Detezione femminile

Detezione femminile

1024 541 Un anno in carcere - XIV rapporto sulle condizioni di detenzione a cura di Associazione Antigone

Dario Di Cecca

La detenzione femminile in Italia

Uno sguardo sulla quotidianità della più nota “minoranza penitenziaria”, anche attraverso l’esperienza diretta dello sportello di informazione legale per detenute straniere di Antigone

“Su un totale di 904 donne straniere in carcere, se 523 hanno avuto una condanna, 381 sono solamente imputate, pari al 42,14%”

Numeri e statistiche

Secondo i più recenti dati forniti dall’amministrazione penitenziaria, su un totale di 58.163 detenuti presenti nelle carceri italiane, le donne sono 2.402, pari al 4,12% della popolazione carceraria. La serie storica delle rilevazioni condotte dal 1991 a oggi ci mostra che questo tasso è rimasto attestato su un valore pressoché stabile, con piccoli oscillamenti che vanno da un massimo del 5,43% (al 31 dicembre 1992) a un minimo del 3,83% (al 31 dicembre 1998). In termini assoluti, la variazione del numero delle detenute ha seguito sostanzialmente di pari passo quello dei detenuti, toccando il picco nel 2010, flettendosi nel 2006 e 2014 (in concomitanza, rispettivamente, con l’ultimo indulto e con i provvedimenti adottati dall’Italia in seguito alla nota sentenza “Torreggiani” della Corte di Strasburgo), per tornare ad aumentare in modo progressivo negli ultimi anni.

I reati per cui le donne finiscono maggiormente in carcere sono quelli contro il patrimonio, contro la persona e in materia di stupefacenti, seguiti da quelli contro l’amministrazione della giustizia, la fede pubblica e la pubblica amministrazione. Su 7.106 detenuti al 31 dicembre 2017 per associazione di stampo mafioso (art. 416 bis c.p.) 134 erano donne. Su 97 donne detenute per reati di prostituzione, 86 erano straniere. La differenza con gli uomini è evidente.

Tipologia di reato

Donne

Uomini

Tipologia di reato Donne Uomini
Contro il patrimonio 1.227 31.109
Contro la persona 825 22.175
TU stupefacenti 730 19.063
Legge armi 110 9.841
Contro la pubblica amministrazione 189 7.838
Associazione di stampo mafioso (416bis) 134 6.972
Contro l’amministrazione della giustizia 313 6.482
Fede pubblica 200 4.446
Altri reati 640 17759

Rispetto agli uomini sono più ricorrenti i reati contro il patrimonio e quelli per violazione del Testo unico sugli stupefacenti, ma sono leggermente più frequenti anche i reati contro la persona, mentre lo sono meno quasi tutte le altre tipologie di reati.

Su un totale di 19.811 detenuti stranieri, le donne sono 904, pari al 4,5%. Possiamo notare alcune significative specificità nella distribuzione dei paesi di provenienza rispetto ai detenuti.

Paesi di provenienza

Donne

Uomini

Distribuzione dei paesi di provenienza rispetto ai detenuti

 

Donne Uomini
Romania 25,6% Marocco 19,3%
Nigeria 21,0% Albania 13,6%
Bosnia e Erzegovina 5,0% Romania 12,5%
Marocco 4,0% Tunisia 11,2%
Bulgaria 3,3% Nigeria 5,5%
Brasile 3,1% Egitto 3,4%
Altri 37,6% Altri 34,5%

Se le popolazioni di origine straniera maggiormente rappresentate nelle carceri italiane, nel loro complesso, sono quella albanese (13%), marocchina (18,6%), romena (13,1%) e tunisina (10,8%), le donne detenute provengono invece per lo più da paesi come Romania (25%) e Nigeria (21%), seguiti a grande distanza da Bosnia (5%), Marocco (4%), Brasile e Bulgaria (3%).

