La legislazione ed i numeri della detenzione cautelare

La legislazione ed i numeri della detenzione cautelare

Custodia cautelare

La legislazione ed i numeri della detenzione cautelare in carcere

Le novità legislative, il confronto con l’Europa e le cattive abitudini dure a morire

Gennaro Santoro

IL’Italia è il quinto paese dell’Unione Europea con il più alto tasso di detenuti in custodia cautelare, con una percentuale di detenuti non definitivi, al 31 dicembre 2016, pari al 34,6% rispetto ad una media europea pari al 22%1.

10mln le persone incarcerate in custodia cautelare
ogni anno nel mondo

Il libro L’impatto socio-economico della custodia cautelare, e il documento L’Eccessivo utilizzo della custodia cautelare, scritti dal Commissario per i Diritti umani del Consiglio d’Europa Thomas Hammarberg nell’Agosto del 2011, mettono in evidenza come ogni anno circa 10 milioni di persone in tutto il mondo vengono incarcerate in custodia cautelare e rimangono in carcere per mesi o anni prima che la loro colpevolezza venga dimostrata. Al di là delle considerazioni sul piano legale e umanitario, il libro afferma che “imprigionare milioni di persone che si presume siano innocenti è una perdita di potenziale umano che mina lo sviluppo economico”.

L’articolo 5 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) dispone che ogni persona ha il diritto alla libertà ed alla sicurezza. Nessuno può essere privato della libertà tranne nei casi esplicitamente richiamati dall’articolo 5 e nei modi prescritti dalla legge e la norma impone delle garanzie quanto all’informazione circa il capo d’accusa, alla traduzione innanzi all’autorità giudiziaria, al diritto ad essere giudicato in un lasso di tempo ragionevole o di essere lasciato libero durante la fase delle indagini, all’accesso ad un riesame rapido ed efficace ed al diritto al risarcimento in caso di violazione dell’articolo 5 stesso.

Fino a pochi anni fa l’Italia deteneva il primato in Europa per il tasso di detenuti non definitivi, arrivando all’incredibile tasso del 51,3% nel 2008 e, non a caso, ha subito (specie fino al 2010, quando il tasso era pari al 42,2%) numerose condanne per violazione dell’articolo 5 della CEDU per l’eccessivo periodo di detenzione preventiva e l’assenza di effettive garanzie nei procedimenti sottesi all’applicazione di misure cautelari detentive.

DatiDetenuti in custodia cautelare
nei principali Paesi europei

Valori in %

34,3

29,6

28,5

25,7

23,8

20,7

13,8

10,9

8

Svezia

Norvegia

Germania

Francia

Spagna

UK

Grecia

Polonia

Italia

31 Mar

2017

31 Mar

2017

1 Ott

2015

30 Giu

2016

28 Set

2016

30 Nov

2016

1 Gen

2017

1 Gen

2017

3 Mar

2017

34,3

29,6

28,5

25,7

23,8

20,7

13,8

10,9

8

Spagna

Svezia

UK

Norvegia

Germania

Francia

Grecia

Polonia

Italia

31 Mar

2017

1 Ott

2015

30 Giu

2016

28 Set

2016

30 Nov

2016

1 Gen

2017

1 Gen

2017

3 Mar

2017

31 Mar

2017

25,7

23,8

10,9

Svezia

UK

Norvegia

1 Ott

2015

30 Giu

2016

28 Set

2016

29,6

28,5

20,7

Germania

Francia

Grecia

30 Nov

2016

1 Gen

2017

1 Gen

2017

34,3

13,8

8

Spagna

Polonia

Italia

3 Mar

2017

31 Mar

2017

31 Mar

2017

Fonte: Fair Trials International
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Negli ultimi 8 anni il tasso di soggetti ristretti in assenza di una condanna definitiva è diminuito di quasi 17 punti percentuali e negli ultimi tre anni si attesta sul 34%.

DatiCONFRONTO TRA IMPUTATI ITALIANI E STRANIERI,
2007 - 2016

Dati al 31 dicembre di ogni anno, in %

Fonte: DAP
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Le ragioni del costante alto numero di detenuti non definitivi nelle patrie galere sono molteplici. Preliminarmente, su di un piano comparativo è opportuno osservare come nel nostro ordinamento, al contrario di altri, la presunzione di innocenza (art. 27, c. 2 Costituzione) si estenda oltre il primo grado di giudizio, così che anche per il secondo grado e il giudizio di Cassazione si continuano ad applicare le regole in materia di misure cautelari.

