Il diritto alla libertà di culto è solennemente iscritto nella nostra Costituzione, oltre a essere protetto dall’ordinamento e dal regolamento penitenziario. E tuttavia non sempre le garanzie che lo rendono concretamente fruibile sono presenti.
L’amministrazione penitenziaria non pubblica dati esaustivi sulle appartenenze religiose delle persone detenute dal 31.12.2016. A quella data i cattolici e le cattoliche rappresentavano il 54,7% della popolazione ristretta, il 26,3% non dichiarava il proprio credo perché ateo o perché preferiva non farlo, i musulmani costituivano l’11,4% del totale e gli ortodossi il 4,2%. Negli scorsi rapporti, anche a partire dalla lettura che di questi dati fece il DAP, avanzammo l’ipotesi che parte delle persone detenute di fede musulmana preferisse non dichiarare la propria religione per paura di una discriminazione. La nostra ipotesi era che la centralità assunta negli ultimi anni dal tema della radicalizzazione violenta in carcere, tanto nel discorso politico quanto nelle pratiche dell’Amministrazione Penitenziaria, avesse tra i suoi effetti reali o potenziali la discriminazione delle persone detenute musulmane (link al pezzo sulle religioni dell’anno scorso).
Il diritto alla libertà di culto è solennemente iscritto nella nostra Costituzione, oltre a essere protetto dall’ordinamento e dal regolamento penitenziario. E tuttavia non sempre le garanzie che lo rendono concretamente fruibile sono presenti. Tale diritto si concretizza attraverso la possibilità di esprimersi liberamente e pubblicamente, rispetto alla quale i discorsi e le pratiche legate al contrasto alla radicalizzazione sembrano costituire una minaccia, ma anche attraverso la possibilità di riunirsi collettivamente assieme ai propri correligionari per celebrare i riti condivisi. Perché ciò sia possibile all’interno di un carcere è necessario che l’Amministrazione predisponga dei luoghi appositi, cosa che per i non cattolici spesso non avviene. In oltre il 22% degli istituti visitati dall’Osservatorio di Antigone nel corso del 2018 non c’era alcuno spazio dedicato ai culti non cattolici (in 19 su 85).
Dove ci sono spazi dedicati ai culti non cattolici negli istituti visitati nel 2018
Fonte: Osservatorio Antigone 2018
Un terzo presupposto necessario perché il diritto alla libertà di culto trovi concreta attuazione è la presenza dei ministri di culto.
In questi casi l’unica possibilità di raccoglimento spirituale trovava come spazio la cella. Peraltro, se per ogni istituto è presente almeno una cappella per la celebrazione del rito cattolico, per gli altri riti, gli spazi predisposti per gli altri riti, quando ci sono, sono per lo più salette polivalenti senza alcun corredo specifico.
Un terzo presupposto necessario perché il diritto alla libertà di culto trovi concreta attuazione è la presenza dei ministri di culto. Gli ultimi dati pubblicati dal DAP danno conto di 314 cappellani dipendenti dall’Amministrazione Penitenziaria distribuiti tra i circa 190 istituti penitenziari. I ministri delle altre confessioni invece entrano negli istituti in virtù di convenzioni apposite (come il protocollo siglato dall’Amministrazione con l’Unione delle Comunità Islamiche Italiane) o in quanto volontari, senza alcuna remunerazione e spesso su esplicita richiesta dei detenuti. Nel 13% delle carceri da noi visitate nel corso del 2018 non c’era alcun ministro di culto diverso dal cappellano cattolico.
Dove entrano ministri di culto non cattolici negli istituti visitati nel 2018
Fonte: Osservatorio Antigone 2018
Ministro di culto diverso dal cappellano
SI | 68 |
NO | 11 |
ND | 6 |
Fonte: Osservatorio Antigone 2018
Merita infine una menzione la distribuzione di menù appositi per i detenuti di fede musulmana. Nel 10,5% degli istituti visitati dall’Osservatorio di Antigone questi non erano assicurati.
Menu mussulmano
Fonte: Osservatorio Antigone 2018