Attività sportive e culturali

Attività sportive e culturali

150 150 Un anno in carcere - XIV rapporto sulle condizioni di detenzione a cura di Associazione Antigone

Carolina Antonucci e Vittoria Scogna

Le attività sportive e culturali in carcere

Uno sguardo a sport e cultura in carcere, risorse importanti per il benessere della persona ed il suo ritorno ad una vita “normale”

Lo svolgimento di attività culturali all’interno degli istituti penitenziari, pur essendo una realtà ormai consolidata, non ha un quadro normativo di riferimento particolarmente sviluppato. La maggior parte delle attività viene gestita da associazioni e volontari esterni all’Amministrazione penitenziaria, mentre un numero più esiguo è organizzato direttamente dagli istituti stessi. I programmi variano da istituto a istituto, ma tra i più diffusi troviamo il teatro, lo yoga e laboratori di lettura e scrittura. Nel 2017 su un numero di detenuti pari a 58.163, circa il 25% era coinvolto in almeno un’attività culturale.

“Alla metà degli anni Settanta, la disciplina carceraria faceva ancora riferimento al Regolamento penitenziario fascista, deliberatamente di carattere punitivo”

Il quadro normativo

L’iter che ha stabilito la partecipazione della comunità esterna all’azione rieducativa è il risultato di un faticoso processo di revisione del sistema penitenziario. Alla metà degli anni Settanta, la disciplina carceraria faceva ancora riferimento al Regolamento penitenziario fascista, deliberatamente di carattere punitivo. In quegli stessi anni, mentre il Parlamento discuteva la riforma, non senza contrasti tra le forze politiche, la popolazione carceraria aumentava e si diversificava con l’arrivo dei detenuti politici, creando terreno fertile per la rivendicazione di iniziative di riforma.

La riforma giunse con la legge 26 luglio 1975, n. 354 “Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà”. Finalità della riforma era l’attuazione dell’articolo 27 della Costituzione che prevedeva e prevede che la pena debba essere tesa alla rieducazione del condannato. Questo risultato fu reso possibile anche grazie all’apertura del carcere alla comunità esterna, disciplinata dagli articoli 17 e 78 dell’Ordinamento Penitenziario. Successivamente, il decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230 “Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà”, agli articoli 59 e 60 ha regolamentato, seppur non dettagliatamente, le attività culturali, ricreative e sportive.

Su questa riforma ha preso vita una prassi che ormai si è consolidata e conta nel 2017 circa 700 attività diverse distribuite tra i 189 istituti penitenziari presenti sul territorio italiano.

“Trattandosi di iniziative già attive esternamente, la loro estensione all’interno degli istituti penitenziari risponde al principio di non-discriminazione e serve ad abbattere quel muro che divide l’interno dall’esterno”

Rieducare attraverso la partecipazione attiva

Le attività culturali all’interno del sistema penitenziario hanno come fine ultimo quello di promuovere il reinserimento sociale dei detenuti. Inoltre, le attività di gruppo svolgono un ruolo fondamentale nella socializzazione tra persone che condividono una situazione di “convivenza forzata”. La creazione di un progetto comune può favorire i rapporti che si instaurano tra detenuti e quindi contribuire alla creazione di un clima pacifico.

Trattandosi di iniziative già attive esternamente, la loro estensione all’interno degli istituti penitenziari risponde al principio di non-discriminazione e serve ad abbattere quel muro che divide l’interno dall’esterno, evitando la marginalizzazione dell’individuo che comprometterebbe il suo futuro reinserimento sociale. Nonostante gli effetti negativi che la detenzione può esercitare sulla personalità dell’individuo, la partecipazione della comunità esterna alle attività del carcere spinge il detenuto a prendere parte all’attività rieducativa. D’altra parte, la presenza di associazioni esterne all’Amministrazione penitenziaria contribuisce ad un sistema carcerario trasparente. L’importanza che le attività ricreative e culturali assumono nel sistema penitenziario diventa ancora maggiore nel caso dei minori, il cui reinserimento può fare la differenze per un futuro di opportunità e lontano dalla delinquenza.

