ANTIGONE ONLUS
per i diritti e le garanzie nel sistema penale
L'Editoriale di Patrizio Gonnella: Per credere nella giustizia
Antigone presenta i risultati di una ricerca europea: Il Garante dei diritti delle persone private della libertà in Europa di Simona Filippi
Il Vaso di Pandora: l'Osservatorio regionale del Lazio di Roberta Bartolozzi
Il Ministro ci risponde sul rispetto del Regolamento di Susanna Marietti
L’EDITORIALE: Per credere nella giustizia di Patrizio Gonnella
Non sappiamo ancora chi farà il Ministro della Giustizia. Sappiamo, però, che il suo compito sarà a dir poco difficile. In un quadro politico parlamentare dove i numeri risicati consentiranno ben poche riforme, la gestione amministrativa acquisterà peso notevole. Prima di tutto, e soprattutto, va fatto un lavoro culturale. Esiste una percezione diffusa della profonda iniquità del nostro sistema della giustizia. È venuto meno il rapporto fiduciario tra la cittadinanza e la macchina della giustizia italiana. Gli ultimi cinque anni di governo hanno accentuato questo sentimento di diffidenza e di delusione. Le leggi ad personam, i processi infiniti, le carceri straboccanti, le polemiche feroci tra settori della politica e l’intera magistratura hanno prodotto uno iato che sarà difficile sanare. La giustizia va tolta dal triste dibattito elettorale e sottratta al giogo delle corporazioni. Un governo nuovo della giustizia deve saper volare alto. Deve ricostruire un senso collettivo di fiducia, senza alimentare paure o desideri di vendetta. Deve contribuire a ricreare le fondamenta di una nuova coesione sociale. Se pochi credono nella giustizia, molti meno sentiranno la loro appartenenza alla comunità. Un buon Ministro della Giustizia deve sì preoccuparsi di far funzionare la macchina amministrativa, ma deve altresì preoccuparsi di tessere i fili di un legame tra politica, operatori del diritto e collettività. La coesione sociale non si costruisce promettendo misure drastiche contro la criminalità o sposando le posizioni di alcuni attori del sistema contro altri. Sarebbe necessaria invece una sorta di grande Conferenza programmatica sulla giustizia dove avvocati, magistrati, associazioni, forze politiche e sindacali finalmente ragionino insieme, discutano, propongano liste di priorità. Il lavoro culturale di cui parliamo comporta una rinuncia a scelte demagogiche o a facili tentazioni linguistiche. Mai più vorremmo un Ministro che a qualsiasi titolo o contro qualsiasi nemico assuma misure o evochi espressioni che richiamino la “tolleranza zero”.
Antigone presenta i risultati di una ricerca europea: Il Garante dei diritti delle persone private della libertà in Europa. di Simona Filippi Il 28 aprile sono stati presentati a Roma i risultati della Ricerca europea Agis 2004 “Libertà in carcere” sul Garante dei diritti delle persone private della libertà in Europa. La ricerca, della durata di un anno, è incentrata sull’analisi dell’istituto dell’Ombudsman nei venticinque paesi europei. In modo specifico, si sono analizzati le funzioni e i poteri di questa figura nel settore penitenziario, attraverso fonti giuridiche e normative, ricerche su internet e contatti diretti con il personale che opera negli uffici. L’Ombudsman è presente in quasi tutti gli stati europei: dalla storica figura svedese di Commissario parlamentare, l’istituto è oggi generalmente riconosciuto come Difensore dei cittadini, ponte tra la società civile e gli apparati amministrativi: ogni persona che si ritiene vittima di un’ingiustizia da parte della Pubblica Amministrazione vi si può rivolgere. L’Ombudsman si è evoluto nelle differenti legislazioni e soprattutto nella prassi applicativa verso un modello con caratteristiche