetto federalismo demaniale, consistente nella cessione a titolo gratuito di diversi beni alle amministrazioni locali che ne facciano richiesta, a patto che esse attivino iniziative di restauro e riuso. Il primo caso di applicazione del decreto è stato l’ex-convento ed ex-carcere di San Gimignano, un’area di circa 20 mila mq in pieno centro storico, chiuso dal 1993 e ceduto dal Demanio alla Regione e al Comune nel 2011. Dopo un accordo con alcuni investitori privati, a inizio 2017 il consiglio comunale ha approvato il progetto di restauro e riuso dell’edificio, che dovrà ospitare un teatro all’aperto, uno spazio museale, una zona dedicata a botteghe artigianali, e spazi per le associazioni locali. L’iniziativa dell’Agenzia del Demanio è certamente di interesse, perché rappresenta l’opportunità di riportare a nuova vita strutture spesso di grande valore, e mantenere, seppure nell’innovazione, la memoria dei luoghi. Alcune voci hanno però messo in luce alcuni rischi legati al federalismo demaniale: se infatti questi beni vengono ceduti agli enti locali che ne possono disporre liberamente, cosa vieta che un giorno essi decidano di venderli, dunque di alienarli dal patrimonio e dall’uso pubblico, per necessità finanziarie? Vi è in atto un dibattito tra i giuristi (cfr. V. M. Sessa, 2011) sul tema dell’applicabilità del federalismo demaniale ai beni culturali (anche immobili), incentrato su quali possano essere gli strumenti atti ad evitare una - seppur teorica - alienazione consistente di beni di valore artistico dal patrimonio pubblico. Non vi sono al momento evidenze di questa eventualità, anche in ragione dei pochi anni trascorsi da quando il decreto è stato emanato, ma il nodo giuridico rimane.
Un ulteriore possibile sviluppo del tema si è avuto con le proposte avanzate dai recenti lavori degli Stati Generali sull’Esecuzione Penale. In particolare, nella relazione conclusiva del Tavolo 17 (Processo di reinserimento e presa in carico territoriale) è stato indicato un progetto intitolato “Una rete nazionale per la tutela e la valorizzazione turistica dei luoghi e degli archivi della memoria carceraria” (cfr. proposta n. 12, l’Iniziativa che ha già trovato una prima parziale realizzazione in Piemonte con la costituzione di una rete regionale sulla storia della penalità che, oltre al già citato museo saluzzese, ha coinvolto realtà come il Museo di Antropologia Criminale Cesare Lombroso dell’Università di Torino, il Museo de Le Nuove di Torino, i Forti di Fenestrelle, Gavi e di Exilles, il castello visconteo di Novara e quello di Ivrea, l’ex carcere minorile di Bosco Marengo, gli archivi degli ex manicomi di Collegno e Racconigi). Il progetto è stato inserito nei lavori degli Stati Generali nell’ambito dell’obiettivo di sensibilizzare la percezione dell’opinione pubblica rispetto alle capacità riabilitative della pena: di qui la necessità di seguire un approccio non certo celebrativo della storia dell’istituzione penitenziaria e che sia in grado di far riflettere sui suoi “danni collaterali” e sulla necessità quindi di limitarne il più possibile l’utilizzo.
Dallo scorcio qui brevemente delineato emerge come indagare il tema del carcere nella sua dimensione spaziale coinvolga molte altre dimensioni, e come il corpo stesso del carcere sia tutt’altro che isolato da questioni politiche, sociali, economiche e culturali di più ampia portata. Alcune questioni riguardano il disegno dello spazio di vita e, lungi dall’avere solo implicazioni in termini di metri quadri, hanno a che fare con il significato sociale che assegniamo alla privazione della libertà personale, e dunque al percorso di formazione personale, lavorativa, sociale che immaginiamo per le persone detenute nel tempo del carcere; da questo significato dipenderà l’inclusione dell’idea del carcere e del suo corpo nella città. Ciò è strettamente legato all’idea di bene pubblico e al modello economico e sociale di sviluppo urbano cui si tende, che invece al momento è decisamente incentrato sull’idea dell’espulsione dai centri delle classi meno abbienti, e delle funzioni urbane meno appetibili e attrattive, in una generale ottica di periferizzazione fisica e sociale.
Lo spazio non si dà in sé, ma come espressione di un’idea, e in particolare di un’idea di relazioni tra cose: dunque, da una parte, lo spazio del carcere e per il carcere dipenderà dall’idea della pena che si vorrà perseguire; dall’altro esso sarà il contesto nel quale nuove e inedite relazioni potranno istaurarsi.
Situazione al 31.01.2017
Costruite:
Fonte: Antigone
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ANASTASIA S., CORLEONE F., ZEVI L. (2011), a cura di, Il corpo e lo spazio della pena, Ediesse, Roma
CORTE DEI CONTI (2015), L’attività del commissario straordinario del governo per le problematiche connesse all’affollamento degli istituti carcerari, deliberazione n. 6/2015/G
MARCETTI C. (2011), L’architettura penitenziaria dopo la riforma, in Stefano Anastasia, Franco Corleone, Luca Zevi (a cura di), Il corpo e lo spazio della pena, Ediesse, Roma, pp. 69-94
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (2017), Relazione del Ministero sull’amministrazione della giustizia, anno 2016, Inaugurazione anno giudiziario 2017
NANNI E. (2014), L’applicativo informatico Spazi/Detenuti: La nuova cabina di regia dell’amministrazione penitenziaria, Rassegna penitenziaria e criminologica, 3, pp. 35-52
PAONE S. (2011), Dal carcere in città alla città carcere, in Stefano Anastasia, Franco Corleone, Luca Zevi (a cura di), Il corpo e lo spazio della pena, Ediesse, Roma, pp. 119-131
SESSA V. M. (2011), Il federalismo demaniale e i suoi effetti sul patrimonio culturale, in Aedon, 1, online
© Maggio 2017