Attività culturali nel 2017

Fonte: nostra rielaborazione su dati DAP.

Il grafico riportato sopra illustra le attività culturali attive nel 2017, come riportato sulle singole schede degli istituti disponibili sul sito del Ministero della Giustizia. Come già detto, tra le categorie più diffuse troviamo il teatro, il laboratorio di cinema, attività legate alla musica (chitarra, coro, etc.), laboratori di scrittura creativa e di lettura. Nel grafico non vengono riportate attività meno diffuse, tra le quali ritroviamo corsi di inglese, educazione alla legalità e attività di carattere più regionale. In generale, le attività sono diverse e diversificate, nel tentativo forse di individualizzare i percorsi di reinserimento sociale dei detenuti. La biblioteca in carcere, prevista dall’articolo 12 dell’Ordinamento Penitenziario, è largamente presente negli Istituti. Infatti, come rilevato dall’Osservatorio di Antigone, degli 86 Istituti visitati dai nostri osservatori solo 2 non avevano uno spazio dedicato alla biblioteca.

La realtà che emerge è quella di una prassi ormai consolidata che però presenta ancora diverse criticità al suo interno.

Come rilevato nel report conclusivo degli Stati Generali dell’Esecuzione Penale, la formazione degli operatori rappresenta uno snodo critico nel panorama delle attività culturali, in particolare tra gli obiettivi si inserisce la opportunità di definire gli standard minimi di competenza e formazione specifica degli operatori, tali da garantire la migliore relazione con la popolazione detenuta coinvolta nelle attività ed il miglior esito delle stesse[…]. Inoltre, lo spazio dedicato alle attività non trova riscontro nello spazio effettivo e fisico dedicato alla cultura negli istituti. Sempre riprendendo quanto affermato dagli Stati Generali, l’effettiva carenza di spazi e strutture adeguate compromette la realizzazione dei progetti, già resa difficile da un sistema di finanziamento non standardizzato, che vede alcune Regioni impegnate nel sostegno alle attività culturali (come Emilia Romagna, Toscana e Marche) e altre il cui supporto economico è limitato nel tempo e nella portata. Un’ultima complessità è causata dal trasferimento dei detenuti, le cui motivazioni spesso sfuggono. Infatti, la continuità rappresenta una condicio sine qua non nella buona riuscita del percorso.

“L’Italia risulta capofila nello sviluppo delle attività culturali nelle carceri, però, al fianco di buone prassi ormai largamente consolidate, si trovano ancora alcuni istituti in cui le iniziative di carattere artistico e culturale sono considerate mero mezzo di intrattenimento”

Il teatro in carcere

Il ruolo della cultura all’interno del sistema penitenziario è stato ribadito nel documento conclusivo degli Stati Generali dell’Esecuzione Penale del 18 Aprile 2016. Tra i diversi tavoli tematici, il Tavolo 9 è stato dedicato all’istruzione, cultura e sport e ha previsto la partecipazione di diverse figure professionali tra cui docenti, dirigenti sportivi e registi teatrali. Secondo quanto riportato nel documento conclusivo, il tasso di recidiva dei detenuti sarebbe notevolmente inferiore fra coloro che, durante la detenzione, hanno preso parte ad attività artistiche e culturali, in particolare al teatro.

