ANTIGONE ONLUS

per i diritti e le garanzie nel sistema penale


La newsletter di Antigone è a cura di Nunzia Bossa e Patrizio Gonnella - Numero 32 (Giugno 2006)

 

                                          In questo numero:                                          

 

 


 

In questo numero manca le sezione
'Brevi' a causa di un
inconveniente tecnico.
Ce ne scusiamo con i lettori.

 


 

 

 

 

 

 

 

 

L’EDITORIALE: Una nuova stagione politica*

di Stefano Anastasia

 

Passato l’ingorgo istituzionale, la XV legislatura e il secondo Governo Prodi iniziano la loro avventura. Con loro inizia il ‘dopo-Berlusconi’ e, per quanto ci riguarda, il ‘dopo-Castelli’, il ‘dopo-Fini’ e il ‘dopo-Giovanardi’. Debutta una nuova stagione politica, eppure ci si muove a tentoni. Il quadro politico, si sa, non è quello previsto fino a poche settimane prima delle elezioni: la nuova legge elettorale da una parte, e il genio politico di Berlusconi dall’altra, hanno ridotto al lumicino la maggioranza parlamentare di centro-sinistra. Che ne sarà delle innumerevoli pagine del programma dell’Unione? Quanti di quegli impegni saranno mantenuti? La risicata maggioranza sarà un alibi per l’inerzia o l’occasione per una maggiore compattezza e fedeltà a quel minimo comune denominatore programmatico sottoscritto a inizio anno? Sono questi gli interrogativi aperti in questi giorni.

Certo è che una rilevanza particolare avrà la qualità del Governo e la direzione politico-amministrativa delle sue strutture. E’ finanche banale dirlo: con quei numeri in Parlamento, la capacità di gestire e indirizzare la macchina amministrativa in senso riformatore è essenziale. Lo è sempre, nel breve come nel lungo periodo, se non si vuole appendere le riforme alla statica eleganza del dover essere. Lo è particolarmente in questa fase, quando si cercano segnali di cambiamento che il Parlamento solo nel tempo, e a fatica, sarà in grado di dare. Non a caso Antigone ha voluto dedicare il suo primo incontro post-elettorale alla riforma dell’amministrazione penitenziaria e alla sua capacità di rispondere alla funzione che le attribuisce la Costituzione, laddove stabilisce che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. D’accordo Sandro Battisti (Margherita), che sottolinea la necessità di distinguere le politiche le politiche di sicurezza e di contrasto della criminalità da quelle dell’esecuzione penale, mentre Massimo Brutti non ha timore a sbilanciarsi fino a dire che nella gestione delle carceri il centro-sinistra si giocherà gran parte delle sue cartucce sul versante della giustizia penale. Staremo a vedere.

Intanto, riparte la discussione sulla possibilità di varare un provvedimento di clemenza, capace di alleggerire la pressione del sovraffollamento penitenziario e di dare un segnale di inversione di tendenza nelle politiche penali. Giustamente Romano Prodi, rispondendo alle sollecitazioni di Marco Pannella, dice che questo è il momento giusto, a inizio di legislatura, lontano da ricatti elettorali. Solo ora infatti le armi degli imprenditori politici dell’insicurezza, degli sciacalli della paura della criminalità, sono spuntate, impossibilitate a generare la corsa al ribasso che ha fatto naufragare i recenti e ripetuti tentativi di raggiungere il più alto quorum parlamentare, quello che non è richiesto per l’elezione del presidente della repubblica, dei presidenti dei due rami del parlamento, dei giudici costituzionali, né tanto meno per le riforme della costituzione, ma è imposto al varo di qualsiasi provvedimento generalizzato di clemenza. L’avevamo detto all’indomani dell’ultimo naufragio, dopo la marcia di Natale e la convocazione straordinaria della Camera alla vigilia di San Silvestro: un provvedimento deflativo della popolazione detenuta è una necessità irrinunciabile del nostro sistema penitenziario, se non si vuole mandare alle ortiche anche il secondo dei principi costituzionali in materia di esecuzione penale, e cioè che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità. Lo sa bene il nuovo Presidente della Repubblica, che per la sua ultima manifestazione di piazza, nel dicembre scorso, scelse proprio la marcia di Natale per l’amnistia. Alle forze politiche spetta la responsabilità di riconoscere questa urgente necessità, ne va della loro credibilità e autorevolezza. Unione, Forza Italia e Udc (le forze disponibili a discutere di una simile, impegnativa scelta) in questa legislatura fanno i due terzi di ciascuna camera. Non resta che metterle alla prova dei fatti.

