La fine di una storia e il futuro incerto

La fine di una storia e il futuro incerto

Senza OPG

La fine di una storia
e il futuro incerto

La fotografia delle R.E.M.S, le “liste d’attesa” e i nodi da risolvere

Michele Miravalle

Con il trasferimento degli ultimi due internati dall’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto nei primi giorni di maggio del 2017, si conclude la secolare storia dei manicomi criminali in Italia (poi manicomi giudiziari, poi, dal 1975, O.P.G.).

Sono trascorsi 141 anni da quando ad Aversa, nella casa penale per invalidi ospitata nel convento cinquecentesco di San Francesco da Paola, nasce la prima “sezione per maniaci”, che poteva ospitare fino a 19 persone. Vi erano rinchiusi i “delinquenti impazziti, che rappresentano scene di terrore e che portano scompiglio”, così li descriveva Filippo Saporito, psichiatra e storico direttore del manicomio di Aversa. Erano pazzi e criminali allo stesso tempo, troppo pazzi per stare in un carcere, troppo criminali per un manicomio civile. Erano (e sono?) la rappresentazione dello stigma (anzi del doppio stigma, quello del deviante e quello del malato di mente) che spaventava (e spaventa?) la società perbene. Da isolare e neutralizzare, per scongiurare contaminazioni (Foucault, 1963). Ecco l’essenza della logica manicomiale su cui si è basato il governo della follia dal XIX secolo1 ad oggi.


le principali tappe della storia degli O.P.G. 1877 Nasce ad Aversa la prima “sezione per maniaci” nella casa penale per invalidi 1904 Il governo Giolitti approva la prima legge sui manicomi 1923-1925 Dopo Aversa, Montelupo Fiorentino e Reggio Emilia, vengono aperti i manicomi criminali a Napoli, nel quartiere Avvocata di Napoli e a Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) 1930 Entra in vigore il codice Rocco, nuovo codice penale che istituisce il “doppio binario”: accanto alle pene per gli imputabili, sono previste le misure di sicurezza (tra cui il manicomiuo giudiziari) per i non imptabili socialmenti pericolosi 1974 Dopo anni di assordanti silenzio,ritorna l’attenzione dell’opinione pubblica quando nel manicomio giudiziario di Napoli, muore bruciata viva Antonia Bernardini, mentre è coercita nel letto di contenzione. 1975 Si approva il nuovo Ordinamento penitenziario (l. 354/1975), i manicomi giudiziari si trasformano in Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Cambia il nome, non le pratiche. 1978 Si approva la legge 180 (la “legge Basaglia”). Inizia la dismissione dei manicomi civili. Nascono i Servizi di salute mentale territoriali. La riforma non si occupa degli O.P.G. 2003 La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 253/2003, apre alla possibilità di applicare misure meno restrittive (libertà vigilate) invece dell’O.P.G. 2008-2010 La riforma della sanità penitenziaria “regionalizza” gli O.P.G. Ora la competenza è delle Asl e non del Ministero della Giustizia. 2012 La Commissione d’inchiesta del Senato ispeziona a sorpresa gli O.P.G. Il presidente Napolitano, dopo aver visionato le immagini, parlerà di “estremo orrore” 2014 Si approva la legge 81. Chiudono gli O.P.G., vengono istituite le R.E.M.S 2017 A maggio, gli ultimi due internati escono dall’O.P.G. di Barcellona Pozzo di Gotto


È dunque questo il primo rapporto di Antigone “senza O.P.G.”. Un traguardo difficile e precario, che Antigone ha perseguito con passo lento, ma inesorabile, condividendo la campagna di StopOPG2 con sindacati, associazioni e operatori convinti che i tempi fossero maturi per espugnare quelle fortezze vecchie di 141 anni.

Un traguardo che ha nella legge 81/2014
il punto di non ritorno

Quella legge, approvata dal parlamento sulla scorta dell’indignazione pubblica provocata dalle immagini registrate all’interno dei vecchi O.P.G. dalla commissione d’inchiesta3 presieduta dal senatore Ignazio Marino4, fissa alcuni importanti punti fermi.

Oggi, trascorsi tre anni dall’approvazione di quel provvedimento e raggiunto il principale obiettivo (la chiusura degli O.P.G.) i tempi sono maturi per alcune riflessioni e per capire se la volontà del legislatore ha prodotto quei necessari cambiamenti sociali e culturali, senza i quali la legge rimane mera enunciazione.

