Appello
per
la decarcerizzazione e una nuova politica delle pene non detentive.
Seguiamo da anni con
attenzione e interesse il lavoro svolto dall’associazione Antigone e
l’impegno che rivolge all’affermazione, nel sistema penitenziario, di una
concezione della pena aderente ai principi costituzionali ed al rispetto dei
diritti della persona; consideriamo, quindi, necessario, oltre che
tempestivo, il convegno organizzato per il 9 maggio, perché, mentre si apre
una nuova stagione di governo, è il tempo di pervenire ad una sintesi delle
idee e delle proposte sulle quali si è dibattuto in questi ultimi anni, per
arrivare a definire nel concreto le linee di azione di una nuova politica
della pena e di un governo nuovo dell’amministrazione penitenziaria.
Certamente uno tra i temi più presenti
all’attenzione dell’opinione pubblica, uno dei più sentiti e delicati in
quanto tocca corde molto sensibili direttamente legate alla vita quotidiana
dei cittadini, è quello relativo alle politiche della giustizia e
dell’esecuzione della pena.
E’ forte la richiesta di rendere il sistema di
esecuzione penale più efficiente ed efficace, in quanto diffusa è la
sensazione che le sanzioni penali siano variamente e tanto sensibilmente
modificate da renderne non effettiva l’espiazione.
E’ forte la richiesta di sanzioni sempre più
severe, come pure del ricorso/ritorno alla sola pena detentiva, quasi che
sia l’unica via per garantire la sicurezza delle comunità.
E d’altronde le politiche
della pena sviluppate negli ultimi anni ci consegnano una situazione del
sistema penitenziario arrivata ai limiti del collasso: da un lato il sistema
della detenzione ormai sull’orlo dell’esplosione a causa del
sovraffollamento degli istituti, dall’altro quello dell’esecuzione penale
esterna privo di una chiara missione ed in condizioni di tale povertà di
risorse e operatori da spingerlo alla paralisi operativa.
Non ci piace essere
catastrofisti, apparire come coloro che non riescono a vedere il buono che
comunque viene fatto; al contrario! Da operatori dell’esecuzione penale
esterna, siamo consapevoli di quanto impegno abbiano profuso tutte le
componenti professionali operanti nell’universo penitenziario per rendere un
servizio all’altezza delle necessità e delle attese della società.
Ma, con altrettanta
chiarezza, riteniamo di dover segnalare che ci troviamo di fronte alla
effettiva necessità di rendere più efficiente ed efficace il sistema
penitenziario e siamo convinti che uno dei settori in cui occorre
investire con urgenza è quello dell’esecuzione penale esterna che,
pur essendo da trenta anni parte integrante di tale sistema, vede sempre
rivolgere l’attenzione esclusiva al mondo “carcerario”, quasi che le pene
non detentive siano figlie illegittime del sistema sanzionatorio.
Siamo, inoltre, convinti
che occorre, con altrettanta urgenza, trovare risposte risolutive al
problema del gravissimo sovraffollamento degli istituti di pena, senza che
la soluzione adottata diventi, o sia percepita dall’opinione pubblica, come
un aumento del livello di insicurezza delle comunità, un prezzo da pagare
inevitabile per ridurre il sovraffollamento.
Richiamiamo, però,
l’attenzione di tutti coloro che agiscono nell’universo penitenziario ed i
governanti che, davvero, vogliono impegnarsi in politiche di riduzione del
ricorso alla carcerazione, sull’importanza di evitare di cadere nella
trappola “meno carcere uguale meno sicurezza per i cittadini”; se la
comunità è costretta a scegliere tra queste due opzioni, come se fossero
alternative, si orienta sulla seconda, condannando al fallimento certo
qualsiasi politica di decarcerizzazione. Occorre, pertanto, che ogni
politica intenzionata a deflazionare il ricorso al carcere risponda
al problema di come realizzare questo obiettivo senza dare l’impressione
di spostare i condannati non detenuti nell’area dell’impunità, a tutto
danno della sicurezza dei cittadini.
E’ vero, infatti, che le
conseguenze negative sulla sicurezza sono più apparenti che reali ma, come
insegna la sociologia, se gli uomini considerano un fenomeno come reale,
anche se non lo è, esso diventa reale nelle conseguenze; e quindi i
cittadini si comporteranno e percepiranno la realtà “come se” si abbassasse
il livello di sicurezza.