assai simili: definito in Spagna come Defensor del pueblo, in Italia si passa dalla denominazione di difensore civico a quella di Garante, una sorta di authority differente da una figura giuridica cui, secondo tradizione, spetta l’esclusiva in tema di difesa dei diritti. In Francia, paese dalla forte tradizione repubblicana e centralista, troviamo la denominazione di Mèdiateur de la République, mentre in Inghilterra, culla del pensiero liberale, si cerca il contrappeso al potere statale nel modello delle Authority. Pur in presenza di così diverse definizioni giuridico-formali e pur essendo l’Ombudsman sorto in tempi e occasioni storiche diverse, nonché per soddisfare specifiche esigenze dei vari Stati, la sua forza è generalmente riconosciuta nella posizione di autonomia dal Governo e dalla Pubblica Amministrazione. Nella varietà dei modelli, troviamo alcuni elementi ricorrenti: - potere di accogliere i reclami e le richieste del cittadino, singolo o in associazione, nei confronti della Pubblica Amministrazione; - funzione di controllo, che si concretizza nel potere di svolgere indagini e di accedere ai documenti; - facoltà di esprimere critiche, fare raccomandazioni e dare pubblicità ai casi che vengono denunciati, indagati e seguiti. In quasi tutti i paesi europei, l’Ombudsman è un organo rivolto ai cittadini con competenze specifiche, più o meno estese, nel settore penitenziario. Fanno eccezione alcuni Stati: il Regno Unito e l’Irlanda dove esiste un Ombudsman specifico in questo settore; la Francia dove il Médiateur non ha competenza in ambito penitenziario ma nel corso del 2005 è partita una sperimentazione locale in questo settore. Questi alcuni dei dati emersi dalla ricerca: ü In 23 paesi, l’Ombudsman è nominato a livello nazionale. In un paese, l’Italia, a livello locale. In Germania non esiste. ü In 14 paesi l’Ombudsman è titolare di poteri ispettivi. ü In 5 paesi è articolato anche a livello territoriale. ü In 8 paesi ha competenza anche nei Centri per immigrati irregolari; in 12 paesi nei Commissariati di polizia. Nella parte finale della ricerca, viene elaborato un modello ideale di garante: una struttura indipendente con compiti e mandato specifico in materia di detenzione. Gli organismi generici non assicurano competenze idonee, visitano raramente gli istituti, sono spesso assorbiti da compiti attinenti più genericamente alla difesa dei cittadini dalle vessazioni delle pubbliche amministrazioni. Un organismo nazionale: i diritti vanno declinati su scala nazionale per evitare disomogeneità applicative che sarebbero causa di sperequazioni di trattamento; e un organismo articolato territorialmente: in paesi grandi dove i detenuti sono decine di migliaia, dove una città dista centinaia di chilometri da un’altra città, dove le culture locali sono molto diverse, dove gli enti locali hanno sensibilità differenti, l’articolazione locale è garanzia di effettività e reale presa in carico di quei micro-problemi che costituiscono spesso l’origine dei conflitti in ambito penitenziario. L’osservazione che prevale è la necessità di riconoscere all’Ombudsman funzioni e poteri più ampi possibili, soprattutto i poteri ispettivi: facoltà di visitare, anche senza preavviso, i luoghi di detenzione; diritto di accedere in tutti i luoghi e a tutti i sistemi di informazione dell’istituto, nonché il diritto ad avere colloqui confidenziali con il personale dell’ufficio o istituto e con gli internati; diritto di richiedere spiegazioni orali o scritte all’ufficiale le cui attività sono oggetto d’indagine senza che possa essere invocato il segreto d’ufficio; facoltà di nominare esperti al fine di rendere effettive le attività ispettive e di controllo.