In generale occorre prendere atto di una rinnovata attenzione alla questione dei pazienti psichiatrici autori di reato e soprattutto di una maggior trasparenza. Grazie infatti al tenace lavoro di Franco Corleone, Commissario unico del Governo sul superamento degli O.P.G., possiamo oggi avere un quadro nazionale aggiornato dell’applicazione della legge 81/2014 e conoscere il profilo delle persone sottoposte a misura di sicurezza detentiva. Possiamo finalmente intuire dove magistrati, operatori della salute mentale e amministratori pubblici stanno dirigendo il timone. Prima, fatta eccezione per l’unica ricerca effettuata sulla totalità della popolazione internata, condotta da Vittorino Andreoli nel 2003 (Andreoli, 2003), l’O.P.G. e i suoi abitanti erano tenuti in un spazio recondito e inviolabile, dove nulla veniva chiesto e nulla veniva risposto.

“Il codice penale non si tocca” (purtroppo)

Il codice Rocco, entrato in vigore nel 1930 ha dato cittadinanza giuridica al “sistema del doppio” binario, che prevede, accanto alle pene per le persone imputabili, una serie di misure di sicurezza (tra cui il ricovero in O.P.G.) per i soggetti “non imputabili” (o semi imputabili) poiché incapaci di intendere e volere al momento della commissione del reato, ma “socialmente pericolosi”. Su questi due presupposti (la non imputabilità per vizio di mente e la pericolosità sociale) hanno potuto vivere e prosperare gli O.P.G.

Nei decenni si sono susseguite le critiche, soprattutto contro l’oscura definizione di pericolosità sociale che è antistorica, poiché continua a promulgare l’equazione tra malattia mentale e pericolosità e antigiuridica, poiché presenta tutti i vizi di un giudizio prognostico e incerto, con le stesse garanzie di un “tiro a dadi” (Dessenker, 2004).

Non sono mancate le proposte alternative di superamento (o, per lo meno, di modifica) del sistema del doppio binario (tutte le commissioni di riforma del codice penale succedutesi negli ultimi anni, avevano proposte modifiche, a cominciare dalla più convincente e completa, quella della Commissione Grosso che aveva proposto la sostituzione della “pericolosità sociale” con il “bisogno di cura”, mettendo dunque al centro le esigenze terapeutiche del paziente).

Eppure il codice penale non si cambia, nonostante i tempi siano ormai maturi. I due pilastri portanti restano lì e continuano a costituire le fondamenta del nostro ordinamento. E dunque bisogna contare sulla portata innovatrice della giurisprudenza (che negli anni ha saputo far cadere alcuni steccati importanti, come quello sulla durata minima delle misure di sicurezza o la possibilità di accedere anche a misure non detentive quali la libertà vigilata) o sulla volontà del legislatore, che, come nel caso della l.81/2014 modifica (senza stravolgere) il sistema del doppio binario.

Le R.E.M.S come extrema ratio

Si è comunque deciso che l’ambiguità degli O.P.G., un po’ ospedali e dunque luoghi di cura, un po’ carceri e quindi luoghi di espiazione di una pena, andava risolta. Non erano bastate le fonti secondarie (il DPCM 1 Aprile 2008), ci ha dovuto pensare una legge, facendo comparire nel lessico dell’esecuzione penale, un nuovo acronimo: R.E.M.S, Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza.

Si è voluto idealmente porsi nel solco della legge Basaglia (l.180/1978) che aveva sancito la chiusura dei manicomi civili, valorizzando il ruolo dei servizi territoriali e delle “strutture intermedie”, dove non governasse la logica della segregazione manicomiale e dove la malattia mentale fosse “curata” anzitutto come malattia sociale.

Quella legge si “dimenticò” degli O.P.G., perché allora erano ancora amministrati dal ministero della Giustizia in quanto di strutture penitenziarie. La legge 81/2014 ha voluto recuperare quel ritardo affermando un principio tanto semplice quanto rivoluzionario: la residualità della misura di sicurezza detentiva.

le r.e.m.s devono essere l'extrema ratio, se le altre soluzioni meno restrittive sono inadeguate

Le R.E.M.S insomma devono diventare l’extrema ratio solo ed esclusivamente per quei pazienti per cui ogni altra soluzione meno restrittiva (la libertà vigilata in una comunità protetta o al domicilio, l’affidamento ai servizi di salute mentale del territorio...) sia inadeguata e, in più, per il tempo strettamente necessario.

Devono nascere quindi strutture più piccole degli O.P.G., con al massimo 20 posti, territorialmente diffuse sul territorio (per agevolare i programmi di reinserimento) e gestite esclusivamente da personale sanitario (l’eventuale presenza di forze di polizia è limitata alla vigilanza perimetrale).