L’Italia risulta capofila nello sviluppo delle attività culturali nelle carceri, però, al fianco di buone prassi ormai largamente consolidate, si trovano ancora alcuni istituti in cui le iniziative di carattere artistico e culturale sono considerate mero mezzo di intrattenimento. In questo senso il detenuto diventa soggetto passivo della cultura, invece che parteciparvi attivamente. Tra le iniziative più diffuse il teatro occupa sicuramente una posizione privilegiata. Delle 658 attività in corso nell’anno 2017, quasi 100 risultato legate all’attività teatrale. Tra le esperienze ormai ampiamente stabili risulta il Teatro Gruppo che nasce nel 1982 nella casa di reclusione Rebibbia, il cui Auditorium arriva ad ospitare fino a 10.000 spettatori in un anno (dati disponibili sul sito del Ministero della Giustizia). Inoltre, la Compagnia della Fortezza, nata nel Carcere di Volterra nell’Agosto 1988 è stata fondamentale per l’istituzione del Primo Centro Teatro e Carcere che si fondava su un accordo tra Regione Toscana, Provincia di Pisa e Comune di Volterra, scelta anche come sede stessa. L’esperienza è stata anche ripresa a livello nazionale e la Compagnia di Volterra ha contribuito largamente alla nascita del “Centro Nazionale Teatro e Carcere” avvenuta con il protocollo d’intesa del 21 Luglio del 2000. La buona prassi derivata da questa esperienza è stata fonte di ispirazione per scelte di politica detentiva a livello internazionale.

In generale, il teatro risulta essenziale per mantenere in vita l’immaginazione, evitando l’irrigidimento definitivo della mente, come affrontato dal neuroscienziato Pascual-Leone nei suoi studi sulla neuroplasticità del cervello. In particolare, come si afferma in un report dell’ISSP:  

“La pratica teatrale offre al recluso un duplice sostegno: 1) aiuta a ricordare percezioni e sentimenti offuscati dall’alienazione carceraria, facendone scoprire di nuovi; 2) spinge ad attivare forme essenziali d’interazione e di solidarietà, intendendo lo spettacolo come un’impresa collettiva. Il carcere tende a cancellare l’identità culturale, a deviare il pensiero, a sgretolare la lingua; a testimonianza di ciò esistono numerosi diari di detenuti che parlano di una continua lotta contro questo effetto. Per fronteggiare questo problema le uniche “armi” da coltivare sono la memoria e il dialogo”. [ISSP, Aspetti trattamentali sperimentali, cit., pp. 24-25].

Il teatro dunque agisce sull’emotività, sulla sensibilità, sull’intelletto cercando di spezzare quei ritmi monotoni della vita carceraria che possono rendere la detenzione alienante. Il carcere diventa quindi, non solo un luogo di reclusione, ma anche di cultura all’interno del quale il detenuto può diversificare la sua formazione perché diventi spendibile all’esterno.

Nell’attività teatrale l’interazione tra attore e spettatore assume un’importanza primaria ed è per questo che una buona prassi prevede la presenza di un pubblico esterno all’amministrazione interna. In molti istituti (Rebibbia N.C., Opera, Bollate, etc.) la presenza del pubblico esterno è prevista e istituzionalizzata, mentre secondo diverse Amministrazioni la presenza di esterni rappresenta un problema di sicurezza. Ciò influisce negativamente sui benefici dell’attività, che perde la sua funzione di ponte con la società esterna.

“Solo l’8,5% delle attività risulta organizzato dall’Amministrazione penitenziaria stessa. Per il resto le iniziative sono portate avanti ad opera di enti locali, associazioni e volontari, quindi più in generale della comunità esterna”

Una questione regionale?

Il grafico che segue mostra il rapporto percentuale tra i detenuti presenti negli istituti penitenziari regionali e coloro che sono coinvolti in attività culturali negli istituti di quella regione. Le regioni Calabria e Veneto risultano capofila nel coinvolgimento di detenuti nelle attività culturali. Al contrario, Sicilia e Lombardia che contano il maggior numero di detenuti registrano rispettivamente una percentuale del 15,3% e del 31,8%.