Fondata, del resto, è la preoccupazione di quanti richiamano l’attenzione sui fattori di accumulazione di un simile sovraffollamento penitenziario (che, giova ricordarlo, non ha precedenti nella storia dell’Italia repubblicana). E allora il Parlamento dovrà fare i conti con le tre terribili leggi della passata legislatura: la legge Cirielli contro i recidivi, la legge Bossi-Fini contro gli immigrati e quella Fini-Giovanardi contro i consumatori di droghe. Lo ricordava il neo-presidente dei senatori di Rifondazione comunista Giovanni Russo Spena, all’indomani dell’annuale appuntamento della Million marijuana march. Per ora sulla popolazione detenuta sono visibili solo gli effetti della legge sull’immigrazione: nel corso del 2005, 9.000 sono stati gli ingressi in carcere per il mancato allontanamento dal territorio italiano di immigrati soggetti a provvedimento di espulsione perché privi di titolo di soggiorno; più di tremila dei sessantamila detenuti sono in carcere in virtù di questo reato senza vittime, conseguente alla trasgressione di un diktat amministrativo. E sono attesi come fiumi in piena gli effetti della legge Cirielli e del decreto Fini-Giovanardi, approvati agli sgoccioli della legislatura e a regime da poche settimane. Servirà dunque una capacità di iniziativa e di confronto parlamentare, per cancellare queste vergogne e per spostare più avanti la barra della legislazione in materia. Si pensi solo alla proposta del cartello ‘dal penale al sociale’, prontamente riproposta da Marco Boato, che farebbe giustizia non solo delle oscenità della Fini-Giovanardi, ma anche delle stesse ambiguità della legislazione precedente. Il sentiero è stretto, ma non bisogna disperare della capacità di mantenere in parlamento gli impegni presi in sede programmatica (riforma del codice penale, della legislazione sulla droga e sull’immigrazione, istituzione del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà, ecc.) e magari anche della possibilità di conseguire maggioranze più ampie di quella governativa: con il passaggio all’opposizione, gruppi e singoli parlamentari del centro-destra possono liberarsi del ricatto leghista e fascista che nella passata legislatura ha imposto, p. es., la nuova legge sull’immigrazione e ha impedito l’istituzione del Garante dei diritti delle persone private della libertà. Una legislatura difficile, insomma, ma ancora tutta da scrivere.

 

   * L'articolo è tratto dall'ultimo numero di Fuoriluogo

 

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Miganti in Italia, quale futuro

di Gennaro Santoro

 

Il dibattito sulla regolarizzazione, il programma dell’Unione e la questione CPT: immediata chiusura o superamento?

Finalmente! Una ventata di speranze giunge dal nuovo Ministro della Solidarietà Sociale Ferrero che prospetta la regolarizzazione dei migranti in fila alle poste nel marzo scorso ed una nuova politica dell’immigrazione attenta al sociale e all’inclusione, che riduca ad extrema ratio l’intervento repressivo dello stato nei confronti dei migranti favorendo politiche di ingresso e permanenza regolare. Una politica che, a detta del neoministro, permetterà di ‘superare i CPT’ e che viene lanciata in occasione della visita al CPA di Lampedusa, dove si assiste all’ennesima farsa di una ‘emergenza clandestini’: come se non si sapesse che col bel tempo di primavera, gli sbarchi – con il loro carico di sofferenze e di morte – diventano numerosi; come se si dimenticassero gli eventi tragici della scorsa primavera fatti di sbarchi e di respingimenti senza pause, senza diritti e senza umanità. Eppure ecco le destre aizzare le masse, accusando il neoministro di ‘favorire’ tali eventi e, sul versante del centro sinistra, il Ministro dell’Interno che cerca di frenare, di abbassare il tiro dichiarandosi favorevole ad una estensione delle quote ma, al contempo, contrario ad una abrogazione tout court della Bossi-Fini.

Insomma, nulla di nuovo. Ma con l’importante novità di dichiarazioni programmatiche forti,  che sin dall’apertura della nuova legislatura rilanciano con vigore la questione migranti in una chiave opposta a quella cui abbiamo assistito attoniti negli ultimi 5 anni.

Una politica che ha investito l’80% delle risorse destinate al fenomeno migratorio  alla sicurezza e alla criminalizzazione del migrante, come rilevato criticamente dalla stessa Corte dei Conti nei suoi ultimi bilanci. Eppure nel Consiglio europeo di Tampere dell’ottobre 1999 è stata solennemente affermata la necessità e la volontà di adottare una politica comune dell’immigrazione e dell’asilo  separata dalle questioni di sicurezza e giustizia penale.

In altre parole si è ben capito che la questione migranti non può essere risolta sul piano penale e deve essere ricondotta e gestita sul piano sociale, motivo per cui le preoccupazioni mosse dalla destra di un possibile ‘allontanamento dell’Italia dall’Unione Europa per le dichiarazioni di Ferrero’, lasciano il tempo che trovano, rappresentano la solita demagogia della quale la nostra politica non sembra riuscire a fare a meno.

Eppure qualcosa di importante, in occasione della redazione del programma dell’Unione, è avvenuta, e le dichiarazioni del neoministro Ferrero devono lasciarci intendere che vi sono chiari segnali perché tale chance non venga gettata alle ortiche.