Ogni persona deve seguire un Programma Terapeutico Individuale, che “riempa di senso” il suo tempo da trascorrere in R.E.M.S. e deve essere seguita dai servizi di salute mentale competenti. Ovviamente ogni modifica della misura di sicurezza resta in capo al magistrato, che mantiene dunque il “governo” della misura di sicurezza.

Secondo i dati diffusi dal Commissario del governo nella sua ultima relazione (del febbraio 2017) le presenze in R.EM.S. sono effettivamente calate rispetto agli “anni bui” in cui le persone venivano inviate a sovraffollare gli O.P.G.

Gli internati (questa è l’orrenda definizione con cui il codice continua a definire le persone in misura di sicurezza detentiva) oggi sono meno della metà del 2010 (quando si superò il tetto delle 1.500 presenze, come negli anni Settanta, quando i manicomi civili erano ancora in funzione). Certamente dunque si rileva l’attivismo degli operatori nel costruire percorsi che facilitino l’uscita dalle R.E.M.S e diano piena attuazione al principio di extrema ratio.

DatiPresenze in O.P.G. e R.E.M.S., serie storica 2002-2017

Dati al 31 dicembre di ogni anno, al 30 aprile per il 2017

596

ospiti in R.E.M.S.

30 Aprile

2017

1500

1.600

1.434

877

1.274

1.194

1000

1.118

1.094

603

500

6

0

‘02

‘03

‘04

‘05

‘06

‘07

‘08

‘09

‘10

‘11

‘12

‘13

‘14

‘15

‘16

596

ospiti in R.E.M.S.

30 Aprile

2017

1500

1.600

1.434

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1.274

1.194

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603

500

6

0

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‘03

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‘06

‘07

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‘09

‘10

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‘16

596

ospiti in R.E.M.S.

30 Aprile

2017

1,5

1.194

1.600

1

1.094

603

0,5

6

0

‘02

‘04

‘06

‘08

‘10

‘12

‘14

‘16

Fonte: Antigone e DAP
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Le “liste d’attesa”: sono davvero uno scandalo?

Se tuttavia analizziamo i dati delle presenze, suddividendoli per posizione giuridica, scopriamo alcune storture nell’applicazione della legge 81.

215 i ricoverati in misura di sicurezza provvisoria

Anzitutto si rileva che i ricoverati in misura di sicurezza provvisoria (il corrispettivo della custodia cautelare in carcere) e dunque coloro che ancora attendono la risoluzione definitiva della loro vicenda processuale sono 215, pari al 36% del totale. Un dato lievemente superiore alle custodie cautelari in carcere che costituiscono il 34,6% della popolazione detenuta (ben al di sopra della media europea, ferma al 22%).

Soprattutto scopriamo che 290 persone (206 provvisori e 84 definitivi)6 si trovano “in lista d’attesa” e attendono che si liberi un posto in R.E.M.S e che il loro ordine di ricovero emesso dal magistrato venga così eseguito.

Si tratta del 48,65% del totale dei presenti, come a dire che ogni due internati ce n’è uno in attesa.

In molti, soprattutto tra i magistrati, hanno rilasciato dichiarazioni indignate, i media hanno evocato le paurose figure dei “pericolosi in libertà”. Per alcuni è la dimostrazione che i posti in R.E.M.S non bastano e che dunque occorre costruirne di nuovi. Insomma, la risposta scontata sarebbe, ancora una volta, l’istituzionalizzazione.

DatiPresenze in R.E.M.S. per posizione giuridica
e in lista d’attesa

Dati al 30.4.2017

350

215

31

Miste

Misure definitive

Misure provvisorie

350

215

31

Miste

Misure definitive

Misure provvisorie

350

Misure definitive

215

Misure provvisorie

31

Miste



289

Persone in lista d’attesa

205

84

Definitivi

Provvisori

289

Persone in lista d’attesa

205

84

Definitivi

Provvisori

289

Persone in lista d’attesa

205

Provvisori

84

Definitivi

Fonte: Commissario unico del Governo
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Di quei numeri vogliamo invece dare una spiegazione alternativa, tentando di evitare le tentazioni securitarie.