a cura del Coordinamento Osservatorio Nazionale
L'Osservatorio Regionale della Lazio di Roberta Bartolozzi Sono ben 450.000 gli euro che la Regione Lazio ha stanziato - nel Bilancio del 2006, appena pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Regionale - per opere di ristrutturazione da effettuarsi all’interno della casa circondariale di Regina Coeli. E’ sotto la spinta dell’assessore al Bilancio, Luigi Nieri, che la Regione Lazio, facendo proprio un intervento che avrebbe dovuto essere di competenza statale, va a dare un contributo a un carcere in stato di avanzato degrado. L’impegno dell’assessore nasce in seguito ad una visita fatta insieme a Mauro Palma (componente italiano del Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura) e Patrizio Gonnella (presidente di Antigone) lo scorso 30 dicembre. In quell’occasione, come sempre accade, i visitatori sono stati indirizzati verso i bracci della prima rotonda, ossia quelli più “dignitosi”. Ma sotto suggerimento degli stessi detenuti i tre si sono spinti fino alla seconda rotonda, dove nessuno va mai. Qui hanno visitato due bracci, il quinto e il sesto (uno dei quali dedicato ai giovani adulti, ossia ai detenuti di età compresa tra i 18 e i 25 anni, che la legge prevede debbano essere separati dagli adulti) del tutto privi di riscaldamento e dotati solo di acqua fredda. I detenuti erano intirizziti, sempre con i cappotti addosso, con la difficoltà oggettiva di lavarsi e tutti i problemi di salute che l’esposizione costante al freddo comporta. Tutto ciò quando il nuovo Regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario (in vigore dal 20 settembre del 2000) prevederebbe addirittura acqua calda in tutte le celle! A questo dato di fatto sconcertante si aggiungono altre problematiche non meno gravi: il sovraffollamento (secondo informazioni recentissime, l’istituto avrebbe raggiunto la soglia dei 1.000 detenuti, contro l’effettiva capienza di 800); malfunzionamenti del centro clinico interno (al punto che molti lavori che sarebbero compito degli infermieri vengono nella prassi effettuati dai “piantoni”, comuni detenuti affiancati ad altri detenuti malati al fine di supportarli nella vita quotidiana); lentezza nei ricoveri esterni; possibilità di accesso al Ser.t. da parte dei detenuti tossicodipendenti sottoposti a terapia di metadone solo al mattino, per carenza di personale; e molto ancora. Si parla da tempo della necessità di chiudere Regina Coeli, carcere cittadino ospitato in un vecchio edificio malmesso della Roma antica. Non è così, crediamo, che si risolvono i problemi dell’istituto, né di questo né di ogni altro che viva situazioni analoghe. Allontanare il carcere dal centro della città, spostarlo dallo sguardo dei cittadini e collocarlo nella periferia, aggiunge problemi a problemi, isolando ancor più le persone che vi vivono, tanto nella percezione sociale quanto nella vita quotidiana. Quante esperienze abbiamo in Italia di carceri prive di collegamento con i borghi abitati, dove i parenti stentano ad andare ai colloqui e gli avvocati riducono i loro rapporti a vaghe relazioni epistolari! A meno di ragionare su un serio intervento di integrazione dell’eventuale nuova struttura, non è questa la via da percorrere. Avere un appartamento al centro di Roma è un vanto per chiunque, i ricchi proprietari ristrutturano le loro case sperando però che continuino a dimostrare tutti i loro anni. Con un serio impegno, possiamo permetterci di ristrutturare Regina Coeli, e la Regione Lazio ha dato un’indicazione importante a questo proposito. L’intervento della Regione Lazio – originale per appropriazione di competenze e innovativo come constatazione di fatto rispetto al passato - oltre a colmare le lacune del Ministero, vuole lanciare un forte segnale nella speranza di mettere in moto lo Stato ad investire in opere di adeguamento a condizioni di vita dignitose, quali quelle delineate nel già citato Regolamento di esecuzione, ma anche indicate dagli organismi sovranazionali. Proprio pochi giorni fa, Antigone ha reso pubblico il nuovo rapporto del Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura – il quarto che il Comitato del Consiglio d’Europa abbia dedicato alle nostre galere - che denuncia condizioni di vita degradanti nelle carceri italiane.
Per contattare l'Osservatorio Regionale del Lazio: osservatoriolazio@associazioneantigone.it .