Il coinvolgimento diretto dei migranti e delle associazioni del settore ha permesso la stesura di un documento programmatico inedito, completo e ben articolato. Ora tocca alla società civile diffondere i contenuti del programma, per creare una nuova cultura della cittadinanza c.d. di residenza nella società italiana, nel sapere e nel dire comune, che resta ancorato alla stigmatizzazione del migrante come pericolo per la sicurezza pubblica. Solo una evoluzione della cultura diffusa potrà, per così dire, obbligare i nostri rappresentati a rispettare gli impegni assunti. La famigerata vittoria risicata e la conseguente difficoltà strutturale di realizzare vere e proprie riforme legislative, così come le incertezze che ancora perdurano all’interno dell’attuale maggioranza in ordine ad aspetti di primaria importanza - come è nel caso dei CPT, dove non è ancora chiaro se li si vuole superare o chiudere senza se e senza ma, devono vederci impegnati in prima linea perché gli aspetti salienti del programma vengano effettivamente condivisi ed attuati. 

In altre parole credo che nel dibattito culturale e politico del paese bisognerebbe partire dai punti maggiormente condivisi evitando, almeno in una prima fase, scontri diretti sulle questioni controverse che condurrebbero inevitabilmente all’empasse delle attività istituzionali, con lo scontro tra area moderata e area radicale dell’Unione che l’opposizione già attualmente cavalca come un cavallo di Troia. 

Allora, entrando finalmente nel merito del programma, ecco che le prime riforme da fare – accanto all’ampliamento del precedente decreto flussi - dovranno evidentemente riguardare l’abrogazione del contratto di soggiorno e delle altre aberrazioni introdotte dal precedente governo e l’attuazione di una nuova politica degli ingressi e del soggiorno che parta dal corollario secondo il quale “gli stranieri non sono ospiti in prova perenne”, non sono merce di scambio ma titolari di diritti e doveri alla pari del cittadino autoctono.

Bisognerebbe dunque favorire le vie legali all’immigrazione, creando una convenienza all’ingresso regolare, eliminando la finzione dell’incontro a distanza tra domanda e offerta di lavoro e adeguando le politiche degli ingressi alla necessità concreta ed attuale dell’offerta di lavoro. Come viene affermato chiaramente nel programma,  la programmazione dei flussi d’ingresso per lavoro a vocazione stabile deve essere flessibile. Tale flessibilità può essere aumentata tramite: lo scorporo dalla programmazione triennale di alcune categorie di lavoratori, ad esempio collaboratori domestici e di cura, per i quali si può ipotizzare un canale continuativo d’ingresso su domanda; una politica attiva di attrazione di studenti immigrati e professionalità specifiche di alta qualificazione, grazie a pacchetti di sostegno che non si limitino alla concessione del permesso di soggiorno. Per rendere poi meno precaria la presenza e la legalità del soggiorno dei migranti, ovvero per superare la situazione attuale per cui, per il singolo soggetto straniero, è facilissimo passare da una posizione regolare a una irregolare, mentre è praticamente impossibile il percorso inverso, il programma propone una semplificazione dei  meccanismi d’ingresso e stabilizzazione del migrante tramite:

  • l’introduzione del permesso annuale per ricerca di lavoro, da rilasciare in seguito a prestazione di precise garanzie economiche;
  • la reintroduzione della figura dello sponsor, privato, imprenditoriale o istituzionale;
  • l’istituzione di un meccanismo di regolarizzazione permanente ad personam per lo straniero in possesso di determinati requisiti;
  • la previsione di norme che regolino la possibilità di convertire permessi brevi in permessi di lavoro;
  • l’introduzione di permessi di soggiorno di durata più ragionevole e crescente ad ogni rinnovo.

Sempre nella prospettiva di una sorta di “umanizzazione” della normativa relativa allo straniero si propone il passaggio dalle questure (e dalle poste) agli enti locali delle competenze amministrative successive al primo ingresso e l’introduzione di garanzie sui tempi entro i quali devono essere concluse le pratiche, per evitare che le lungaggini procedurali possano creare danni e lesione dei diritti degli interessati. Per altro verso vengono messe in rilievo le politiche dell’integrazione e del welfare, dal potenziamento degli sportelli di orientamento e consulenza legale alle politiche abitative e di contrasto al mercato nero degli affitti, di assistenza socio-sanitaria e di incentivo all’occupazione.

Si passa poi al tema dei diritti civili e politici, con la proposta di introdurre finalmente una regolamentazione organica e garantista del diritto di asilo, il riconoscimento del diritto di voto alle elezioni amministrative, la modifica delle regole in tema di acquisizione della cittadinanza, una semplificazione della procedura per l’acquisizione della carta di soggiorno.