Detenuti coinvolti in attività culturali per regione

 Regione detenuti totali detenuti convolti in attività %
Abruzzo 1.850 179 9,7%
Basilicata 499 88 17,6%
Calabria 2.606 1560 59,9%
Campania 7.195 1902 26,4%
Emilia Romagna 3.488 460 13,2%
Friuli Venezia Giulia 678 181 26,7%
Lazio 6.237 1101 17,7%
Liguria 1.418 236 16,6%
Lombardia 8.429 2681 31,8%
Marche 937 184 19,6%
Molise 414 120 29,0%
Piemonte 4.192 473 11,3%
Puglia 3.367 589 17,5%
Sardegna 2.380 496 20,8%
Sicilia 6.342 972 15,3%
Toscana 3.281 905 27,6%
Trenotino Alto Adige 403 48 11,9%
Umbria 1.370 324 23,6%
Valle d’Aosta 196 0 0,0%
Veneto 2.326 1251 53,8%

I detenuti coinvolti in attività culturali

In Calabria alcuni Istituti vantano un altissimo numero di detenuti coinvolti in attività, che contribuisce ad aumentare la percentuale su base regionale. Reggio Calabria è probabilmente la capitale della cultura in carcere e le sue due Case Circondariali, “Arghillà” e “Giuseppe Panzera”, andrebbero analizzate con attenzione. L’area educativa dell’istituto penitenziario “Arghillà” ci ha confermato la presenza di numerose attività che impegnano i detenuti almeno un giorno alla settimana. In particolare, il cineforum prevede la proiezione di film o documentari seguiti da un dibattito sul tema. La biblioteca invece è accessibile ai detenuti di media sicurezza, mentre i detenuti sex offenders possono inviare la lista di libri a cui sono interessati e due detenuti che lavorano volontariamente per la biblioteca fanno in modo di reperire i testi. In biblioteca è possibile leggere e confrontarsi sui testi letti. Una delle maggiori criticità è la mancanza di fondi a cui sopperiscono associazioni di volontariato o volontari singoli. Il Veneto con una percentuale di circa il 54% si situa al secondo posto della “classifica regionale”. La Casa Circondariale di Padova e la Casa di Reclusione, insieme al carcere di Venezia “Santa Maria Maggiore” incidono positivamente sulla percentuale totale. La regione Abruzzo, Piemonte e Trentino Alto Adige si aggirano intorno ad una percentuale del 10%, situandosi al fondo della classifica. La Valle D’Aosta non ha dichiarato attività in corso nell’anno 2017.

Un altro dato rilevante risiede nell’organizzazione dei progetti: solo l’8,5% delle attività risulta organizzato dall’Amministrazione penitenziaria stessa. Per il resto le iniziative sono portate avanti ad opera di enti locali, associazioni e volontari, quindi più in generale della comunità esterna. Il lavoro delle associazioni è quindi vitale al fine di mantenere e consolidare la prassi ricreativa e rieducativa nelle carceri. Se si affidasse il compito esclusivamente all’amministrazione interna ne risulterebbe un panorama inadeguato e di scarsa entità. Come già accennato, la partecipazione della comunità esterna all’azione rieducativa è promossa e regolamentata dall’articolo 17 dell’Ordinamento Penitenziario, integrato dall’articolo 68 reg.esec., largamente criticato con l’accusa di scoraggiare la partecipazione attraverso “una macchinosa serie di controlli incrociati, di direttive e di autorizzazioni”. I poteri di autorizzazione spettano al magistrato di sorveglianza, mentre il direttore ha il compito di esprimere un parere e di vigilare sull’operato della comunità esterna.

“La partecipazione dei detenuti ai percorsi culturali e ricreativi è sicuramente uno dei possibili indici per valutare la qualità e l’apertura del sistema penitenziario in Italia”

I numeri contano

La partecipazione dei detenuti ai percorsi culturali e ricreativi è sicuramente uno dei possibili indici per valutare la qualità e l’apertura del sistema penitenziario in Italia. Circa il 25% dei detenuti ha preso parte, nel 2017, ad almeno un’attività culturale.

