Soffia il vento proibizionista

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Droga e carcere

Soffia il vento proibizionista

Calano le misure alternative concesse ai tossicodipendenti e aumentano i detenuti per reati di droga

Maria Pia Scarciglia e Andrea Oleandri



18.702 sono i detenuti per reati di droga nel 2016


La questione droghe ha storicamente un impatto significativo sulla situazione carceraria.

A causa delle crociate proibizioniste il numero dei detenuti presenti negli istituti di pena italiani per la violazione delle leggi sugli stupefacenti ha da sempre rappresentato una delle percentuali più alte: dei 47 Paesi aderenti al Consiglio d’Europa, nel 2015 l’Italia era quello con il più alto numero di detenuti condannati in via definitiva per reati di droga1.

nel 2015 l’Italia è l’ultimo paese del Consiglio d’Europa per detenuti
con reati di droga

Le statistiche ci dicono che alla fine del 2016 18.702 persone erano in carcere per aver violato le leggi in materia (17.980 erano uomini e 722 donne). Di questi 6.922 sono stranieri (di cui 259 donne).

L’evoluzione normativa

La definizione di “droga” è stata oggetto, per lungo tempo, di un acceso e vivace dibattito che, solo nel 1961, è giunto ad una definizione omogenea e condivisa, frutto delle molte risoluzione delle Nazioni Unite che la definisce: “qualsiasi sostanza, naturale o artificiale, inclusa nelle tabelle I e II”.

Nella Convezione ONU del 1988, appare, per la prima volta nella storia, la definizione di droghe stupefacenti. Ciò che balza agli occhi è che il termine “droga” non è affatto spiegato in termini scientifici né nel suo significato semantico. Per l’ONU la droga è illegale perché droga.

Passeranno molti anni prima che la politica e le sue leggi riconoscano valore a termini quali abuso, stupefacenti, dipendenza e consumo personale. Non è un caso che l’OMS abbia manifestato, per lungo tempo, uno sconcertante distacco nelle vicende della classificazione delle sostanze stupefacenti, come alcool e tabacco. Un ritardo clamoroso che porterà l’Organizzazione Mondiale della Sanità, solo nel 1973, a riconoscere la dipendenza delle droghe (alcol e tabacco) dichiarando la loro pericolosità per la salute pubblica.

L’eredità del passato in fatto di sostanze stupefacenti è un fardello dal quale le società ed i governi occidentali non sono mai riusciti a liberarsi, con il risultato di aver intrapreso una guerra alla droga durata oltre quaranta anni ed i cui costi umani e economici sono incalcolabili.

Le politiche sulla droga si intrecciano inesorabilmente con le politiche penali e penitenziarie.

Il Testo Unico 309 del 1990, nonostante le grandi aspettative, ha deluso e non poco perché ha rappresentato l’ennesimo tentativo di risolvere il fenomeno droga attraverso un approccio ideologico che, al contrario della precedente disciplina (1975), inasprisce il trattamento sanzionatorio delle condotte legate al consumo e al traffico di sostanze stupefacenti.

Le politiche repressive antidroga hanno raggiunto il loro apice con la legge Fini- Giovanardi (l. 49/2006), responsabile di aver riempito le carceri di giovani consumatori. Si può dire che l’Italia ha sempre governato il fenomeno droga con leggi punitive e demagogiche.

l’Italia ha sempre governato il fenomeno droga con leggi
punitive e demagogiche

È stato proprio negli anni della Fini-Giovanardi che il numero dei detenuti presenti in carcere per reati di droga aveva raggiunto le vette massime, contribuendo in maniera decisiva al sovraffollamento penitenziario che costò all’Italia la condanna da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con la sentenza Torreggiani.

Nel 2009 i detenuti per reati di droga erano il 41,56% del totale. Con l’abrogazione per incostituzionalità della Fini-Giovanardi si è verificato un calo immediato al 35,3% del 2014, fino ad arrivare al 33,9% del 2015.

34,2% detenuti presenti per violazione del TU stupefacenti

Tuttavia nell’ultimo anno il trend è nuovamente in salita, lieve ma pericolosa. Al 31 dicembre 2016 infatti i detenuti presenti per violazione del TU stupefacenti erano il 34,2% del totale.

DatiDetenuti per reati di droga dall’approvazione legge Fini-Giovanardi (l. 49/2006)

Valori in % sul totale dei detenuti

100

80

Incostituzionalità

legge

Fini-Giovanardi

60

40

41,5

35,3

34,2

33,9

20

0

2009

2014

2015

2016

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Incostituzionalità

legge

Fini-Giovanardi

60

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41,5

35,3

34,2

33,9

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2009

2014

2015

2016

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Incostituzionalità

legge

Fini-Giovanardi

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35,3

33,9

34,2

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2009

2014

2015

2016

Fonte: DAP
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La grande maggioranza di chi finisce in carcere per reati di questo tipo viola l’art. 73 del Testo Unico che colpisce chi produce, traffica e detiene sostanze stupefacenti o psicotrope. Non si colpisce dunque il narco-traffico tradizionalmente in mano alle grandi organizzazioni criminali, ma la detenzione finalizzata allo spaccio. Così a essere arrestati e detenuti sono spesso i più vulnerabili con biografie molto complicate dal punto di vista personale, sanitario e sociale. Tra questi ci sono anche gli stranieri che, non a caso, risultano essere oltre un terzo del totale dei detenuti ad aver violato l’art. 73, mentre poco meno del 15% sono coloro che finiscono in carcere per violazione dell’art. 74