Tutte le riforme menzionate inequivocabilmente contribuiscono ad implementare il passaggio da una politica e da una cultura dell’esclusione ad una politica e ad una cultura dell’inclusione e dell’integrazione del migrante nel tessuto sociale italiano. Tali riforme avrebbero poi delle ripercussioni positive anche nel campo della sicurezza e nel sistema delle espulsioni. In primo luogo perché lo status di irregolare diventerebbe l’eccezione e non la regola motivo per cui il fenomeno dell’irregolarità sarebbe ricondotto a dimensioni, per così dire, fisiologiche quindi gestibili in maniera maggiormente adeguata, ovvero rispettosa dei diritti fondamentali. In secondo luogo perché i diversi interventi sul piano del riconoscimento dei diritti civili e sociali inevitabilmente porterebbero da un lato ad incentivare la convenienza ad un inserimento sociale, culturale e lavorativo, e, per altro verso rappresenterebbero un deterrente all’attrazione del migrante nei percorsi della  devianza.

Per questo ordine di ragioni dare priorità a tali battaglie non vuol dire accantonare l’idea di chiudere i lager del terzo millennio; vuol dire invece riportare la questione dei migranti dal penale al sociale, delegando ad extrema ratio l’intervento coattivo dello Stato.

Le misure individuate nel programma, con l’accordo di tutte le parti, per concretizzare il superamento dei CPT, sono le seguenti:

- graduare le misure di espulsione, modulandole sul grado di integrazione e situazione personale;

- prevedere sanzioni limitate e un meccanismo premiale per l’immigrato irregolare che collabora all’identificazione e al rimpatrio;

- consentire alle autorità di pubblica sicurezza di utilizzare misure di sorveglianza di pubblica sicurezza dove il trattenimento non sia necessario.

Dalla introduzione di tali riforme il programma postula il c.d. superamento dei CPT, senza entrare nel merito della gestione dei centri fin quando tale fase di (presupposta) transizione persista. Abbiamo già evidenziato che le ragioni di tale genericità sono dettate dalla volontà  politica  di evitare lo scontro tra area moderata e area radicale dell’Unione; ora si tratta di partire dai principi condivisi in tema di espulsione per porre in essere una regolamentazione organica e garantista anche in tema di sicurezza.

A tale proposito ci viene in aiuto l’unico disegno di legge presentato nella precedente legislatura in questo specifico ambito, promosso dall’Associazione Antigone e firmato dai rappresentanti di tutte le forze dell’Unione nel luglio scorso.

Il disegno di legge si prefigge di trasformare i CPT in luoghi con la funzione (umanitaria) di prima accoglienza dei migranti appena giunti in Italia. Nello stesso tempo prospetta l’abrogazione dell’attuale procedura di espulsione/intimazione coatta sostituendola con una nuova procedura interamente giurisdizionalizzata. In altre parole chi oggi è destinatario di un provvedimento di espulsione o allontanamento potrebbe eccepire l’illegittimità dello stesso innanzi al giudice ordinario (e non più il giudice di pace) e non potrà essere espulso fino a quando non intervenga la decisione dell’autorità giudiziaria. L’accoglimento del ricorso potrà avvenire anche nei casi in cui, pur essendo legittimo il provvedimento d’espulsione, l’interessato adduca ragionevoli motivi che giustificano il soggiorno regolare nel nostro paese (c.d. regolarizzazione permanente); nelle ipotesi di rigetto del ricorso, inoltre, il giudice potrà liberamente determinare il periodo di tempo di interdizione al rientro in Italia, venendo meno la regola secondo cui tale divieto operi di regola per un periodo di 10 anni o, eccezionalmente, per almeno 5 anni. A tutela dell’ordine pubblico e della effettività delle espulsioni legittime viene introdotta la misura della sorveglianza speciale – disposta dal questore con decreto motivato e sottoposta alla convalida del giudice entro 48 ore - ossia, l’obbligo per chi è destinatario di un provvedimento espulsivo di dichiarare un domicilio dove dovrà rendersi reperibile in determinate ore del giorno; in via sussidiaria, ossia, per chi non abbia alcun luogo dove poter eleggere domicilio, quest’ultimo potrà essere eletto presso i CPT. Naturalmente, vi dovrà essere l’impegno della società civile e degli enti locali per creare strutture idonee dove lo straniero senza dimora possa eleggere domicilio senza essere costretto a passare alcune ore della giornata in CPT. In ogni caso dovrà essere redatto un regolamento chiaro che disciplini nel dettaglio la trasparenza di tali strutture, eliminando l’attuale discrezionalità assoluta del Ministero dell'Interno e dei singoli prefetti in ordine alla possibilità di accesso nei CPT di soggetti qualificati - quali autorità, giudiziarie e non, con funzioni di controllo, operatori, medici e legali delle organizzazioni della società civile che si occupano di immigrazione e diritti umani, di giornalisti e operatori dell’informazione, nonché di rappresentanti delle istituzioni e degli enti locali. Per altro verso il ddl propone di inserire un meccanismo premiale nei confronti dello straniero che si attenga alle prescrizioni impartite nel provvedimento che dispone la sorveglianza speciale, ossia, in caso di rigetto del ricorso e conseguente esecutività del provvedimento espulsivo, non solo non vale la regola del divieto di rientrare in Italia per almeno 5 anni ma anche non viene effettuata la segnalazione al SIS, in tal modo incoraggiando il rispetto delle prescrizioni impartite; nei confronti di chi si renda irreperibile può invece scattare l’arresto fino ad un mese, così come, nei confronti di chi rientri in Italia contravvenendo l’interdizione al rientro per un determinato periodo di tempo l’espulsione è immediatamente esecutiva. 