Per queste ragioni, noi
riteniamo che occorra un ribaltamento completo del quadro culturale di
riferimento: per ridurre la pervasività del ricorso alla carcerazione,
bisogna parlare e riflettere sul non carcere poiché, come dice don Ciotti,
“dobbiamo portare il margine al centro”; e se, nel sistema delle
pene, il carcere è il centro, allora ci si deve occupare del non carcere.
Se davvero si vuole che il
carcere non sia il luogo unico della pena, allora bisogna impegnarsi a
costruire realmente il sistema delle pene “altre dal carcere” attribuendo ad
esso, sia sul piano della dottrina giuridica che su quello della dimensione
organizzativa, quella dignità che finora non ha ricevuto.
Le ragioni che oggi, a
nostro avviso, attribuiscono centralità cruciale al tema della necessità di
procedere ad una profonda ricostruzione del settore delle pene non detentive
possono così brevemente sintetizzarsi:
1.
Il numero delle pene che non si
espiano in carcere, ma nella comunità, è ormai stabilmente collocato su
valori pari a 45000 – 55000 condannati per anno.
2.
L’incremento notevolissimo delle
pene non detentive non ha comportato, come si è visto in questi anni, una
riduzione delle presenze negli istituti di pena che, al contrario si trovano
appunto oltre il limite della capienza tollerabile. I presenti negli
istituti di pena al 31 dicembre sono, infatti, 37000 nel ’91, 47759 nel ’95,
55000 nel 2001, oltre 60000 nel 2005, mentre nello stesso periodo le pene
non detentive eseguite crescono da 6229 nel ’91, a 18820 del ’95, a 41500
nel 2001, ad oltre 55000 nel 2005.
3.
Nel complesso, quindi,
nell’ultimo decennio l’area del controllo penale si è notevolmente allargata
ed è prevedibile un ulteriore aumento del flusso dei condannati, conseguente
alla maggiore efficienza delle azioni di difesa della legalità e di
contrasto della criminalità.
4.
In Italia, tuttavia, il tasso di
incarcerazione (N. detenuti per 100000 abitanti) è vicino o superiore a
quello della maggior parte dei paesi europei; difficilmente la capienza
degli istituti di pena potrà avere sensibili incrementi, sia per i lunghi
tempi richiesti per la costruzione di nuovi istituti (almeno quindici anni),
che per gli alti costi di gestione (€ 250.00 circa per giornata/detenuto).
5.
Da quanto detto finora, appare
chiaro che non è esatto sostenere che l’ampliamento delle pene alternative
comporta la parallela riduzione di quelle detentive e, di conseguenza,
lascia in libertà più “soggetti che delinquono”. Al contrario l’area del
controllo penale “carcerario” si sviluppa “indipendentemente” dalle pene
alternative, ma non può espandersi oltre un determinato limite, a meno che
non si vogliano cambiare le caratteristiche democratiche della nostra
società e del nostro sistema penale. Di conseguenza, se si vuole ampliare
l’area del “controllo penale” si deve necessariamente allargare l’area delle
pene alternative al carcere.
6.
Oltre alla domanda se debba
esistere e quali dimensioni debba assumere il sistema delle SANZIONI non
detentive, occorre porsi la questione di come riordinare il
corpus di norme di riferimento, cresciuto un po’ caoticamente in questi
anni, come è necessario che esso venga gestito, quali capacità operative
debba essere in grado di dispiegare l’organizzazione dedicata alla gestione
di tale sistema.
7.
Attualmente l’Amministrazione
Penitenziaria non è assolutamente attrezzata per gestire le pene non
detentive come se fossero, appunto, “delle pene”; gli Uffici di Esecuzione
Penale Esterna possono contare su poco più di un migliaio di operatori
appartenenti alla sola professionalità dell’assistente sociale, rispetto
agli oltre 50000 presenti nell’amministrazione, e su nessuna altra figura
professionale. A tali strutture operative, che gestiscono circa il 30% del
“fatturato annuo dell’azienda penitenziaria”, l’Amministrazione destina
appena il 2% delle risorse di cui dispone.
8.
Il sistema degli Uffici di
Esecuzione Penale Esterna, sulla base del modello organizzativo attualmente
in uso, al massimo può assicurare, peraltro con grandi difficoltà,
interventi a prevalente valenza socio – riabilitativa, mentre, invece, è
necessario che anche quella espiata in forma non detentiva sia una pena a
tutti gli effetti e, quindi, ne possegga le caratteristiche nel concreto del
suo dispiegarsi. Perché ciò si realizzi occorre che gli Uffici incaricati
di gestire tale pena possano dispiegare azioni che ne assicurino
l’esecuzione sotto tutti gli aspetti:
a.