Quei numeri dimostrano che:

psichiatri e dirigenti sanitari si sono rifiutati di “sovraffollare”
le strutture

a) siamo di fronte ad un atto di resistenza coraggioso e inedito da parte del personale sanitario che amministra le R.E.M.S: gli psichiatri e i dirigenti sanitari si sono infatti rifiutati di “sovraffollare” le strutture, consapevoli degli innumerevoli rischi che questo avrebbe comportato. Consapevoli che, con le R.E.M.S sovraffollate il diritto di cura e la dignità della persona sarebbero state messe in seria discussione. Probabilmente nessun direttore di istituto penitenziario ha mai pensato di evitare di applicare un ordine di custodia in carcere. Nessun dirigente penitenziario ha mai pensato che la capienza di un istituto potesse essere un ostacolo o un limite. È sempre stata considerata un mero dato statistico. Nelle R.E.M.S non è successo. Chissà per quanto potrà ancora durare questa resistenza? Chissà chi avrà la meglio in questo braccio di ferro tra potere medico e potere giudiziario?

b) il principio di extrema ratio fatica ad essere interiorizzato. Perchè 290 persone che sono state considerate così “pericolose” da non avere altre soluzioni se non la misura segregante della R.E.M.S riescono invece a restare “in lista d’attesa” senza macchiarsi di efferati delitti, senza trasformarsi in “mostri”? Siamo certi che si tratti di “pericolosi in libertà” e non di persone verso le quali è stata presa una decisione (il ricovero in R.E.M.S) troppo affrettata o inadeguata, vittime insomma di un “eccesso di prudenza”? Si pone dunque il tema dell’accertamento della pericolosità, del ruolo dei periti e della capacità di chi deve giudicare di relazionarsi con gli operatori del territorio per trovare davvero la soluzione migliore. Tema sul quale occorrerà intervenire se si vuole evitare di sconfessare la legge e mettere in difficoltà l’intero sistema.

Il principio di territorialità: l’Italia dai troppi volti

30 le R.E.M.S funzionanti ad oggi

Alcune regioni sono state più efficienti di altre nell’applicazione della legge, altre ancora (Veneto, Piemonte, Abruzzo, Toscana, Puglia, Calabria) hanno necessitato la nomina di un Commissario del governo perché inadempienti. Altre, come il Friuli Venezia Giulia, terra di Basaglia e di manicomi liberati, hanno fatto scelte coraggiose scegliendo di non costruire nuove strutture, ma di destinare i fondi ai servizi di salute mentale.

DatiLe R.E.M.S. attive e il numero delle persone ricoverate

Dati al 30.4.2017

  • 1-10
  • 11-20
  • 21-40
  • Più di 40
Italia

Fonte: Commissario unico del Governo
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In definitiva oggi il quadro pare completo, ma le differenze tra R.E.M.S continuano ad essere troppe e a mettere a rischio il principio dell’uguaglianza di trattamento. Le differenze principali riguardano: le strutture e i sistemi di sicurezza (ad esempio, la presenza di guardie di vigilanza privata, che possono accedere alle camere di ricovero o di sistemi di videosorveglianza è un tema non banale che non può essere considerato una mera scelta organizzativa); i diritti delle persone ricoverate, come quelli di tutte le persone private della libertà, non possono essere derogati o compressi (ancora troppe le differenze in tema di rapporti con i famigliari, possibilità di comunicare con l’esterno, possibilità di accedere a attività trattamentali, diritto ad essere sottoposti a procedimenti disciplinari “formalizzati”); l’uso della contenzione, che in alcune strutture è pratica quotidiana e in altre viene rifiutato, il numero di dimissioni, che, come si vede dal grafico è piuttosto variabile e dimostra quanto la progressività del trattamento terapeutico sia sentita come obbiettivo da perseguire per gli operatori.

Questi sono alcuni dei punti su cui dovrebbe intervenire un regolamento comune, che non potrà essere la fotocopia di quello previsto per gli istituti penitenziari, ma che dovrà marcare la differenza tra le strutture penitenziarie e quelle sanitarie, come le R.E.M.S.

L’equilibrio instabile

La legge 81/2014 ha creato dunque un equilibrio instabile, un sistema fragile, da migliorare nella consapevolezza di affrontare questioni complesse, che richiedono l’impegno di molti. Il clima sociale, alla perenne ricerca del “nemico”, non aiuta certo a promulgare soluzioni garantiste.

Il legislatore, dal canto suo, sembra voler far vacillare questo equilibrio, rischiando di vanificare ogni sforzo fatto fino ad ora.