 

La versione integrale dell’articolo, nonché la scheda completa ‘Migranti in Europa’ di questo mese, a cura delle associazioni Antigone e Progetto Diritti,  è disponibile sul sito: www.associazioneantigone.it  nella sezione 'Migranti in Europa'.

 

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Il Vaso di Pandora

a cura del Coordinamento Osservatorio Nazionale

 

L'Osservatorio Regionale del Piemonte e della Valle d'Aosta

di Giovanni Torrente

 

La sanità penitenziaria piemontese tra mancate riforme e disfunzioni organizzative

In questi mesi di visite nelle carceri piemontesi ci si è potuti rendere conto della distanza effettiva fra, da un lato, i principi, le regole, i diritti e, dall’altro, i fatti. Si è potuta tastare con mano la relatività del concetto di pena: 5 anni di carcere non sono la stessa cosa se li vivi a Torino piuttosto che a Novara, ad Alessandria piuttosto che ad Ivrea. La pena, con buona pace dei principi su cui si fonda il moderno Stato di diritto, varia terribilmente, nella gravità, nella sofferenza, nella speranza di un possibile rientro attivo in società, sulla base del luogo dove si verrà inviati a trascorrere il proprio tempo da recluso. Ed insieme alla pena cambia il concetto di diritto e la natura dei diritti. Qualche mese fa al sottoscritto è capitato di scrivere una dissertazione sul diritto alla salute in carcere, sul dover essere della tutela di tale diritto all’interno delle mura di un penitenziario. Mentre scrivevo, ed eravamo ai primi mesi in cui facevo delle visite in carcere per l’Osservatorio, il pensiero cadeva inevitabilmente sulla realtà, sulla distanza fra le previsioni contenute nell’Ordinamento Penitenziario, nel Regolamento d’Esecuzione ed in tutte le fonti normative che stavo richiamando per l’occasione e quella che è la realtà che iniziavo a conoscere attraverso le visite nei penitenziari piemontesi. Oggi, quando ci stiamo avvicinando all’inizio di un nuovo ciclo di visite per il nostro Osservatorio, si impongono alcune riflessioni su ciò che è, su ciò che abbiamo osservato in questi mesi di viaggi fra i penitenziari piemontesi, su una realtà multiforme e per molti versi incredibile.

Si diceva, 5 anni di carcere non sono la stessa cosa se li trascorri a Torino piuttosto che a Alessandria o a Biella o a Ivrea o a Novara. Neppure un infarto è la stessa cosa se lo si ha ad Ivrea piuttosto che a Torino. In questi mesi si è potuto osservare come l’analisi dell’effettiva tutela del diritto alla salute dei detenuti all’interno della nostra regione presenti una situazione che può essere definita “a macchia di leopardo”.

Occorre al riguardo iniziare con l’osservare una prima fondamentale variabile che evidenzia l’eterogenea situazione delle carceri piemontesi: la presenza di farmaci all’interno degli istituti. Da questo punto di vista la metafora della pelle di un leopardo pare essere assolutamente efficace nel rappresentare la situazione dei penitenziari piemontesi. Se si esclude la Valle d’Aosta, regione a statuto autonomo dove l’approvvigionamento dei farmaci è garantito dalla Regione, la fornitura dei farmaci ai singoli istituti penitenziari è di competenza delle singole ASL competenti sul territorio ove è situato il carcere le quali, attraverso Protocolli d’Intesa, dovrebbero fornire i medicinali di cui la struttura necessita. Purtroppo però, in diverse realtà, la fornitura di farmaci garantita dalle ASL è assolutamente insufficiente. In diverse occasioni abbiamo parlato con direttori che ci confessavano di essere assolutamente consapevoli del fatto che i medicinali forniti all’istituto sono insufficienti rispetto alle esigenze della popolazione penitenziaria; tali direttori ci riferivano di aver parlato con i responsabili delle ASL evidenziando il problema, ma di aver ricevuto soltanto risposte negative. Tali risposte si fondano sul fatto che una ASL ha delle esigenze di bilancio da rispettare e che quindi la fornitura di medicinali non può superare i limiti imposti da vincoli di natura economica. Si verifica quindi il drammatico paradosso per il quale un cittadino detenuto può vedere pienamente realizzata la tutela di un diritto costituzionalmente garantito solo a condizione di essere inviato in un carcere la cui ASL di competenza ha le possibilità finanziarie che permettono di fornire all’istituto tutti i medicinali di cui necessita. Negli altri istituti il motto è “Ci arrangiamo”. E l’arrangiarsi comprende molte pratiche, alcune delle quali legate alla fortuna o al caso. Nella C.C. di Alessandria, ad esempio, si è avuta l’impressione che la tutela sanitaria delle persone detenute all’interno dell’istituto fosse garantita grazie alla vicinanza dell’istituto con il maggiore ospedale cittadino. Tale vicinanza ha determinato nel tempo l’instaurazione di prassi abitudinarie – fondate, appunto, sulla vicinanza territoriale e sulla buona volontà degli operatori penitenziari e degli operatori ospedalieri - grazie alle quali le visite specialistiche e gli esami clinici possono essere garantiti in tempi ragionevolmente ristretti. Ciò avviene all’interno di un contesto nel quale la fornitura di farmaci da parte della ASL competente sugli istituti penitenziari presenti sul territorio (la C.C. e la C.R.) è apparsa palesemente insufficiente.