Strettamente correlato a questo aspetto teorico vi è un aspetto pratico alla base dell’elevato numero di ristretti non definitivi: l’eccessiva durata del procedimento penale in Italia. Tale dato, inevitabilmente comporta che la custodia cautelare rappresenti anche una anticipazione (o, sovente, una sostituzione) della pena finale. Ciò comporta inoltre che la custodia cautelare svolga una funzione in parte contraria alla legge, perché si pone in contrasto con il principio di presunzione di innocenza sopra menzionato: la funzione della custodia cautelare dovrebbe infatti risiedere esclusivamente nel rispondere alle esigenze cautelari come indicate all’art. 274 c.p.p..

Le conseguenze drammatiche di tale situazione si riversano sui detenuti stessi che, in quanto non definitivi, sono destinatari di norme e prassi carcerarie deteriori rispetto a quelle dedicate ai definitivi (ad esempio, per l’accesso al lavoro), nonostante possano trascorrere in carcere numerosi anni.

Infine, ulteriore fattore che determina il costante alto numero di presenze di detenuti non definitivi in carcere è costituito dalla scarsa applicazione di misure meno afflittive, quale ad esempio gli arresti domiciliari (con o senza l’utilizzo del braccialetto elettronico).

Basti pensare che nel I semestre 2016 vi sono stati 34.046 soggetti arrestati in flagranza di reato, 24.149 ingressi in carcere dalla libertà (dato che non distingue tra chi è destinatario di un ordine di esecuzione per condanna definitiva e chi è destinatario della misura cautelare dopo l’udienza di convalida dell’arresto in flagranza).

8.108 gli arresti domiciliari (1/3 degli ingressi in carcere),
I° semestre 2016

Nello stesso periodo di riferimento (I semestre 2016) il numero di soggetti sottoposti agli arresti domiciliari si è attestato sulle 8.108 unità, ossia 1/3 del numero degli ingressi in carcere. Soltanto in 240 casi sono state autorizzate uscite dal domicilio (ad es. per svolgere attività lavorativa) e in 1.499 casi è stato disposto l’utilizzo del braccialetto elettronico.

Da tale ultimo dato (sottoutilizzo del braccialetto elettronico) è facile presumere che in molti casi il Giudice procedente avrebbe ritenuto idonea la misura cautelare degli arresti domiciliari avvalendosi del controllo elettronico, ma non essendovi dispositivi disponibili (sono soltanto circa 2.000 i braccialetti elettronici di cui dispone il Ministero della Giustizia e nel periodo di riferimento in 1.499 casi ne è stato disposto l’utilizzo) è stata, almeno provvisoriamente, disposta la custodia cautelare in carcere, in attesa di disponibilità del dispositivo elettronico.

Le recenti riforme e una ricerca sul campo

Il Parlamento Italiano ha introdotto, a partire dalla legge 94/2013, nuove leggi che hanno sicuramente limitato fortemente il ricorso alla custodia cautelare in carcere e previsto garanzie processuali ulteriori rispetto al passato nelle procedure di applicazione, modifica ed estinzione delle misure cautelari detentive.

In particolare, la legge 117/2014 e la legge 47/2015 hanno certamente generato un sistema più liberale, teoricamente atto a ridurre significativamente il numero di soggetti in stato di custodia cautelare.2

La volontà specifica del Parlamento italiano è stata quella di ridurre il numero di detenuti (compresi quelli in attesa di giudizio) per conformarsi con quanto statuito nella nota sentenza della Corte EDU nel caso Torreggiani contro Italia.

Ad un esame superficiale dei pochi dati disponibili in materia3 il Legislatore ha raggiunto lo scopo, anche se desta forte preoccupazione l’aumento del tasso di detenuti in custodia cautelare (+0.5%) riscontrato tra il 2015 ed il 2016.

