La pena nella pena

La pena nella pena

disabilità

La pena nella pena

Meno della metà dei detenuti disabili
è ospitato in luoghi attrezzati

Grazia Parisi

628 sono i detenuti con disabilità


Si tratta di una rilevazione unica, effettuata nell’agosto 2015 dall’ufficio IV “Servizi sanitari”, della direzione generale detenuti e trattamento allo scopo di monitorare l’applicazione dell’Accordo “Linee guida in materia di modalità di erogazione dell’assistenza sanitaria negli istituti penitenziari per adulti; implementazione delle reti sanitarie regionali e nazionali” approvato dalla Conferenza Unificata Stato-Regioni il 22 gennaio 20152.

Non esiste infatti - ed è questa una prima grave mancanza - un monitoraggio permanente a livello nazionale dei detenuti con disabilità, non esistendo alcun accordo specifico tra il DAP e il Sistema Sanitario Nazionale (SSN), al quale dal 2008 sono attribuite le competenze in materia di sanità penitenziaria.

Dalle parole ai fatti. Non basta una circolare.

A seguito di questa rilevazione unica il DAP ha emanato la circolare “La condizione di disabilità motoria all’interno degli istituti penitenziari - Le limitazioni funzionali”3, che detta le linee guida in materia di barriere architettoniche, formazione e assistenza sanitaria. Lo scopo dell’amministrazione è migliorare le condizioni detentive e garantire la massima autonomia possibile, affinché queste persone possano esercitare i loro diritti, vivere una vita decorosa in istituto, e affinché vengano riconosciute loro le dovute indennità.

La circolare è innanzitutto diretta agli adeguamenti degli ambienti detentivi, sia per quanto riguarda la realizzazione di nuove strutture penitenziarie, sia nella manutenzione e nell’ammodernamento di quelle esistenti. Gli interventi migliorativi devono prevedere l’abbattimento di barriere architettoniche, la realizzazione di percorsi e varchi per gli spostamenti verticali e orizzontali, adeguatamente dimensionati e attrezzati per garantire l’accessibilità ai locali frequentati da detenuti e dagli operatori disabili, nonché ambienti con servizi igienici dedicati e una camera di pernottamento adeguata per ogni circuito detentivo. Inoltre, ai detenuti disabili dovrà essere garantita, eventualmente anche con la necessaria assistenza, la libera ed autonoma circolazione all’interno dell’istituto, compresa l’accessibilità ai locali destinati alle attività trattamentali.

Diritti delle persone disabili tra Ordinamento italiano e regole europee

Sul punto la normativa vigente prevede che alcune categorie di detenuti, affetti da specifici stati patologici, siano ospitati in sezioni penitenziarie specializzate. Il riferimento normativo è l’art. 65 dell’ordinamento penitenziario, che al comma 1 stabilisce il principio per cui “i soggetti affetti da infermità o minorazioni fisiche o psichiche devono essere assegnati ad istituti o sezioni speciali per idoneo trattamento”4. Tale previsione di carattere generale viene meglio definita dal comma successivo; quest’ultimo, infatti, individua i soggetti da assegnare “a tali istituti o sezioni” in coloro “che, a causa delle loro condizioni, non possono essere sottoposti al regime degli istituti ordinari”.

Ad oggi sono solo due
gli istituti penitenziari che hanno reparti per disabilità fisica e motoria

Ad oggi sono solo due gli istituti penitenziari che hanno reparti per disabilità fisica e motoria: la casa circondariale di Bari e la casa di reclusione di Parma. Continuano ad essere chiusi e non funzionanti il CDT (centro diagnostico terapeutico) annesso alla casa circondariale di Catanzaro e la sezione adibita presso il carcere di Massa Carrara. La sezione speciale per i detenuti portatori di handicap prevista presso la CC di Busto Arsizio (VA) è invece stata convertita in reparto per la riabilitazione ed è ancora inutilizzata. Altre carceri dispongono, invece, di stanze detentive con ridotte barriere architettoniche (Grafico 1).

La Casa circondariale di Bari è sede del Sai di (servizio di assistenza integrata - ex centro clinico), con tre piani, di cui due di degenza: uno, il primo, è destinato esclusivamente ai detenuti para e tetraplegici o con disabilità motorie. Ogni cella è provvista di un accesso facilitato così come i servizi igienici, tutti regolarmente predisposti per essere del tutto accessibili. Il secondo livello della sezione è dedicato alla diagnosi e alla cura e ospita i detenuti che, pur essendo disabili, presentano delle caratteristiche meno gravi oppure sono oramai cronici. All’ultimo piano, oltre che gli ambulatori diagnostici, vi sono le stanze per la fisioterapia. Inoltre, la struttura dispone di un centro di fisiokinesiterapia, utilizzata per la cura di patologie muscolo-scheletriche, soprattutto per il recupero delle funzioni motorie perse.

Nella zona del cortile per l’ora c’è una palestra con piscina mai entrata in funzione

Anche alla Casa di reclusione di Parma, nel circuito di media sicurezza vi è un reparto paraplegici considerato fra i più all’avanguardia d’Italia. Inaugurato nel 2005, è progettato per soddisfare le esigenze particolari dell’utenza. C’è un bagno assistito, molto ampio e ben attrezzato per le esigenze degli ospiti, una sala di kinesiterapia, una sala con le attrezzature per la “ginnastica dolce”. I locali sono interamente climatizzati. Le celle, che sono ricavate dall’unione di due stanze (e grandi dunque 22 mq) hanno un bagno adatto alle esigenze di un disabile, ospitano due persone. Nella zona del cortile per l’ora d’aria c’è anche una palestra con piscina per la fisioterapia, che non è mai entrata in funzione perché una volta realizzata la sua gestione è passata alla ASL, la quale, per gli elevati costi di gestione dell’impianto, non riesce a metterla in funzione.