Accanto ai problemi oggettivi legati all’approvvigionamento dei farmaci, si è rilevato nel tempo un altro fattore che ha condizionato sensibilmente le valutazioni relative allo stato della sanità penitenziaria all’interno dei singoli istituti. In diverse realtà, come ad esempio ad Alessandria, si è riscontrata la massima collaborazione da parte delle direzioni nell’elencarci i problemi e le difficoltà che l’istituto incontrava nel garantire la tutela del diritto alla salute per i cittadini reclusi. In altri istituti, invece, ci siamo trovati di fronte alla negazione del problema. Presso tali realtà le risposte sono state spesso evasive; classica al riguardo la risposta “I farmaci sono forniti dalle ASL” senza specificare se tale fornitura sia realmente sufficiente rispetto ai bisogni dell’istituto. Inutile rilevare come all’interno di tali contesti sia stato difficile verificare la reale portata del problema.

In alcune situazioni le problematiche sono emerse a seguito delle denunce effettuate da qualche parlamentare, esperto in medicina, che dopo aver visitato singoli istituti penitenziari ha denunciato l’assenza di molti farmaci essenziali in un contesto caratterizzato dalla presenza di molte persone, alcune delle quali affette da gravi problemi di salute (ci si riferisce in particolare alle visite effettuate presso alcuni penitenziari piemontesi dal medico e parlamentare europeo Vittorio Agnoletto). In altri casi, a seguito delle nostre visite, ci sono giunte lettere di denuncia da parte di medici penitenziari che palesavano il proprio conflitto con l’amministrazione e le difficoltà nel compiere il proprio dovere di medico all’interno dell’istituto penitenziario.

Questi temi portano a proporre due ultime considerazioni relative all’esperienza di questi mesi dell’Osservatorio sulle condizioni detentive del Piemonte e della Valle d’Aosta e sullo stato della sanità penitenziaria nella nostra regione.

Gli ultimi tagli ministeriali hanno colpito pesantemente la gestione della sanità penitenziaria in tutti gli istituti che abbiamo visitato. Vi è una generale, progressiva, diminuzione delle ore date in affidamento ai medici specialisti che operano all’interno degli istituti. In molti istituti tali carenze finanziarie hanno portato alla cancellazione, o alla pesante riduzione in termini di ore date in affidamento, di convenzioni specialistiche estremamente importanti all’interno di un istituto penitenziario (si pensi a quelle con i medici psichiatri). All’interno di tale generale fase di crisi, l’impatto è stato però sensibilmente differente fra un istituto ed un altro. La carenza di fondi in alcuni istituti ha portato, letteralmente, allo sfascio della sanità penitenziaria. Sono state cancellate praticamente tutte le convenzioni con i medici specialistici, interi reparti costruiti per lo svolgimento degli esami diagnostici all’interno della struttura penitenziaria sono rimasti inutilizzati. Inoltre, in alcuni casi, sono sorti conflitti, anche gravi, fra le direzioni ed il personale medico che opera all’interno dell’istituto. Presso tali istituti penitenziari, a seguito della crisi determinata dalla carenza di risorse finanziarie, vi è stato il nulla. Le giustificazioni poste dalle direzioni di fronte all’evidente degrado della sanità all’interno dell’istituto paiono essere assolutamente ragionevoli: i tagli finanziari impediscono di remunerare gli specialisti per il lavoro svolto e quindi alcune convenzioni vanno soppresse; anche là dove le risorse finanziarie rendessero possibile la firma di nuove convenzioni, non è assolutamente facile trovare medici specialisti disposti a lavorare in carcere in quanto la remunerazione offerta dagli istituti penitenziari non è competitiva se confrontata con le parcelle mediche che tali professionisti ricevono all’esterno. Tuttavia, si è potuto osservare come in altre situazioni vi sia stata la capacità di arginare i danni prodotti dall’attuale periodo di crisi. Si è rilevato infatti come in molte realtà le direzioni siano state capaci di mantenere in vita servizi che altrimenti avrebbero rischiato la chiusura. Tale possibilità pare essere stata determinata, in primo luogo, dalla presenza della volontà politica di mantenere in vita servizi ritenuti indispensabili all’interno della struttura penitenziaria e dalla capacità operativa delle direzioni nel concretizzare tale volontà. Al riguardo, occorre rilevare come alcune direzioni paiono aver sviluppato una vera e propria ingegnosità nel reperire fonti di finanziamento, risorse umane, appoggi da parte della comunità esterna al carcere. Occorre inoltre rilevare come in alcune occasioni paiono essere stati assai rilevanti fattori che teoricamente non dovrebbero influenzare l’operato di una pubblica amministrazione: le buone relazioni personali della direzione con soggetti esterni al carcere, la fortuna, il caso, la buona volontà di qualche professionista esterno al carcere… 