Il Senato infatti, nel corso della discussione sul disegno di legge delega al Governo riguardante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario” ha approvato un emendamento (ora in discussione alla Camera) che prevede la possibilità di aprire le porte delle R.E.M.S a tutti quei soggetti provenienti dal circuito penitenziario che presentano problematiche psichiatriche7 che non possono essere adeguatamente gestite all’interno delle articolazioni per la salute mentale.

Certamente infatti uno dei punti deboli della riforma è la tutela della salute mentale all’interno degli istituti penitenziari. Dagli inizi degli anni Duemila sono stati istituiti particolari reparti, denominati appunto “articolazioni per la salute mentale” che dovrebbero garantire la cura di chi soffre di patologie psichiatriche. Dovrebbero impiegare personale specializzato, avere spazi e strumenti adeguati, tutelare davvero la salute dei pazienti-detenuti. Ma il condizionale è l’unico tempo verbale utilizzabile. Dalle attività del nostro Osservatorio risulta che molti di questi reparti sono inadeguati e al di sotto degli standard di cura garantiti alla popolazione libera.

Ad oggi le articolazioni aperte in Italia sono 34 e possono ospitare 200 persone. Il rapporto tra carcere e ospedali psichiatrici è da sempre problematico: fino a quando gli O.P.G erano funzionanti venivano utilizzati dall’amministrazione penitenziaria come “istituzioni di scarico”, in cui trasferire i casi più problematici. Da quando è stata approvata la riforma, questo “passaggio” non è più possibile.

Ora, il nuovo testo legislativo in discussione in Parlamento vorrebbe tornare indietro. Si tornerebbe così a R.EM.S che assomigliano troppo da vicino ai superati O.P.G., strutture che dovrebbero tornare ad impiegare personale di sicurezza, perdendo dunque la loro connotazione sanitaria e, in definitiva, tornare ad assomigliare nelle forme e nelle pratiche a istituti penitenziari.

Invece di richiamare alle proprie responsabilità le Aziende sanitarie locali affinché si occupino davvero della salute mentale in carcere, come prescritto dalla legge, si preferisce cercare di “scaricare” su altri il problema, pur di mandarlo altrove. Lontano.

In fondo, la storia dei pazienti psichiatrici autori di reato è una storia di altrove, distacchi e di lontananza. Ma dovremmo forse arrenderci all’ineluttabile?

  1. I primi due esempi di manicomio "moderno" sono riconducibili alla "fattoria" della Society of Friends (i quaccheri) a York, fondata dal pastore Tuke (Tuke, 1813) e dall'Hospice di Bicentre, nei sobborghi parigini, diretto da Philippe Pinel (Pinel, 1836)
  2. www.stopopg.it www.stopopg.it
  3. Qui il testo completo della relazione al Parlamento
  4. Da quelle immagini è nato un film documentario, “Lo Stato della follia” con regia di Francesco Cordio qui il trailer
  5. Il dato relativo al 2016 tiene conto soltanto dei ricoverati in O.P.G. Le persone già ospitate in R.E.M.S al 31 dicembre erano invece 603
  6. Questo il dato secondo il Dipartimento per l'Amministrazione Penitenziaria, sono invece 235 secondo i dati diffusi dal Commissario del governo - una discrepanza che andrebbe approfondita
  7. Giuridicamente parlando vi rientrano: i detenuti ex art 148 c.p. (infermità psichica sopravvenuta), i detenuti in "osservazione psichiatrica" (ex art. 112 DPR 230/2000), i minorati psichici (art. 65 ord.pen.), i seminfermi di mente (condannati a pena diminuita per vizio parziale di mente, ex art. 111 DPR 230/2000)

Bibliografia

ANDREOLI V. (2003), Anatomia degli ospedali psichiatrici giudiziari italiani, Roma: Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria - Ufficio studi e ricerche

DESSENKER A. (2004), Gefahlichkeit und verhaltnismassingkeit. Eine Untersuchung zum Massregelrecht, Berlino: Duncker and Humblot

FOUCAULT M. (1963), Storia della follia nell’età classica, Milano: Rizzoli

MIRAVALLE M. (2015), Roba da matti. Il difficile superamento degli ospedali Psichiatrici Giudiziari, Torino: Ega

PELLISSERO M. (2014), ‘Ospedali psichiatrici giudiziari in proroga e prove maldestre di riforma della disciplina delle misure di sicurezza’, in Diritto Penale, volume 8, pp 917-935

PINEL P. (1801), Traite medico-philosophique sur l’alienation mentale, Paris: Brosson Libraire

TUKE S. (1813), Description of the Retreat, an Institution near York for Insane Persons of the Society of Friends, Philadelphia: Peirce Isaac Publisher