L’aiuto al reinserimento ed il
sostegno al recupero – per assicurare la funzione rieducativa.
b.
Il controllo della condotta –
per rendere effettiva la funzione retributiva.
c.
La restituzione e riparazione
del danno – per agire la funzione riparativa.
Tale obiettivo può essere perseguito
attraverso un coraggioso modello organizzativo capace di avvalersi di
contributi professionali qualificati che, mentre valorizzano pienamente le
competenze professionali già presenti, si aprano all’apporto di altre
figure professionali esperte nel disagio e nel recupero dello svantaggio
sociale, così da consentire ai servizi dell’area penale esterna di dare
risposte complete e molteplici alla complessità insita nella gestione della
pena. Il modello organizzativo dovrà, inoltre, essere in grado formulare
progetti e programmi che tendano a favorire il reinserimento sociale
di condannati e internati non solo nella fase detentiva ma anche e
soprattutto nella esecuzione di misure alternative alla detenzione. Per far
ciò dovrà essere capace di utilizzare pienamente le risorse finanziarie che
il sistema penitenziario può già mettere a disposizione attraverso un ampio
e massiccio utilizzo dei fondi disponibili attraverso la Cassa delle
ammende.
In conclusione, è necessario, a giudizio degli
operatori dell’area penale esterna, avviare un processo di profonda
riorganizzazione che porti ad una “ri-costruzione” ed al potenziamento di
tali uffici in modo tale che costituiscano un sistema organizzato in grado
di gestire le pene non detentive.
Noi riteniamo che sia giunto il tempo che
anche l’Italia, dopo i paesi europei di più antica tradizione di
“probation” (Regno Unito, Penisola Scandinava), ma anche dopo quelli in cui
più recente (Francia,Belgio, Austria, Portogallo, Germania) o recentissima
(Europa centrale ed orientale) è la previsione nella legislazione penale di
sanzioni e misure nella comunità, dopo il Kossovo, dove abbiamo contribuito
a realizzarlo, costruisca sia un articolato sistema sanzionatorio
sia l’organizzazione dedicata a gestirlo adeguati ad un paese che vuole
“essere europeo” anche in questo settore.
Chiediamo
che la legislatura appena iniziata si caratterizzi sin dall’avvio per la
proposizione di tali nuove politiche della pena, indirizzate a:
A.
Prevedere nel nuovo
codice penale un corpo organico di pene e sanzioni
nella comunità certamente più articolato di quello finora proposto dalle
diverse commissioni di studio.
B.
Riordinare tutta la
normativa relativa alle misure alternative alla
detenzione, superando l’attuale frammentarietà nell’attribuzione delle
competenze.
C.
Dare sistemazione
organizzativa e collocazione adeguata alle strutture operative
dell’esecuzione penale esterna, che devono avere,
anche nella collocazione funzionale, pari dignità con le strutture del
settore detentivo ed essere poste in condizioni di adempiere ai propri
compiti con l’attribuzione adeguata di risorse.
D.
Liberare e rendere
effettivamente disponibili le risorse giacenti presso la Cassa delle Ammende
per progetti e programmi di reinserimento sociale
dei condannati e degli internati favorendo in ogni modo politiche
di inclusione sociale anche con il sostengo di fondi strutturali
europei.
Su tali questioni riteniamo di dover proporre
le nostre riflessioni, ed assicurare il contributo della nostra esperienza,
agli interlocutori che si accingono ad intraprendere una difficile azione di
governo e di trasformazione del sistema penitenziario.
Nel ringraziare per l’attenzione che vorrete
dedicare alle proposte da noi avanzate, vi porgiamo i nostri distinti
saluti.
Maggio 2006
Firmato
Elena Paradiso; Eustachio
Vincenzo Petralla; Sebastiano Zinna; Emilio Molinari; Salvatore Nasca;
Antonina Tuscano; Domenico Paonessa; Luisa Gandini; Roberto Grippo; Laura
Borsani; Pietro Guastamacchia; Emilia Turiano; Rosaria Furlotti;
Rossella Giazzi; Mariapaola Schiaffelli; Maria Bove; Mariantonietta
Cerbo; Mariagrazia Cinguetti; Antonietta Pedrinazzi; Marina Altavilla; Rita
Andrenacci; Antonio Nastasio; Patrizia Garofalo; Severina Panarello; Luisa
Cappa