E’ poi importante tenere conto della contenuta presenza numerica di persone detenute coinvolte in un processo di radicalizzazione avanzato, evitando dunque una mobilitazione di mezzi e risorse sproporzionata.
Gli ultimi anni hanno visto una sempre crescente attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni al processo della radicalizzazione, rispetto al quale il carcere viene visto come catalizzatore. Nell’elaborazione delle risposte volta alla prevenzione e al contrasto di tale fenomeno è presente il rischio di un’ingiustificata erosione dei diritti delle persone detenute. E’ importante tenere alta la soglia dell’attenzione rispetto al pericolo di una progressiva trasformazione delle dinamiche che reggono la vita penitenziaria alla luce di criteri propri delle attività intelligence ma estranee alle finalità della pena, che deve sempre volgere al reinserimento di tutte le persone detenute, indipendentemente dalla natura del reato commesso o di cui si è chiamati a rispondere. La degiurisdizionalizzazione delle azioni deve essere evitata tanto fuori dal carcere quanto al suo interno. E’ poi importante tenere conto della contenuta presenza numerica di persone detenute coinvolte in un processo di radicalizzazione avanzato, evitando dunque una mobilitazione di mezzi e risorse sproporzionata. Infine, è necessario prendere in conto il rischio di stigmatizzazione di una parte della popolazione detenuta che sulla base della sua provenienza geografica o della religione di appartenenza può venire ingiustificatamente identificata come bacino di potenziali radicalizzati e di conseguenza monitorata con sospetto. A ciò possono contribuire l’ignoranza dei precetti e delle condotte proprie all’islam, rispetto alle quali sono diffuse visioni stereotipate.
E’ importante che specie per i cosiddetti “followers” le pur comprensibili esigenze di sicurezza non sconfinino in indebite schedature.
I dati sulla radicalizzazione
I numeri di cui disponiamo rendono conto di un fenomeno in lieve diminuzione rispetto all’anno scorso e con valori assoluti contenuti. Al 18 ottobre 2018 erano presenti 66 imputati o condannati per reati connessi al terrorismo internazionale di matrice islamica. Si tratta di persone detenute inserite in un sotto-circuito del circuito dell’Alta Sicurezza 2, che ospita imputati e condannati per terrorismo o eversione dell’ordine democratico. Relativamente alla sottocategoria specifica degli AS2, rispetto al 2017 vi è un incremento di circa il 6%. Il Nucleo Investigativo Centrale (N.I.C.) dell’Amministrazione Penitenziaria raccomanda per questa tipologia di detenuti la creazione di piccole sezioni di una capienza massima di 10 posti. Per i detenuti in AS2 esiste il rischio della mancanza di attività che occupino la giornata detentiva e diano un senso alla pena. In tal modo si finirebbe per alimenterebbe il senso di esclusione e vittimizzazione alla base del processo di radicalizzazione. Situazioni degradate di detenzione aumentano il rischio di identificazione con gruppi di appartenenza che propongono visioni estremamente conflittuali rispetto alla società da cui è scaturita la sanzione. La capacità dell’istituzione di garantire diritti, in primis quello religioso, è il primo e più efficace strumento di contrasto e prevenzione della radicalizzazione violenta.
Desta preoccupazione la bassissima percentuale di detenuti per terrorismo islamico con condanna definitiva. Nel 2017 rappresentavano circa il 6% dei ristretti nel sotto-circuito dell’ Alta Sicurezza 2 (AS 2), a fronte di un 50% in attesa di primo giudizio, di un 25% di appellanti, di un 15% di ricorrenti e di un 4% con posizione giuridica mista.
Il monitoraggio legato a un vero o presunto processo di radicalizzazione in corso comprende, oltre ai detenuti in AS 2, i ristretti per reati comuni che nel corso della detenzione mostrano segni di avvicinamento a ideologie radicali, individuati dal personale sulla base di strumenti di valutazione del rischio elaborati a partire da appositi protocolli licenziati dalla Commissione Europea. Il livello di monitoraggio, che consiste anche in uno studio della corrispondenza e dei contatti interni e ed esterni, varia a seconda del grado di radicalizzazione, su cui vi è una valutazione congiunta da parte del N.I.C. e della direzione dell’Istituto. Al 31 ottobre 2018 erano 233 i detenuti monitorati con il più alto livello di attenzione. Di questi, 171 erano detenuti comuni e 62 i ristretti in AS2. Sono circa il 4% in meno rispetto all’anno precedente. Erano poi 103 i monitorati con un livello intermedio di attenzione e 142 i cosiddetti “followers”, detenuti considerati fragili e di conseguenza più facilmente avvicinabili a ideologie violente, nella situazione di sofferenza causata dal contesto detentivo.
I monitorati erano in tutto 478 , circa il 5,5% in meno rispetto al 2017. Di questi, il 27,7% provenivano dalla Tunisia, il 26, 07 dal Marocco, il 6% dall’Egitto e il 4,5% dall’Algeria.
Fonte: Rielaborazioni dati Ministero della giustizia
Detenuti monitorati per radicalizzazione al 31 ottobre 2018 | ||
Livello alto | Livello medio | Livello basso |
233 | 103 | 142 |
Fonte: Rielaborazioni dati Ministero della giustizia
Nel corso del 2018 sono state ritenute pericolose ed espulse a fine pena 79 persone. Nel 2017 erano state 50, circa il 37% in meno. Non si dispone di alcun dettaglio sui criteri in base ai quali è stata valutata la pericolosità né sulla posizione giuridica delle persone espulse. A fronte di misure dal forte impatto sulla libertà di movimento degli individui è fondamentale stabilire criteri certi, che riducano al minimo il livello di valutazione soggettiva.
La produzione di informazioni riguardanti i soggetti monitorati durante il periodo di detenzione è condivisa con varie istituzioni, tra cui la prefettura, ed è destinata ad avere effetti sulla vita sulla vita dei monitorati e sul loro rapporto con le istituzioni anche una volta terminato il periodo detentivo. E’ importante che specie per i cosiddetti “followers” le pur comprensibili esigenze di sicurezza non sconfinino in indebite schedature.
L’Osservatorio ha infine rilevato, nel corso delle sue visite, una mancanza di formazione diffusa, sia sul versante linguistico che su quello culturale. Ciò non può che limitare o impedire la comprensione delle soggettività recluse e dei loro comportamenti, aumentando il rischio di adozione di criteri stereotipati e una gestione detentiva basata su mere esigenze di sicurezza.