Con riferimento alla posizione giuridica, il 28 febbraio 2018 su 58.163 detenuti complessivamente presenti nelle carceri italiane, 19.799 (pari a circa il 34% del totale) non hanno ancora ricevuto una sentenza di condanna definitiva. Su un totale di 19.765 stranieri detenuti, ben 7.844 sono in attesa di primo giudizio o con condanne non definitive, pari al 39,7%. La disparità nell’utilizzo della custodia cautelare è ancora più evidente se chi è in carcere, oltre ad essere straniero, è anche donna. Infatti, il 31 marzo 2018, su un totale di 904 donne straniere in carcere, se 523 hanno avuto una condanna, 381 sono solamente imputate, pari al 42,14%. Da rilevare anche che, su un totale di 52 detenuti stranieri internati (ovvero sottoposti all’esecuzione delle misure di sicurezza detentive della colonia agricola, casa di lavoro, casa di cura e custodia e simili) non risultano donne.

“Uno dei problemi più sentiti della detenzione femminile è quello delle detenute madri con figli al seguito. Secondo i dati forniti dalla sezione statistica del Dap, oggi sono presenti negli istituti penitenziari italiani in tutto 58 madri con 70 bambini”

Specificità della detenzione femminile e detenute madri

Le norme sull’ordinamento penitenziario recano pochissime disposizioni sulla detenzione femminile. Forse perché, trattandosi, al pari dei minori e degli stranieri, di «minoranze penitenziarie» non si è ritenuto di dover prestare una attenzione legislativa adeguata (Gonnella, 2015). Mentre il Regolamento di esecuzione del 2000 si limita a indicazioni dedicate all’igiene personale e al vestiario, uno dei punti deboli della legislazione in materia è proprio nella l. n. 354 del 1975 sull’ordinamento penitenziario che, se da un lato si occupa di donne solo in quanto gestanti o madri (artt. 11 e 39), dall’altro prevede genericamente che “le donne sono ospitate in istituti separati o in apposite sezioni di istituto” (art. 14). Gli istituti esclusivamente dedicati alle donne sono appena cinque (Empoli, Pozzuoli, Roma “Rebibbia”, Trani, Venezia “Giudecca”), mentre nel resto d’Italia la loro detenzione è affidata a reparti ad hoc (52 in tutto) ricavati all’interno di carceri maschili.

Negli istituti dedicati, le donne hanno sicuramente maggiori possibilità di poter condurre una vita detentiva calibrata sui loro specifici bisogni. Come rilevato dalle visite periodiche svolte dagli osservatori dell’Associazione Antigone, non mancano tuttavia alcune criticità anche in queste strutture, come a Venezia (dove è stata riscontrata una grave carenza di personale, soprattutto dell’area educativa) Pozzuoli (sovraffollamento e condizioni precarie della struttura esterna), Rebibbia femminile (mancanza di mediatori culturali per straniere, soprattutto per quelle con problemi psichiatrici). Se anche negli istituti specificamente pensati per le donne sono state riscontrate delle difficoltà, non è difficile immaginare come la situazione sia ancora più critica nelle sezioni ricavate all’interno di complessi concepiti per la detenzione maschile. Lo stesso Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, in una scheda sulla detenzione femminile realizzata nel gennaio 2015, ha osservato che, in questi casi, «le donne vivono prevalentemente una realtà che è pensata e realizzata nelle strutture e nelle regole per gli uomini mentre i loro bisogni specifici, in buona parte correlati ai bisogni dei loro figli, sono spesso disattesi».

Uno dei problemi più sentiti della detenzione femminile è quello delle detenute madri con figli al seguito. Secondo i dati forniti dalla sezione statistica del Dap, oggi sono presenti negli istituti penitenziari italiani in tutto 58 madri con 70 bambini, quasi equamente distribuite tra italiane (27 con 34 figli al seguito) e straniere (31 con 36 figli). Dopo un periodo in cui tale dato sembrava in costante decrescita, colpisce il suo recente e rapido incremento: solo nel mese di febbraio le donne erano in tutto 52 con 60 figli.