DatiDetenuti in custodia cautelare, 2010-2017

Valori in %

detenuti in custodia cautelare

totale detenuti

2016

2017

2010

2011

2012

2013

2014

2015

63

61,1

58,1

36,5

34,5

34,1

34,6

34,5

detenuti in custodia cautelare

totale detenuti

2016

2017

2010

2011

2012

2013

2014

2015

63

61,1

58,1

36,5

34,5

34,1

34,6

34,5

detenuti in custodia cautelare

totale detenuti

2010

2011

2012

2013

63

61,1

58,1

36,5

2016

2017

2014

2015

34,5

34,1

34,6

34,5

Fonte: D.A.P
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Sta di fatto che i soli interventi legislativi non risolvono il problema della diffusa applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti dei soggetti più vulnerabili e basati contra legem sulla sola sussistenza di precedenti penali e, in definitiva, con motivazione formale.

L’Associazione Antigone ha di recente partecipato ad un importante progetto europeo The practice of pretrial detention: monitoring alternatives and judicial decision-making, finanziato dalla DG Justice dell’Unione Europea e coordinato da Fair Trials international. In estrema sintesi, il progetto si poneva l’obiettivo di mettere a confronto le prassi giudiziarie relative alla applicazione delle misure cautelari in 10 paesi UE, per fornire un importante strumento alla Commissione Europea oggi impegnata in un Impact Assessment volto all’adozione di misure legislative comunitarie sulla custodia cautelare.

Ricercatori dell’Associazione hanno pertanto partecipato ad udienze relative all’applicazione delle misure cautelari, esaminato fascicoli processuali e sottoposto questionari ad avvocati, giudici e pubblici ministeri.

Dai fascicoli processuali esaminati è emerso che il 14% degli imputati è stato assolto dopo aver subito la detenzione cautelare in carcere, nel 5% dei casi (relativi a estradizione e mandato di arresto europeo) non è avvenuta la consegna ma la misura custodiale (in carcere o in regime di arresti domiciliari) è stata comunque applicata (in un caso per 334 giorni), mentre nell’ l’81% dei casi vi è stata una sentenza di condanna.

DatiEsame di fascicoli processuali

Valori in %

Consegna non avvenuta ma custodia cautelare applicata

(casi relativi a estradizione e mandato di arresto europeo)

81

14

5

Sentenza di condanna

Assolto

Consegna non avvenuta ma custodia cautelare applicata

(casi relativi a estradizione e mandato di arresto europeo)

81

14

5

Sentenza di condanna

Assolto

5

Consegna non avvenuta ma

custodia cautelare applicata

(casi relativi a estradizione

e mandato di arresto europeo)

14

Assolto

81

Sentenza di condanna

Fonte: Antigone
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Per quel che riguarda la modifica o la revoca della misura cautelare, dalla ricerca è emerso che in circa tre casi su quattro la custodia cautelare in carcere inizialmente disposta è stata successivamente mitigata. Tale stato dell’arte è spesso dovuto al fatto che l’interessato fornisce la prova di avere un alloggio idoneo, o riesce a provare l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza o delle esigenze cautelari, solo dopo la prima udienza relativa all’applicazione della misura cautelare.

gli avvocati hanno pochissimo (tra i dieci minuti e la mezz’ora)
per predisporre la difesa alla prima udienza

Dalle interviste agli avvocati è infatti emerso che gli stessi hanno pochissimo tempo (in media tra i 10 e i 30 minuti) a disposizione per predisporre la difesa alla prima udienza (di norma, la stessa in cui avviene la convalida dell’arresto) di discussione sull’applicazione della misura e che le motivazioni delle ordinanze che dispongono la custodia cautelare in carcere continuano ad apparire formali, affidandosi i Giudici eccessivamente alle prove fornite dall’accusa e giustificando l’applicazione della misura custodiale in carcere per la sussistenza di precedenti penali.

Il dato più allarmante della ricerca è forse costituito dall’eccessivo utilizzo della misura cautelare in carcere nei confronti dei soggetti più vulnerabili, specie se stranieri extra UE.

445 In un caso i giorni di ingiusta detenzione

Basti pensare che tutti i casi di ingiusta detenzione riscontrati nella ricerca hanno riguardato cittadini extra UE. In un caso, l’ingiusta detenzione in carcere si è protratta per 445 giorni.

