Torna indietro

 

 

Per una nuova amministrazione penitenziaria

I compagni di Antigone ci invitano oggi ad una riflessione importante.

 

Quello dell’organizzazione dei servizi penitenziari e delle prospettive di evoluzione del sistema carcerario.

 

A mio giudizio è stata proprio la questione dell’organizzazione e dell’agire dirigenziale, unita al progressivo degrado, sia  culturale che strutturale, del nostro sistema penal-penitenziario a far consumare drammaticamente l’esperienza del governo delle destre sul tema del carcere; ciò che più di altri ne ha determinato il fallimento.

 

Il loro combinato disposto, letto attraverso il filtro di una inarrestabile invasività del sistema politico e della sua macroscopica incultura istituzionale ci riconsegna oggi un’Amministrazione penitenziaria peggiore di quella che avevamo cinque anni fa, un ‘amministrazione che ha finanche rinunciato a difendere principi di legalità del sistema penitenziario attraverso l’affermazione di un sistema di regole e di responsabilità condivise, chiare, esigibili.

 

Gonnella nella sua relazione ci offre spunti interessantissimi.

 

Proverò a soffermarmi su alcuni, quelli che reputo, dalla prospettiva di un sindacalista, quelli più urgenti da approfondire.

 

Il primo è il suo netto richiamo al mandato direttamente definito dalla costituzione, specificità assoluta rispetto alle altre pubbliche amministrazioni.

 

Questa dichiarazione, tanto nota quanto recentemente dimenticata, ha confermato in me una convinzione già radicata, forse un po’ desueta, ma credo basilare per l’affermazione di una pubblica amministrazione efficiente e  funzionale: quello della terzietà della pubblica amministrazione.

 

Nei principi costituzionali, quello dell’imparzialità dell’amministrazione pubblica pone le premesse per la separazione tra indirizzo politico ed attività amministrativa ed incardina quest’ultima in un rapporto diretto con i cittadini, con quelli che anche noi amiamo definire utenti.

Un rapporto caratterizzato dall’affermazione NON MEDIABILE di un principio di legalità, quello cioè che imporrebbe agli amministratori il rispetto della sola norma e che li dovrebbe obbligare ad esercitare nei soli limiti imposti dalla legge.

 

Una convinzione, la mia, che per l’amministrazione penitenziaria dovrebbe divenire certezza anche a fronte di quella specificità alla quale accennava Patrizio che ne fa derivare il mandato istituzionale direttamente dal patto costituente.

 

E’ con questo spirito fortemente critico che io leggo l’atteggiamento assolutamente condizionato, servizievole se non servile, privo di autonomia e di dignità istituzionale tenuto da questa amministrazione per tutta la durata della legislatura di centro destra.

 

Due esempi generali ed uno specifico per rendere l’idea delle mie affermazioni.

 

Quelli generali sono ascrivibili alla colpevole  disapplicazione di due norme legislative importantissime per l’evoluzione democratica del nostro sistema:

 

la legge 230/99 e il decreto legislativo 145/2000 (il decreto Fassino)

 

6 anni di cosciente violazione di legge nel primo caso, quattro nel secondo.

 

L’esempio specifico.

 

Sulla base di quale interesse pubblico da difendere, sulla base di quale ragione di opportunità diversa da quella servile del compiacimento alla politica, questa amministrazione continua ad affidare responsabilità di comando di un carcere, fra i più grandi del nostro sistema, ad un funzionario della polizia penitenziaria rinviato a giudizio per i fatti di Genova Bolzaneto?

 

Un’idea, quindi, di terzietà e di legalità dell’amministrazione penitenziaria che va quantomeno riaggiornata, ridefinita e resa strutturale.

 

C’è un’altra affermazione che mi ha colpito particolarmente nella relazione di Patrizio: le carceri non appartengono all’amministrazione penitenziaria.

 

La Fp Cgil condivide appieno questa verità.

 

Come parte rappresentativa del mondo del lavoro abbiamo da sempre scelto un’interpretazione universale delle tematiche penitenziarie, fortemente convinti della straordinaria ricchezza di un sistema integrato di servizi per l’offerta di concrete opportunità di inclusione, di emancipazione, di effettività dei diritti di cittadinanza.

 

Da sempre sosteniamo l’opportunità di un disegno politico organizzativo che sappia contaminare in maniera strutturata la realtà penitenziaria, modificarne le logiche anguste ed autoreferenziali, produrre buone prassi operative, servizi appropriati ai bisogni, per riaffermare i valori di dignità umana e dei diritti di cittadinanza delle persone detenute.

 

Per questo abbiamo sostenuto l’esigenza di nuovi indirizzi per la gestione dei progetti e dei piani di azione dell’amministrazione, degli accordi di programma con gli enti locali e con le altre amministrazioni pubbliche che abbiamo obiettivi chiari di reinserimento sociale dei detenuti e degli internati.

 

Bisogna però prendere atto che qualcosa in tutto ciò continua a non funzionare e, onestamente, non solo per la pervicacia opposizione del pensiero politico delle destre sui temi sociali e dell’ordine pubblico.

 

Dobbiamo rivedere, insomma, l’esperienza dei piani di zona, previsti dai sistemi integrati degli interventi e dei servizi sociali territoriali evitando quello al quale spesse volte abbiamo assistito inermi: la duplicazione degli interventi, la dispersione delle risorse, la parcellizzazione degli interventi e dei progetti, la loro mancata proiezione sulle realtà cittadine e territoriali.