Pare emergere quindi come la crisi finanziaria che ha colpito in questi anni la generalità degli istituti penitenziari abbia avuto in realtà un impatto sostanzialmente differente fra una realtà ed un’altra. L’importante è ammalarsi nel posto giusto.

Le ultime considerazioni riguardano i medici penitenziari ed il rapporto con le direzioni. In tante, troppe occasioni abbiamo avuto colloqui con medici penitenziari che, in presenza del direttore, si mostravano palesemente… reticenti. In diverse occasioni ci è capitato di osservare come i medici cambiassero il tono delle loro affermazioni nel momento in cui il direttore usciva dalla sala del medico e come solo allora incominciasse un dialogo libero sulle difficoltà che incontra la tutela della salute all’interno della singola realtà. In alcune occasioni, in maniera apparentemente paradossale, abbiamo incontrato direttori maggiormente disponibili dei medici nell’elencarci le problematiche presenti nell’istituto: le risposte di tali medici apparivano impaurite, attente a non dire cose “compromettenti” di fronte al direttore; quando poi si accorgevano che i direttori ci avevano già narrato le problematiche della sanità penitenziaria all’interno dell’istituto, allora la chiacchierata diventava più libera, più aperta. Sovente, l’assenza dei direttori sanitari durante le nostre visite all’interno degli istituti in cui è parso più problematico il rapporto fra la direzione ed i medici penitenziari ha permesso alla prima di “controllare” le dichiarazioni della guardia medica presente nell’istituto al momento della visita e quindi di non rendere palese il conflitto presente all’interno dell’istituto fra i diversi operatori. In alcune occasioni, come detto, tali conflitti sono emersi a seguito di successive denunce da parte delle direzioni sanitarie.

Queste osservazioni ci portano a riflettere su quanto sia lunga nella nostra regione – e probabilmente non soltanto nella nostra regione - la strada che dovrebbe portare alla separazione della medicina penitenziaria dal controllo gestionale del Ministero della Giustizia ed il suo ricollocamento “naturale” all’interno dell’ambito di competenze del Ministero della Salute. Tale percorso appare allo stesso tempo necessario ed irrinunciabile. Quindi è assolutamente auspicabile il riavvio del cammino che è stato intrapreso in alcune regioni attraverso la sperimentazione della riforma che dovrebbe portare la sanità penitenziaria sotto la competenza amministrativa del Ministero della Salute. Allo stesso tempo pare assolutamente necessario superare l’attuale situazione di estrema disomogeneità nella tutela del diritto alla salute attualmente presente all’interno della nostra regione. Tale disomogeneità nella tutela del diritto porta, nella sostanza, alla negazione stessa del principio costituzionale che garantisce la tutela della salute di tutti i cittadini. È quindi auspicabile un intervento a livello regionale – sulla base di quanto è già avvenuto presso altre realtà regionali – volto a rendere maggiormente omogenea, ed effettiva, la tutela del diritto alla salute del cittadino recluso.

 

Per contattare l'Osservatorio Regionale della Campania: osservatoriopiemonte@associazioneantigone.it .

 

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Criminalità economica*

di Claudio Sarzotti

Quando questo numero della rivista è stato progettato, sul palcoscenico della giustizia spettacolo era appena ricomparso lo spettro della criminalità economica e/o politica. “Bancopoli” e i furbetti del quartierino stavano monopolizzando l’attenzione dei media, le intercettazioni telefoniche pubblicate sui quotidiani facevano emergere indebite ingerenze politiche, un sostanziale “commercio” del bene pubblico e volgarità assortite tipiche di certa parte della classe dirigente del nostro Paese. Oggi, quando il numero sta per uscire, altri “colletti bianchi” hanno richiamato l’attenzione dei media implicati in vicende altrettanto gravi (se non giuridicamente almeno eticamente); ed ecco Moggi e il suo sistema di potere, “calciopoli” e il sogno infranto di milioni di appassionati che credevano in un gioco pulito e hanno invece scoperto combines e pressioni indebite.