In effetti, a ben vedere, emerge chiaramente una forte disparità tra cittadini extra-comunitari ed europei se si analizza il dato demografico dei destinatari di ordini di carcerazione preventiva. Nei casi analizzati soltanto 13 imputati su 43 fascicoli esaminati erano cittadini stranieri, 11 gli extra-comunitari di cui quattro irregolari, due senza fissa dimora. Per questi imputati la custodia cautelare è stata richiesta in 11 casi (circa l’85%), e la Procura in sei casi ha giustificato la richiesta sostenendo che l’imputato era un cittadino straniero. Il giudice ha ordinato la detenzione cautelare in nove casi (69%) e misure alternative alla custodia cautelare in carcere in due casi. Gli esiti dei procedimenti in questione sono stati: otto condanne, tre assoluzioni (e relative richieste di risarcimento per l’ingiusta detenzione subita) e in due casi (relativi ad estradizione e mandato di arresto europeo) la consegna allo stato richiedente non è stata accolta.

gli imputati vulnerabili sono solitamente posti
in custodia cautelare anche quando potrebbero essere ai domiciliari

In definitiva, dalla ricerca emerge che imputati vulnerabili (specie se stranieri extra UE) che non hanno una abitazione ed una rete di rapporti sociali sono solitamente posti in custodia cautelare carceraria anche quando in astratto le esigenze cautelari potrebbero essere soddisfatte con gli arresti domiciliari.

Emblematico è il caso di Juan (nome di fantasia), che per il furto in un supermercato di pochi beni alimentari, è stato detenuto in custodia cautelare.

All’imputato, un cittadino extracomunitario, durante la prima udienza è stato imposto, in alternativa alla custodia cautelare, l’obbligo di presentarsi regolarmente alla polizia giudiziaria. A seguito della violazione di questa misura cautelare il giudice ha ordinato che la misura fosse trasformata in arresti domiciliari, a patto che il domicilio dell’interessato fosse idoneo a questo scopo. La polizia incaricata di eseguire l’ordinanza di mutamento della misura ha tuttavia ritenuto l’alloggio non idoneo: si trattava di un’abitazione occupata illegalmente a suo tempo dall’imputato, che nel frattempo era stata occupata da altro soggetto. L’imputato è stato quindi ricondotto in carcere per mancanza di un alloggio idoneo, finendo in questo modo in carcere nonostante il giudice avesse ritenuto, per tutelare gli interessi sottesi all’applicazione della misura cautelare (pericolo di reiterazione del reato, di fuga o inquinamento delle prove), fosse sufficiente una misura assai meno afflittiva.

Un altro caso emblematico è quello di Karim (nome di fantasia), arrestato il 9 maggio del 2013. L’11 maggio è stato convalidato l’arresto per contraffazione di banconote, con applicazione della custodia cautelare in carcere. Inizialmente Karim è stato difeso da un avvocato d’ufficio che addirittura ha rinunciato alla traduzione degli atti essenziali del processo, nonostante l’interessato non comprendesse la lingua italiana e si professasse innocente. Il difensore di fiducia, nominato il successivo 21 maggio, ha ottenuto il 6 giugno la modifica della misura in arresti domiciliari, dopo aver provato l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza: incredibilmente le banconote non erano mai state sottoposte ad alcun esame tecnico per verificare che fossero false e, a seguito dell’istanza della difesa, ne è stata infine accertata l’autenticità. Ciò nonostante, alla prima richiesta di revoca o modifica sono stati concessi soltanto i domiciliari. Tale misura è stata poi revocata soltanto il 20 luglio, a seguito di una ulteriore istanza della difesa. L’interessato è stato infine assolto con formula piena ed ha presentato domanda di risarcimento del danno per l’ingiusta detenzione subita per 28 giorni in custodia cautelare in carcere e 44 giorni in regime di arresti domiciliari.

Conclusioni



648mln Spesa per risarcire ingiuste detenzioni cautelari

Dal 1992 ad oggi l’Italia ha speso 648 milioni (42 milioni soltanto lo scorso anno) per risarcire ingiuste detenzioni cautelari subite da persone che dopo anni ed anni di processo sono state assolte.

Il sottoutilizzo di misure meno afflittive rispetto alla custodia cautelare in carcere (dagli arresti domiciliari all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria), o anche dei braccialetti elettronici (soltanto 2000 disponibilità), il sovrautilizzo della custodia cautelare in carcere nei confronti dei soggetti più vulnerabili e la durata eccessiva dei processi sono da considerarsi fattori facilmente riconoscibili di questo drammatico stato dell’arte.

Tuttavia vi sono fattori meno riconoscibili che creano ingiuste detenzioni e sui quali in Europa ed in Italia vi è l’improcrastinabile esigenza di porre attenzione.

