Bisogna avere visto
Chiunque ha avuto a che fare con il carcere ben sa che non è la stessa cosa essere prigioniero nel carcere milanese di Bollate oppure in quello di San Vittore, che la vita in galera sarà più o meno dura a seconda se il comandante è il commissario “X” o il commissario “Y”, che alle proprie richieste per incontrare un amico, lavorare, partecipare a un progetto di recupero, cambiare cella, essere trasferito in altro carcere più vicino ai propri cari, telefonare a un figlio o avere un permesso premio (domandare è sempre lecito) potrà seguire una risposta (positiva o negativa ed in quest’ultimo caso comunque adeguatamente motivata) o nessuna risposta (così vivendo nell’incertezza) a seconda se il direttore o il magistrato di sorveglianza sono i signori “Tizio” o “Sempronio”.
Chiunque ha trascorso un qualche tempo in carcere sa che non tutte le carceri sono uguali. Sa anche che il carcere vero, quello reale, non coincide con il carcere descritto nelle norme. Le riforme sono importanti. Le norme sono importanti. Le sentenze sono importanti. Ma la vita in un istituto penitenziario è il frutto di comportamenti umani decisi da uomini e donne che si portano dietro la loro storia, la loro cultura, la loro esistenza. Uomini e donne, molti dei quali in divisa, che fanno un lavoro straordinario, difficile, che meriterebbe la più alta gratificazione sociale ed economica. Un lavoro così ad alto rischio di burn out che meriterebbe anche una libera mobilità volontaria verso altre amministrazioni dello Stato. In quest’ottica vanno previste forme di counseling psicologico gratuito per il personale di Polizia penitenziaria e per tutto il restante staff. Meriterebbe infine un grande investimento in termini di idee e risorse, affinché vi sia un grande effettivo significativo ricambio generazionale. Nessuna riforma potrà mai avere buon esito se non si andranno ad assumere almeno duecento giovani direttori e direttrici (non necessariamente laureati in giurisprudenza), nonché mille educatori ed educatrici. A tutti costoro va assicurata una formazione iniziale comune e alta sui valori costituzionali e sulle norme europee.
Antigone con il suo lavoro di osservazione e con questo Rapporto vuole raccontare il carcere visto con i propri occhi il quale non sempre coincide con il carcere descritto nelle leggi e nelle circolari dell’amministrazione penitenziaria. Raccontiamo cose belle e cose brutte. Raccontiamo la vita dentro, i numeri, lo sforzo degli operatori ma anche il senso di insicurezza delle persone che ogni giorno, ogni ora di vita detentiva non sanno bene quello che potrebbe accadere il giorno dopo o l’ora successiva. Raccontiamo anche tutti quei casi in cui abbiamo deciso di affidarci a un giudice per episodi di violenza a danno di persone detenute. Accade anche questo nel carcere reale. Accade non dappertutto. Accade in alcune carceri. Ripeto, ‘in alcune, non in tutte’. Però accade! Far finta che non accada per assecondare talune organizzazioni sindacali autonome di categoria non fa bene alla verità. Il carcere reale va raccontato senza troppe finzioni in tv, sulla stampa, sulla rete, nei libri di scuola per ragazzi. Non bisogna averne paura.
Stare dalla parte del personale di Polizia penitenziaria e di tutto lo staff carcerario significa raccontare le cose come stanno, ossia che in parecchie carceri (ben gestite sotto il profilo della sicurezza) non c’è violenza e in alcune invece sì. Solo così si rende un buon servizio a quei tanti funzionari che operano rispettando la legge e la dignità delle persone detenute.
Bisogna avere visto scriveva Piero Calamandrei. Noi andiamo a vedere ciò che accade nelle carceri grazie all’amministrazione penitenziaria, di cui apprezziamo l’apertura. Lo facciamo in piena indipendenza e mantenendo il nostro spirito critico.
Questo Rapporto non potrebbe esistere senza l’Osservatorio sulle condizioni di detenzione di Antigone, che dal 1998 entra nelle oltre duecento carceri italiane ed è strumento di conoscenza per chiunque si avvicini alla realtà penitenziaria: media, studenti, esperti, forze politiche.
Ringraziamo dunque l’impegno volontario di tutti i nostri Osservatori:
Francesco Alessandria, Perla Arianna Allegri, Rosalba Altopiedi, Andrea Andreoli, Samuele Animali, Chiara Babetto, Alessandra Ballerini, Erica Barbaccia, Mancino Barbara, Mario Barone, Hassan Bassi, Sara Bauli, Sergio Besi, Paola Bevere, Giorgio Bisagna, Giulia Boldi, Martina Bondone, Sara Brunori, Antonella Calcaterra, Valentina Calderone, Monica Callegher, Francesca Cancellaro, Carolina Canziani, Monia Caroti, Carlotta Cherchi, Filomena Chiarelli, Brunella Chiarello, Antonio Ciliberti, Laura Crescentini, Francesca Darpetti, Emanuela De Amicis, Giada De Bonis, Elia De Caro, Elisa De Nardo, Assunta Delle Donne, Sarah D’Errico, Roberta Di Fiore, Valentina Diamante Tosti, Piero Donadio, Giulia Fabini, Gian Mario Fazzini, Alice Franchina, Silvia Giacomini, Stefano Giordano, Patrizio Gonnella, Corallina Lopez Curzi, Alessandro Maculan, Cardone Manuela, Aliverti Marco, Susanna Marietti, Simona Materia, Michele Miravalle, Giuseppe Mosconi, Maria Vittoria Nardi, Andrea Olenadri, Paolo Orabona, Grazia Parisi, Claudio Paterniti Martello, Benedetta Perego, Caterina Peroni, Ilaria Piccinno, Graziano Pintori, Ornella Piras, Valentina Pizzolito, Daniele Pulino, Alberto Rizzerio, Luigi Romano, Daniela Ronco, Nicola Rossi, Luciana Sammarco, Simone Santorso, Alvise Sbraccia, Vincenzo Scalia, Alessio Scandurra, Maria Pia Scarciglia, Daniele Scarscelli, Cristina Sodi, Michele Spallino, Luca Sterchele, Lorenzo Tardella, Flavia Trabalzini, Valeria Verdolini, Francesca Vianello.
Dal 1998 il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ci autorizza a visitare gli istituti di pena. Fu Alessandro Margara a darci la prima autorizzazione e lo ricordiamo con immenso affetto e gratitudine. Ringraziamo il consigliere Santi Consolo, capo del Dap, per consentirci ancora in piena trasparenza il nostro lavoro di osservazione. Ringraziamo anche la dott.ssa Assunta Borzacchiello per la pazienza e l’entusiasmo.
@ Maggio 2018 | foto Ilaria Scarpa