Partecipazione dei detenuti ai percorsi culturali 2017

Fonte: nostra rielaborazione su dati DAP.

Nonostante la percentuale non risulti eccessivamente esigua, è importante ricordare che alcune attività recensite dagli Istituti si esauriscono in una sola giornata (Festa della mamma, del papà, etc.) e quindi prevedono un coinvolgimento minimo e un investimento modestissimo di tempo. Per il futuro non possiamo che auspicare una crescita percentuale dei detenuti coinvolti e inoltre l’ulteriore diversificazione delle attività, che potrebbe dar vita a percorsi effettivamente individualizzati di reinserimento sociale.

“Le attività ricreative, tra cui lo sport, sono considerate dal 1975, anno della riforma dell’ordinamento penitenziario, uno dei pilastri del trattamento penitenziario che dovrebbe ottenere la rieducazione del condannato”

Educare il corpo. L’attività sportiva in carcere

Non è pensabile un’analisi che riguardi il numero dei detenuti coinvolti nelle attività sportive; i soli riferimenti cui si possa fare rinvio sono gli aggregati statistici forniti dal DAP. Raramente sono forniti numeri sulle singole attività e sono per lo più approssimati.

Guardando i dati aggregati possiamo vedere che il numero delle donne che pratica sport è superiore in proporzione a quello degli uomini, sono il 5,8% del totale quando le donne, alla stessa data, erano il 2,4% della popolazione detenuta, ed altrettanto per gli stranieri, che sono il 39,7% di chi fa sport e solo il 34,2% dei detenuti.
Il totale di chi fa sport in carcere non è dato saperlo poichè nel dato complessivo fornito dal DAP, 16.217 detenuti, alcuni potrebbero certamente essere contati più di una volta perché partecipano a più di una attività. Di conseguenza però la percentuale di chi fa sport non può certo essere superiore al 28,1%, numero nel complesso davvero basso se pensiamo alla grande quantità di tempo a disposizione, anche a causa della non infrequente assenza di possibilità lavorative.

Le attività ricreative, tra cui lo sport, sono considerate dal 1975, anno della riforma dell’ordinamento penitenziario, uno dei pilastri del trattamento penitenziario che dovrebbe ottenere la rieducazione del condannato.

Purtroppo una delle cause della scarsa pratica sportiva è meramente strutturale. Tra gli 86 istituti visitati dall’Osservatorio di Antigone, sono 22 quelli in cui non sono presenti campi sportivi.

Presenza di attrezzature e attività sportive

Fonte: nostra elaborazione su dati Osservatorio Antigone e DAP

Sono presenti campi sportivi Sono presenti palestre Si svolge qualche attività sportiva organizzata
SI 64 69 57
NO 22 17 29

A Fossombrone, dove il campo sportivo c’è, il DAP rende noto nella scheda dell’istituto essere inagibile a seguito degli eventi sismici; inagibili i campi sportivi anche a Milano Opera a causa dei lavori per la costruzione di nuovi padiglioni detentivi.

Non sono invece presenti palestre in 17 istituti su quelli visitati, ed in 29 non ci risulta si svolge alcun genere di attività sportiva organizzata.

“Il CONI ha fatto partire un importante progetto, in collaborazione con il Ministero della giustizia, che ha coinvolto alcuni istituti in tutta Italia”

Le esperienze dagli istituti

Non mancano però al tempo stesso gli esempi virtuosi, come la Casa Circondariale di Rebibbia NC che nelle 4 palestre e sui 4 campi sportivi organizza una vasta serie di attività come il calciotto, con diversi tornei, un campionato di calcio cui partecipano anche squadre esterne all’istituto, la corsa podistica Vivi Città organizzata dalla UISP Roma, il Rugby e il Tennis.