La tossicodipendenza dietro le sbarre

Prima dell’avvento dello storico D.P.R. 309/90 “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza” (tornato in vigore con la dichiarazione di parziale incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi), la condizione del detenuto tossicodipendente non contemplava affatto regimi alternativi allo stato detentivo, sia che si trattasse di persona giudicabile, che di condannato definitivo. Il legislatore si era infatti limitato a prevedere la possibilità di ricevere le cure mediche, specialistiche e riabilitative direttamente in carcere.

Ma il dibattito sull’istituzione di appositi padiglioni per i detenuti con problemi di droga, luoghi ad hoc per la cura e la riabilitazione con personale medico e infermieristico specializzato già divideva gli addetti ai lavori. Si creò un movimento di protesta che considerava tale modello pregiudizievole e lesivo dei diritti dei detenuti tossicodipendenti costretti a vivere in una sorta di Ghetto da cui sarebbe stato difficile venir fuori.

Un altro aspetto correlato alla questione droghe è quello relativo alla salute. Molti dei detenuti per reati di droga (e non solo) hanno anche problemi di dipendenza legati all’utilizzo della stessa.

25% i tossicodipendi sul totale dei detenuti

I tossicodipendenti sono il 25% circa del totale della popolazione detenuta, quota che risulta sostanzialmente stabile nel corso degli ultimi cinque anni. Un dato questo, occorre sottolinearlo, che riguarda i detenuti con problemi droga-correlati e non con una diagnosi di dipendenza, che risultano essere meno.

Il carcere fa fronte a questa problematicità attraverso l’assistenza all’interno degli istituti dei Ser.T2 che debbono garantire un intervento con farmaci antagonisti, in particolare il metadone, per cui viene attuato un programma a scalare, oppure una “terapia secca” che, senza ricorrere alla somministrazioni di alcuna sostanza, consiste nel far evolvere il decorso della crisi in modo naturale.

Tuttavia l’attività di disintossicazione, già difficile all’esterno delle carceri, sconta all’interno degli istituti le problematiche connesse al sovraffollamento, alla carenza o fatiscenza delle strutture e al basso numero di personale quali educatori e psicologi, tutti fattori che non consentono di attivare tutti gli interventi necessari.

La strada delle misure alternative

Una soluzione, suggerita dalle stesse istituzioni, è quella di ampliare l’uso della misure alternative alla detenzione, per permettere di meglio tutelare il diritto alla salute.

Un auspicio che tuttavia fatica a diventare realtà. La sospensione dell’esecuzione (art. 90 TU stupefacenti) e l’affidamento in prova in casi particolari (art. 94 TU stupefacenti), le due principali misure alternative immaginate ad hoc per le persone tossicodipendenti e alcoldipendenti, non sono di facile applicazione e sono disciplinate da norme caratterizzate da un massimo di discrezionalità unito a un minimo di certezza (e di scientificità).

L’art 90, per esempio, è una norma particolarmente ambigua che consente ai soggetti condannati per reati la cui pena residua o congiunta non superi i sei anni od i quattro anni, se si tratta di un titolo esecutivo comprendente reati di cui all’art. 4 bis della l. del 26 luglio 1975, n. 354, di domandare la sospensione della esecuzione della pena detentiva.

Il legislatore pone due ulteriori condizioni affinchè il soggetto condannato possa accedere a tale istituto:

  • La commissione di un reato quale immediata conseguenza della condizione di tossicodipendente;
  • Il positivo svolgimento da parte del soggetto condannato ad un programma terapeutico concluso o in via di conclusione svolto in una struttura accreditata del pubblico e/o del privato autorizzata ai sensi dell’art. 116

Certamente la norma mostra in tutta la sua integrità i buoni e condivisi intenti del legislatore del 90’: evitare che il tossicodipendente condannato entri nei circuiti penitenziari.

Peccato che, nella realtà delle cose, l’istituto in questione è stato peggiorato notevolmente dalla legge n. 49 del 2006 (Fini-Giovanardi) e diventa quasi automatico finire in carcere più rapidamente di quanto si pensi.

Prima della riforma infatti il detenuto poteva uscire dal carcere, provvisoriamente, semplicemente presentando la domanda di affidamento e la relativa documentazione, in attesa della pronuncia del Tribunale di Sorveglianza. Sulla domanda di scarcerazione provvisoria decideva il pubblico ministero, come organo puramente amministrativo, senza potere discrezionale, con un semplice controllo sul rispetto dei limiti di pena prescritti dalla legge.

Dopo la riforma tutto è più difficile. Con la legge Fini-Giovanardi, la domanda di sospensione della carcerazione viene valutata dal magistrato di sorveglianza con ampi margini di discrezionalità. La legge gli consente di decidere sulla base di criteri molto elastici demandando al detenuto l’onere di provare cose e circostanze sostanzialmente impossibili da provare.