 

La Fp Cgil, per questo condivide anche l’idea lanciata da Antigone di una annuale conferenza dei servizi fra tutti i soggetti istituzionali interessati alla gestione dell’esecuzione penale, intra ed extra muro.

 

Questa ipotesi di esperienza la ritengo, oltretutto, propedeutica all’effettiva devoluzione di attività istituzionali a soggetti diversi  dall’amministrazione penitenziaria (anche a questo, per noi, serviva il trasferimento della medicina penitenziaria al servizio sanitario nazionale)

 

La terza ed ultima sollecitazione della relazione di Patrizio io la leggo nel suo richiamo ad una diversa organizzazione dell’amministrazione penitenziaria, ad una diversa qualità del suo management.

 

La Fp Cgil ha sempre voluto e sostenuto processi riformatori e di riorganizzazione che consentissero alle amministrazioni di organizzarsi tenendo conto delle proprie specificità e dell’esigenza di migliorare la qualità e l’efficacia delle proprie attività.

 

Nell’amministrazione penitenziaria l’obiettivo che abbiamo sempre declinato era quello del riconoscimento, a quell’articolato sistema delle professioni, del ruolo da protagonista che gli si addice e che è premessa decisiva per l’affermazione di un sistema penale e penitenziario democratico e solidale.

 

Per noi tutto ciò si realizzava con un organizzazione per linee orizzontali del lavoro, delle funzioni e dei centri di responsabilità.

 

Un organizzazione cioè che consentisse la partecipazione attiva dei lavoratori agli obiettivi comuni, una migliore qualità complessiva dei servizi ed una maggiore consapevolezza della missione perseguita attraverso l’assolvimento dei compiti di ciascuno, nel reciproco rispetto e riconoscimento fra diverse esperienze.

 

Abbiamo perseguito un organizzazione per aree di intervento dotate di autonomie tecnico professionali mettendo a disposizione di tutto ciò innumerevoli occasioni di confronto contrattuale, tentando sempre e comunque di evitare quella spinta isolazionista e autoreferenziale che purtroppo ha sempre caratterizzato l’amministrazione penitenziaria.

 

 

 

 

In questi anni, invece, è stata perseguita una vera e propria restaurazione, l’enfatizzazione di un dirigismo strutturato, disciplinare, burocratico e gerarchizzato, nel quale ricorrono suggestioni e tentazioni autoritarie di alcuni apparati forti, fino a far percepire l’amministrazione carceraria come ultimo terminale di sole seppur  generali politiche di ordine pubblico.

 

I provveditorati sono stati completamente svuotati delle loro naturali competenze, le direzioni degli istituti sono state lasciate nell’isolamento più assoluto ad affrontare l’emergenza sociale ed il dissesto finanziario prodotto dalle dissennate politiche del Ministro Ingegnere.

 

Io credo, quindi,  che quello di un nuovo  modello organizzativo penitenziario debba essere il tema attorno al quale ricostruire quel sentire comune disperso da anni di colpevole contrapposizione istituzionale, politica, sociale.

 

Ristabiliamo, però, prima di affrontare processi di ulteriore avanzamento nel sistema di organizzazione dei servizi quel che va ristabilito.

 

Riconduciamo velocemente le prassi operative negli ambiti di un modello organizzativo decentrato, rispondente all’esigenza di territorializzare la pena e la sua esecuzione; riaffidiamo ai livelli territoriali quel valore ottusamente sottratto dalle politiche centraliste assunte a sistema in questa ultima esperienza di governo delle destre, quanto meno come primo atto di pacificazione interna.

 

Sull’identikit del nuovo manager penitenziario vorrei cavarmela con una battuta: il nuovo futuro dirigente penitenziario dovrà essere tutto quello che non è stato in questi anni.

 

Dovrà avere una vera e radicata cultura civile, cioè senso dello stato e spirito di servizio, dovrà essere capace di alimentare un dialogo leale e fecondo con tutte le istituzioni e con il territorio, sensibile ai valori umani e garante dei diritti di cittadinanza, non arroccato nell’esercizio del potere e del comando

 

Il nuovo dirigente penitenziario dovrà avere una spiccata cultura sociale, dovrà, cioè essere attento all’evoluzione delle sensibilità  delle comunità e della domanda di partecipazione e di confronto che proviene dalle formazioni sociali operanti intorno al mondo della pena;

 

dovrà essere ispirato da una salda cultura politica, capace, cioè di interpretare con lealtà l’indirizzo di governo attraverso la partecipazione e l’espressione democratica attorno ai problemi che si è chiamati a risolvere; lealtà che mai deve, però, far perdere di vista quel mandato che la costituzione direttamente gli affida.

 

In effetti tutto ciò che non è stato in questi ultimi anni.

 

Queste le caratteristiche che il sindacato rivendica per il prossimo management penitenziario, che ovviamente si aggiungono alle qualità di organizzazione e di direzione insite nella figura dirigenziale.

 

Tracciato l’identikit a mio giudizio non prioritaria diventa la sua estrazione professionale.

 

Certo che, come al solito, le proposte di Antigone affascinano per gli elementi di novità che sanno sempre offrire.

 

Non sarà sicuramente la Cgil a negare quelle possibilità di evoluzioni e di cambiamento del sistema  che stanno dietro l’idea di un nuovo dirigente penitenziario, differentemente esperto.

Stampa articolo

Invia articolo