Quelli di Bari e Parma sono due casi di eccellenza. Tuttavia, la scarsità di strutture adeguate fa sì che molti detenuti disabili debbano essere trasferiti in istituti nei quali siano disponibili ambienti appositamente attrezzati ad accoglierli. In questi casi, la circolare del 2016 del DAP invita gli operatori a verificare la presenza di luoghi idonei alle esigenze del disabile nell’istituto più vicino, in modo da non allontanarlo dalla famiglia e dagli affetti e garantendo così anche il principio della territorialità della pena. Inoltre, la presa in carico del detenuto disabile dovrà avvenire nel minor tempo possibile, come stabilito più volte dalla Corte EDU5 che ha condannato l’Italia per gli insufficienti standard di assistenza sanitaria in carcere e per il ritardo nel curare un detenuto. A tal proposito appare non più rinviabile il perfezionamento e l’implementazione di un sistema di monitoraggio permanente delle presenze di detenuti con disabilità. Nel frattempo i Provveditori regionali sono stati invitati a predisporre sistemi di informazione tempestiva sugli ingressi in carcere.

Più della metà dei detenuti portatori di handicap è ristretto in strutture non adeguate, con spazi e servizi carenti

La pena nella pena

Il DAP mira così a trovare soluzioni individualizzate, puntando per lo più sulla formazione degli operatori e dei detenuti cosiddetti caregivers, come tra l’altro raccomandato dal CPT nel report pubblicato a seguito della visita effettuata nel maggio 20126. In quell’occasione il CPT rilevava che nell’istituto di Bari i “piantoni” venivano selezionati dalla direzione tra i detenuti che si offrivano volontariamente di assistere i propri compagni di cella, ma che nessuno di essi aveva ricevuto una specifica formazione per svolgere i particolari compiti di assistenza richiesti. Il CPT raccomandava dunque di assicurare un’adeguata formazione ai “piantoni” e che questi fossero sempre supervisionati da operatori qualificati. Il primo progetto di formazione di detenuti caregivers è stato sviluppato proprio a Bari, nel 2015, in convenzione con l’Azienda ospedaliera universitaria consorziale Policlinico di Bari. Il corso ha formato 80 detenuti, di cui 16 stranieri, i quali hanno acquisito le competenze necessarie per prendersi cura in modo professionale – sul modello del caregiver familiare – dei loro compagni. Coloro che hanno portato a termine il corso hanno ricevuto un attestato spendibile anche una volta liberi: l’attestato li qualifica infatti come operatori socio-assistenziali (OSA) e, una volta tornati in libertà, potranno usarlo per essere assunti come addetti all’igiene, alla pulizia e all’accompagnamento dei pazienti sia privatamente che in strutture sanitarie o comunità di accoglienza. Nel 2016 erano 71 i detenuti impiegati come caregivers nell’istituto del capoluogo pugliese, ma quella di Bari resta un’esperienza unica e il modello a cui tendere, anche per incentivare l’inclusione lavorativa in carcere.

DatiCollocazione dei detenuti disabili

Valori al 31.12.2016

345

283

Detenuti disabili ospitati

in sezioni/camere non attrezzate

Detenuti disabili ospitati

in sezioni/camere attrezzate

345

283

Detenuti disabili ospitati

in sezioni/camere attrezzate

Detenuti disabili ospitati

in sezioni/camere attrezzate

345

Detenuti disabili ospitati

in sezioni non attrezzate

283

Detenuti disabili ospitati

in sezioni/camere attrezzate

Fonte: DAP
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Ma resta il problema delle barriere. Più della metà dei detenuti portatori di handicap è ristretto in strutture non adeguate, con spazi e servizi carenti. E il dato è ancora più allarmante se si pensa che il 30% avrebbe i requisiti per accedere alle misure alternative, ma non possono usufruirne per mancanza di strutture adeguate anche sul territorio e per le scarse possibilità di trovare un’occupazione all’esterno, nonostante le varie forme di lavoro protetto.

È così che la disabilità diventa per queste persone una pena nella pena, un handicap nell’handicap, con poche speranze di dare un valore e un senso alla detenzione stessa.

  1. Secondo la International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF), i soggetti con condizione di disabilità o limitazione funzionale sono quelli che si trovano in una situazione di difficoltà di carattere permanente in almeno una delle funzioni della vita quotidiana (ad es. lavarsi, vestirsi, mangiare, alzarsi dal letto o dalla sedia), della mobilità corporea, della locomozione, della comunicazione (vedere, sentire, parlare), della inclusione e partecipazione alla vita sociale. L’ICF è uno strumento elaborato nel 2001 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che analizza e descrive la disabilità come esperienza umana che tutti possono sperimentare. Tale strumento propone un approccio innovativo e multidisciplinare, descrivendo lo stato di salute delle persone in relazione ai loro ambiti esistenziali (sociale, familiare, lavorativo) al fine di cogliere le difficoltà che nel contesto socio-culturale di riferimento possono causare disabilità.
  2. Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale serie generale n. 64 del 18/03/2015.
  3. Circolare GDAP-0089149-2016 del 10/03/2016.
  4. Conformemente a quanto stabilito dalle European Prison Rules: Rec(2006)2 n. 46, www.coe.int
  5. Sentenza Corte EDU, sez. II, sent. 10 giugno 2008, ric. n. 50550/06, Scoppola c. Italia
    Sentenza Corte EDU, sez. II, sent. 7 febbraio 2012, ric. n. 2447/05, Cara-Damiani c. Italia
    Sentenza Corte EDU, sez. II, sent. 22 aprile 2014, ric. n. 73869/10, G. C. c. Italia
  6. CPT/Inf (2013) 32 (pag. 33).