La Casa di Reclusione di Opera, nonostante l’indisponibilità del campo sportivo, propone numerose attività anche grazie al lavoro della Fondazione Cannavò e di Edison (Fitboxe, Crossfit e stretching), calcetto e pallavolo. A Milano San Vittore con due campi e quattro palestre sono molte le attività organizzate tra cui la palestra, il calcio, il basket e la pallavolo con il CSI.

Tuttavia si ritiene che il margine di miglioramento, sia qualitativo che quantitativo di queste attività sia ancora molto ampio. Occorre però modificare il pensiero attorno allo sport e iniziare a interpretarlo anziché quale passatempo ludico, come un’attività strumento di espressione diretta della propria personalità e come tale, come diritto umano1)Così è stato definito dall’UNESCO nel 1978 nella Carta Internazionale dello Sport e dell’Educazione Fisica..

Negli istituti e nelle sezioni femminili vediamo come l’offerta sportiva, seppure presente, conosca una contrazione nella scelta delle attività. La pallavolo è praticata in 3 strutture, la danza in 7 (sono ricomprese anche la zumba e il flamenco), vi è poi un istituto, Rebibbia, in cui si praticano corsa e fitness (anche a Pesaro). Lo yoga è praticato a Nuoro. Questo elenco sembra restituire un’immagine un po’ stereotipata delle donne, per cui l’unico sport di squadra praticato è la pallavolo. Ma degli stessi stereotipi rimangono vittima gli uomini i quali sembra possano praticare quasi esclusivamente calcio.

Il CONI ha fatto partire un importante progetto, in collaborazione con il Ministero della giustizia, che ha coinvolto alcuni istituti in tutta Italia. Il progetto “Sport in carcere” ha permesso non solo lo svolgimento di numerose attività sportive, delle discipline più diverse, ma anche la possibilità per i detenuti di apprendere le competenze necessarie a divenire insegnanti di sport (es. calcio, pallavolo, pallamano ecc.).

Anche gli Enti di Promozione, da moltissimi anni, svolgono un importantissimo lavoro negli istituti di pena. La UISP, oltre che a Roma (anche femminile), svolge attività a Reggio Emilia, Genova Marassi, Bergamo, Imperia, Arezzo. Mentre il CSI a Vercelli, Latina e San Vittore.

“Dal 2014 Antigone, assieme a Progetto Diritti, ha dato vita alla Polisportiva Atletico Diritti che partecipa ai campionati federali di calcio (terza categoria nella provincia di Roma), di pallacanestro (campionato provinciale di promozione) e cricket che, avendo la sede in provincia di Latina partecipa al campionato nazionale”

Il dialogo con l’esterno

Negli ultimi anni alcune realtà sportive all’interno degli istituti hanno avviato collaborazioni che le Federazioni di appartenenza. E’ il caso di Perugia Capanne nel quale la FIGC collabora con le attività di calcio e la FIP con quelle della pallacanestro. Mentre sia a Torino che a Bologna le squadre di rugby del carcere partecipano ai campionati regionali di Serie C, si tratta de “La Drola” e del “Giallo Dozza”. La FIR si è mostrata particolarmente sensibile al tema dello sport recluso e ha dato l’importante possibilità di svolgere il campionato regolarmente.

Segnaliamo infine che dal 2014 Antigone, assieme a Progetto Diritti, ha dato vita alla Polisportiva Atletico Diritti che partecipa ai campionati federali di calcio (terza categoria nella provincia di Roma), di pallacanestro (campionato provinciale di promozione) e cricket che, avendo la sede in provincia di Latina partecipa al campionato nazionale. Nel 2017 da Rebibbia un detenuto in art. 21 ha avuto la possibilità di prendere parte alla squadra di calcio svolgendo regolarmente gli allenamenti fuori dal carcere e disputando anche le gare ufficiali.

References   [ + ]

1. Così è stato definito dall’UNESCO nel 1978 nella Carta Internazionale dello Sport e dell’Educazione Fisica.