Nel report “Detenuti senza processo” Fair Trials ha messo in guardia il legislatore Europeo su come i diritti fondamentali degli individui siano violati nel processo di applicazione della custodia cautelare. Una serie di tavole rotonde con esperti svoltesi tra il 2012 ed il 2013 in Olanda, Regno Unito, Francia, Polonia, Grecia e Lituania hanno individuato nel processo decisionale la possibile causa dell’uso eccessivo della custodia cautelare ed hanno sottolineato la necessità di risolvere questo problema. Ma sino ad ora, nessuna iniziativa a livello legislativo è stata presa in relazione al potenziamento della tutela dei diritti degli imputati che rischiano di essere sottoposti a custodia cautelare. Tuttavia, come osservato, la Commissione Europea sta attualmente conducendo un Impact Assessment per l’adozione di una misura legislativa comunitaria sul tema ed è necessario che la politica italiana e gli operatori del diritto sostengano l’introduzione di garanzie minime, effettive ed omogenee in Europa.

Per altro verso, sul piano domestico, alcuni interventi ulteriori, rispetto alle riforme normative più su menzionate, andrebbero adottati.

Da una prima analisi dei dati disponibili emerge che la disponibilità di un maggior numero di dispositivi elettronici di controllo potrebbe consentire un alleggerimento delle presenze in carcere di chi è in attesa del primo giudizio o di una condanna definitiva.

Inoltre, sarebbe auspicabile agire sulle garanzie relative alla prima udienza, dove si decide in ordine all’applicazione della misura, quando è possibile evitare il passaggio in carcere di soggetti che possono essere sottoposti a misure meno afflittive sin dall’inizio.

un suggerimento
pratico potrebbe essere
la notifica per via telematica del fascicolo dell’accusa

Un suggerimento pratico alle Autorità italiane potrebbe essere quello di introdurre la notifica per via telematica, contestualmente all’avviso di fissazione della prima udienza relativa all’applicazione della misura cautelare, anche del fascicolo dell’accusa (o almeno degli atti essenziali), in modo da consentire al difensore di predisporre adeguatamente la difesa, come avviene in altri paesi europei.

Infine, vi è la necessità di implementare e dare finalmente piena attuazione alla Direttiva 64/2010/UE che stabilisce delle norme minime per tutta l’Unione europea per quanto riguarda l’interpretazione e la traduzione nei procedimenti penali e nei procedimenti per l’esecuzione del mandato d’arresto europeo.

Come già osservato, guardando il profilo demografico dei destinatari di ordini di custodia cautelare si riscontra una forte disparità tra cittadini dell’UE e i cittadini non comunitari. In questi casi specifici, il ruolo svolto dal difensore non è sufficiente ad impedire l’applicazione della custodia cautelare anche a causa della mancata piena implementazione della direttiva 64/2010/UE. La piena attuazione di tale direttiva, in particolare per quanto riguarda la possibilità di nominare un interprete per permettere all’imputato alloglotta di partecipare attivamente al processo e alla difesa di organizzare al meglio la strategia difensiva, la costituzione di un registro degli interpreti autorizzati e una formazione specifica per avvocati, giudici, interpreti e forze di polizia su tale direttiva potrebbe contribuire a ridurre il numero di detenuti in custodia cautelare.

La carenza di dati strutturati sulla custodia cautelare in carcere non consente ulteriori suggestioni, se non l’auspicio che il nostro ordinamento possa continuare a preservare il principio di innocenza, adottando misure atte ad evitare passaggi in carcere illegittimi e dannosi per chi li subisce e per l’intera comunità.

  1. A Measure of Last Resort? The practice of pre-trial detention decision making in the EU, Fair Trials International, pag. 3.
  2. Per un approfondimento sui contenuti delle leggi 117/2014 e 47/2015 vedi www.penalecontemporaneo.it
  3. L’art.15 della legge 47/2015 prevede l’obbligo di presentare annualmente una relazione ministeriale che affronti le questioni inerenti all’utilizzo delle misure cautelari personali. La prima relazione, pubblicata di recente, è piuttosto deludente in quanto si è fondata su un campione molto limitato (soltanto il 35% dei Tribunali) e non specifica quali interventi normativi hanno causato la riscontrata diminuzione del numero di detenuti in custodia cautelare, non fornendo, in definitiva, uno strumento di conoscenza e di verifica della efficacia dei singoli interventi, anche per valutare correzioni ed integrazioni