Bambini in carcere

Fonte: nostra elaborazione su dati DAP

Come già ricordato nel precedente rapporto di Antigone, per tentare di attenuare le conseguenze negative della permanenza in carcere dei bambini, la legge n. 62 del 21 aprile 2011 ha previsto la creazione di istituti a custodia attenuata (Icam) dove collocare le detenute madri con i propri figli. Queste strutture sono concepite, almeno sulla carta, per creare una atmosfera di casa “normale”, più simile a un asilo che a un carcere, in modo da evitare ai minori i traumi della detenzione. In Italia, oltra all’Icam di Milano, che ha svolto il ruolo di apripista nel 2007, sono già attivi quello di Venezia, Senorbì (in provincia di Cagliari) e Torino. In altri istituti, come Rebibbia a Roma, sono previsti solamente asili nido all’interno delle sezioni femminili.

“Le persone incontrate rispecchiano pienamente l’affastellata realtà umana che ci viene descritta dalla statistiche. Quattro continenti e una ventina di diversi paesi di provenienza”

L’esperienza diretta dello sportello di informazione legale per detenute straniere di Antigone

Proprio presso la Casa Circondariale Rebibbia Femminile di Roma dal giugno del 2017 è stato attivato uno sportello di informazione legale rivolto alle detenute straniere. Questa iniziativa si colloca all’interno della più ampio progetto “Diritti in carcere” e della Prison Law Clinic, nata grazie a un protocollo siglato tra Amministrazione penitenziaria, Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Roma Tre e Associazione Antigone (a cui recentemente si è aggiunto anche il patrocinio del Garante dei detenuti della Regione Lazio). Dal febbraio 2015 la Prison Law Clinic svolge attività di informazione legale gratuita ai detenuti della Casa circondariale “Regina Coeli” di Roma, fornendo assistenza in materia di esecuzione penale, diritto penitenziario e dell’immigrazione, con cadenza settimanale. Studenti, laureandi e laureati di Roma Tre, insieme a dottorandi e dottori di ricerca in materie giuridiche, sono impegnati in prima persona in questo compito, assistiti ed affiancati da avvocati specializzati in diritto penale e dell’immigrazione, ai quali è affidato il ruolo di tutor, che consiste anche nella loro formazione. È sulla base di questa esperienza che si è deciso di attivare un analogo servizio anche presso il carcere femminile romano.

Nel corso dei 17 ingressi svolti in questa struttura sino a oggi sono state incontrate circa 50 detenute, alcune delle quali anche in diverse occasioni. Questo ha permesso di constatare personalmente le peculiarità ma, soprattutto, le problematicità connesse alle detenzione delle donne, in questo caso rese ancora più complesse dalla loro condizione di straniere. Le persone incontrate rispecchiano pienamente l’affastellata realtà umana che ci viene descritta dalla statistiche. Quattro continenti e una ventina di diversi paesi di provenienza, tra cui i più rappresentati sono Romania, Russia, Serbia, Brasile, Bulgaria, Cina e Nigeria, seguiti da Colombia, Croazia, Filippine, India, Liberia, Marocco, Repubblica Dominicana, Ungheria e Venezuela, ma anche Germania e Svizzera.

Gli operatori dello sportello attualmente non hanno accesso né alla sezione nido, né all’infermeria, quindi alcuni dei temi più sentiti, come la maternità o la salute in carcere, non sono stati sottoposti alla loro attenzione. Data la specifica vocazione dell’attività, i quesiti con un profilo tecnico più elevato che vengono sottoposti riguardano questioni più strettamente legate alla posizione giuridica e processuale delle detenute straniere. È il caso delle espulsioni (sia come misura di sicurezza che come misura alternativa alla detenzione) oppure delle richieste di trasferimento delle persone condannate per scontare la pena nel proprio paese di origine (prevista dalla Convenzione di Strasburgo del 1983 e dalla Decisione Quadro 2008/909/GAI del Consiglio d’Europa). Tuttavia, in occasione dei colloqui, sono emersi soprattutto problemi che rivelano l’esistenza di bisogni e mancanze, forse meno eclatanti, ma non per questo meno impattanti nella quotidianità della detenzione.