A più di dieci anni dalle vicende di Tangentopoli, il nostro Paese non ha ancora saputo fare una riflessione serena su di un fenomeno, la cosiddetta criminalità dei colletti bianchi, che deve essere svincolato dagli esiti incerti e contraddittori della cronaca, dal continuo oscillare del pendolo tra giustizialismo e perdonismo. Un fenomeno che, contrariamente a quanto molti pensano, non è certo solo italiano, ma sta conoscendo un’estensione planetaria con lo sviluppo dell’economia globalizzata e sta mettendo in pericolo la qualità democratica di molti sistemi politici.

Il numero della rivista intende fare il punto della situazione rispetto alla ricerca e alla riflessione criminologica riguardante questa forma di criminalità che esiste da sempre, anche se è stata riconosciuta “scientificamente” solo a partire dalle ricerche degli anni 40 del secolo scorso di Edwin Sutherland. In tale prospettiva, Vincenzo Ruggiero riflette sui problemi pratici e concettuali che si incontrano nel fare ricerca sui crimini dei potenti. Un libro recente, di uno dei più attenti studiosi italiani sul tema (Amedeo Cottino), ci è parso importante per aprire il dibattito: da esso abbiamo preso spunto per il titolo del numero della rivista e un magistrato (Luigi Marini) ed un sociologo (Guido Maggioni) discutono su come la nostra cultura considera una forma di criminalità che spesso si traduce in azioni sostanzialmente violente (sul prossimo numero ospiteremo la risposta dell’autore). E che ciò sia vero, anche per il nostro Paese, viene dimostrato da alcuni casi che sono giunti al (dis)onore della giustizia penale (si veda la ricostruzione del caso Eternit compiuta in questo numero da Rosalba Altopiedi); e la stessa criminalità organizzata non è forse anch’essa una forma di criminalità dei colletti bianchi? Domanda a cui Vincenzo Scalia contribuisce a fornire le argomentazioni politiche e sociologiche per una risposta affermativa. Alessandro Messina propone una lettura dell’agenda politica attuale che sembra trascurare le dinamiche strutturali della corruzione e dell’economia criminale. Chiudono il numero, oltre alle rubriche, un saggio di Messner e uno di Siebert.

 

  * L’editoriale è tratto dal secondo numero della rivista ‘Antigone’ che verrà pubblicato a fine giugno. Il numero è dedicato alla criminalità economica.

 

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Le iniziative di Antigone

a cura della Redazione

 

Lunedì 12 giugno ore 12:00 presso la Sala Fernando Santi della Cgil, in Corso d’Italia 25 - Roma si terrà la conferenza stampa di presentazione del Rapporto sui diritti Globali 2006. Il rapporto presenta la Prefazione di Guglielmo Epifani, introduzione di Sergio Segio, interventi di Paola Agnello Modica, Aldo Amoretti, Stefano Anastasia, Lucio Babolin, Paolo Beni, Franco Chittolina, Roberto Della Seta, Fulvio Fammoni, Patrizio Gonnella, Maurizio Gubbiotti, Mauro Guzzonato, Giulio Marcon, Emilio Molinari, Paolo Nerozzi, Mauro Palma, Achille Passoni, Ciro Pesacane, Antonio Pizzinato, Nicoletta Rocchi, Marino Ruzzenenti.

Il Rapporto, realizzato dalla Associazione SocietàINformazione, è promosso dalla CGIL nazionale in collaborazione con: Antigone, ARCI, Conferenza nazionale Volontariato Giustizia, Coordinamento nazionale delle Comunità di accoglienza (CNCA), Forum ambientalista, Legambiente.

 

Alla conferenza stampa di presentazione interviene: Guglielmo Epifani, segretario generale Cgil.

Partecipano:

Paolo Beni, presidente nazionale Arci

Patrizio Gonnella, presidente nazionale Antigone

Maurizio Gubbiotti, segreteria nazionale Legambiente

Claudio Messina, vicepresidente Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia

Ciro Pesacane, presidente nazionale Forum Ambientalista

Sergio Segio, curatore del Rapporto

 

Venerdì 16 giugno riparte l'attività dell'Osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione in Italia. Sono state organizzate circa 50 visite in contemporanea in tutta Italia.

A tale proposito, martedì 20 giugno, è prevista una conferenza stampa durante la quale verranno illustrati i risultati.

 

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Segnalazione editoriale della Redazione

 

La Redazione segnala l'imminente pubblicazione del seguente volume:

 

 

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Visitate il sito dell'associazione: www.associazioneantigone.it