Il Ministro ci risponde sul rispetto del Regolamento di Susanna Marietti
Nel giugno del 2005, su nostra segnalazione, l’On. Giuliano Pisapia presentò un’interrogazione parlamentare nella quale chiedeva al Ministro della Giustizia alcune delucidazioni in merito all’adeguamento - o al mancato adeguamento - delle carceri italiane a una serie di norme inserite nel Regolamento di esecuzione dell’Ordinamento Penitenziario entrato in vigore nel settembre del 2000. Tra le altre disposizioni, il Regolamento prevedeva infatti una serie di interventi strutturali da effettuarsi negli istituti penitenziari entro cinque anni dalla sua stessa entrata in vigore. Solo per fare un esempio, negli istituti di pena nei quali i servizi igienici fossero collocati all'interno delle camere di detenzione, si prescrivevano ristrutturazioni per creare appositi vani annessi alle camere, con servizi igienici forniti di acqua corrente, calda e fredda, e dotati di lavabo e doccia (articolo 7); si prevedeva anche, tra l’altro, la disposizione di appositi spazi all’aperto – le cosiddette “aree verdi” – per effettuare i colloqui (articolo 37, comma 5). Visto che, a quanto risultava dal lavoro dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione di Antigone, poco o niente risultava essersi mosso in questa direzione, Pisapia chiedeva al Ministro interrogato di voler relazionare sugli interventi fatti e su quelli programmati al proposito. Finalmente, è arrivata negli ultimi giorni di reggenza l’attesa risposta. Un elenco di istituti viene presentato, nei quali si sarebbe provveduto a un totale o a un parziale adeguamento. Fa parte dell’elenco il carcere di Civitavecchia, dove a noi risulta che non vi sia acqua calda nelle celle e tanto meno doccia. Vi compare anche l’istituto di Bergamo, dove i servizi igienici delle celle non sono situati in vani separati rispetto a quelli dove si trovano i letti, sono privi di docce e non sono forniti di acqua calda, e dove mancano gli spazi all’aperto destinati ai colloqui. Troviamo anche l’istituto padovano, che ospita circa il doppio dei detenuti che potrebbe contenere e dove i bagni delle celle non sono dotati di doccia e non hanno neanche loro l’acqua calda. Troneggia il nome di Milano Opera, dove in una sola sezione i servizi igienici sono dotati di doccia. A Napoli Secondigliano, anch’esso voce della lista, le docce si trovano solo all’esterno della cella. Napoli Poggioreale è però la vera raffinatezza dell’elenco ministeriale: qui le condizioni di vita sono sotto ogni profilo al di sotto della decenza, mancano adeguati spazi per la socialità, nelle celle convivono fino a 18 persone con a disposizione un unico bagno e un unico tavolo e, inutile dire, non c’è un’area verde e le docce sono solo esterne alle celle. Forse negli ultimi mesi – da quando cioè abbiamo fatto richiesta di rinnovo delle autorizzazioni a svolgere il nostro lavoro di osservazione in giro per le carceri d’Italia, senza aver ottenuto alcuna risposta – il Ministro della Giustizia si è dato un gran da fare. O forse, più verosimilmente, a via Arenula si corre troppo con la fantasia.
a cura della Redazione
Venerdì 26 maggio a sabato 3 giugno 2006 - V edizione del RomaDocFest, Festival Internazionale del documentario di Roma, che si svolgerà da presso il Cinema Trevi Cineteca Nazionale in Vicolo del Puttarello 25, a due passi dalla Fontana di Trevi. Quest’anno il tema del Romadocfest è “La normalità e la diversità (A proposito di diversità, che cos’è la normalità?)”. L’associazione Antigone ha collaborato alla presentazione di una piccola sezione di servizi, inchieste e documentari sulla situazione degli istituti di detenzione nel nostro paese dal titolo Indagine sulle carceri in Italia. Per maggiori informazioni e per il programma completo del Festival, consultate il sito: www.romadocfest.it .
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