Uno di questi è senz’altro la enorme difficoltà che ancora incontrano le detenute straniere (così come gli uomini) a ottenere documenti validi che permettano loro di poter accedere ai diritti previsti dalla legge italiana e dall’ordinamento penitenziario. Tra le detenute incontrate, circa la metà ha chiesto di essere aiutata in tal senso. Le domande più frequenti riguardano i permessi di soggiorno: nonostante la grande disponibilità manifestata dalla direzione e dal personale dell’istituto di Rebibbia femminile, ottenere il rilascio e il rinnovo di questo documento dal carcere è particolarmente difficoltoso. Questo avviene sia perché in molti casi il reato per cui si sta scontando la detenzione è considerato ostativo alla concessione del permesso di soggiorno, sia perché, anche qualora ne esistano i presupposti, la procedura da seguire è particolarmente complessa e richiede un dialogo tra amministrazione penitenziaria e ufficio immigrazione che spesso si rivela lento e farraginoso. Il rischio maggiore in cui incorrono le detenute straniere è che, decorsi inutilmente i termini per la presentazione delle richieste durante la detenzione, possano vedersi negato il diritto di regolarizzare la propria posizione una volta libere. Infatti, come ripetutamente ribadito dalla più recente giurisprudenza, anche di legittimità, l’invio di queste comunicazioni alla questura è un diritto dei detenuti e un dovere per la direzione dell’istituto, sicché lo stato di reclusione non può essere considerato né causa ostativa alla presentazione delle loro istanze, né giustificato motivo per la loro mancata presentazione nei termini1) Cfr. Cass. civile n. 6780 del 2017, n. 12713 del 2016, n. 13364 del 2007 e n. 1753 del 2006; Cons. di Stato, Sez. VI, n. 3 del 2008 e n. 5240 del 2006..

Anche quando non si tratta di permessi di soggiorno, la difficoltà nell’ottenere alcune tipologie di documenti comporta pesanti ricadute negative sulla qualità della vita detentiva delle donne incontrate, sino a rischiare di compromettere l’accesso ai più basilari diritti, come quello di poter svolgere colloqui visivi e telefonici con familiari o congiunti. Reperire documenti come certificati di matrimonio o convivenza, necessari ad attestare l’esistenza di relazioni tra detenuta e persona con cui effettuare il colloquio, o, perfino, la copia di un contratto di telefonia mobile, che certifichi l’intestatario di una utenza verso cui effettuare una chiamata, può rappresentare l’inizio di un lunghissimo percorso a ostacoli per una detenuta. L’efficienza della assistenza fornita dai consolati nel disbrigo delle pratiche e nel reperimento della documentazione varia molto a secondo dei paesi di provenienza, circostanza che rischia di creare discriminazioni di fatto tra le detenute a secondo delle rispettive nazionalità.

Bibliografia

Faccioli F. – Giordano V. – Pitch T. – Campelli E. (1992), Donne in carcere. Ricerca sulla detenzione femminile in Italia, Feltrinelli, Milano;

Fiorentin F. (2011), Tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori, in Giur. merito, p. 2613;

Gonnella. P. (2015), Le identità e il carcere: donne, stranieri, minorenni, in Costituzionalismo.it, 2, [http://www.costituzionalismo.it/download/Costituzionalismo_201502_521.pdf];

Petrangeli F., Tutela delle relazioni familiari ed esigenze di protezione sociale nei recenti sviluppi della normativa sulle detenute madri, in RivistaAic, n. 4/2012

Ravagnani L. e Romano C. A. (2013), Women in prison. Indagine sulla detenzione femminile in Italia, Pensa Multimedia, Lecce;

Roscioli A. (2007), La condizione della donna detenuta, in Autonomie locali e servizi sociali, Bologna, n. 3, p. 459-466

Talini S. (2017), L’affettività ristretta, in M. Ruotolo e S. Talini (a cura di), I diritti dei detenuti nel sistema costituzionale, Editoriale scientifica, Napoli, pp. 197-230 e, in particolare, pp. 216-223;

Zuffa G. e Ronconi S. (2014), Recluse. Lo sguardo della differenza femminile in carcere, Ediesse, Roma.

References   [ + ]

1. Cfr. Cass. civile n. 6780 del 2017, n. 12713 del 2016, n. 13364 del 2007 e n. 1753 del 2006; Cons. di Stato, Sez. VI, n. 3 del 2008 e n. 5240 del 2006.