Il magistrato è chiamato ad operare sulla base di due sostanziali criteri: il quantum di pena e il presunto pregiudizio che possa derivare dalla protrazione dello stato detentivo.

Si chiede dunque al magistrato un giudizio che difficilmente egli è in grado di formulare. I giudici non hanno competenze medico specialistiche e spesso non conoscono le carceri e la vita dei detenuti. Secondo il legislatore, solo un programma di recupero che la persona che richiede il beneficio avrebbe comunque svolto, anche prescindendo dal suo attuale stato di condannato o di detenuto, manifesterebbe quella che kantianamente si definirebbe come una “volontà buona”. Se è invece la condizione di condannato o di detenuto – dunque uno stato di prostrazione e disagio - a farlo riflettere sulla opportunità di seguire un programma, di chiudere con la dipendenza, di uscire dal circuito mortale della droga, la sua volontà è di comodo e, come tale, non va presa in positiva considerazione ai fini del conseguimento del beneficio. Nella prassi dei tribunali, la concessione della sospensione è poco praticata e sono tanti i condannati tossicodipendenti che finiscono nel circuito penale.

Altra considerazione negativa prevista nella nuova formulazione dell’art. 90 e 91 del D.P.R., è stata l’equiparazione delle strutture pubbliche a quelle private purchè riconosciute e accreditate ai sensi dell’art. 116. La novità non è da poco considerato che, oggi, una struttura privata è legittimata a rilasciare certificazione dello stato di tossicodipendenza del soggetto e del programma riabilitativo. La retta per accedere a queste strutture è solitamente superiore a 1.500 euro al mese. È ovvio che, un soggetto in difficoltà (i più) non potrà mai pagare simili costi e il risultato è una vistosa iniquità di accesso alla misura invocata.

Nell’ipotesi in cui la pena non sia stata ancora eseguita, la condanna non riguardi un reato ostativo e non sia superiore a sei anni, la domanda di affidamento ex art. 94 può essere presentata, al momento di emissione dell’ordine di carcerazione, al pubblico ministero, che sospende l’ordine di carcerazione fino a quando il Tribunale di sorveglianza non si sia pronunciato sulla richiesta.

Ma le novità introdotte dalla legge Fini-Giovanardi in materia di misure alternative per tossicodipendenti sono molte, prima tra tutte l’aver innalzato il tetto di pena per la richiesta di accesso alla misura alternativa dai tre ai sei anni.

gli operatori dei Ser.T. lamentano la violazione del patto tra medico
e paziente

Un ulteriore aspetto peggiorativo dell’istituto dell’affidamento è senza dubbio l’obbligo degli operatori del trattamento a segnalare all’autorità giudiziaria le violazioni commesse dalla persona sottoposta al programma (art. 94 co. 6 ter D.P.R.309/90). Un vulnus pericoloso più volte censurato dagli operatori dei Ser.T. che lamentano la violazione del patto tra medico e paziente.

Il rischio è la revoca della misura. Tra le novità positive vi è la concessione della misura dell’affidamento anche ai condannati per delitti ricompresi nell’art 4 bis Ord. Pen. la cui pena residua e congiunta non deve essere superiore ai quattro anni. Tale avanzamento è stato accolto positivamente visto e considerato che le misure alternative sono la massima espressione di “benefici” che l’Ordinamento penitenziario riconosce a tutti coloro che non solo rientrano nei limiti di pena ma che hanno serbato un buon comportamento all’interno del carcere partecipando all’opera rieducativa e più in generale trattamentale.

L’affidamento come istituto giuridico esiste infatti perché il legislatore, a monte, ha già rilevato che in determinati casi il carcere è un rimedio peggiore del male. Ma essendo per l’appunto una valutazione che solo il legislatore può compiere, com’è poi concepibile che questo presupposto diventi l’oggetto di una prova che dovrebbe essere fornita dallo stesso condannato? Questi deve provare, infine, che non vi sono “elementi tali da far ritenere il pericolo di fuga”. Solo quando tutte le condizioni elencate nell’articolo di legge sono presenti, il magistrato accorda la sospensione dell’esecuzione.

Ciò che lascia ulteriormente perplessi è la scelta di innalzare il beneficio della misura ai sei anni di pena detentiva contro i tre previsti in precedenza dall’art. 47 ter Ord.pen. Crediamo che il legislatore avrebbe dovuto prima di tutto ritoccare l’art 73 del testo unico, gradando sensibilmente il tetto di pena. Nel 2013, la Corte Costituzionale è intervenuta a dirimere il conflitto dichiarando incostituzionale l’articolo 73. Con la dichiarazione di incostituzionalità si è tornati ad una distinzione con pene per la violazione dall’art. 73 più miti nel caso di droghe leggere (da 2 a 6 anni) e paradossalmente più dure per quanto riguarda quelle pesanti (da 8 a 20 anni).

Ma è utile ricordare che la Corte Costituzionale non ha riformato integralmente la legge Fini-Giovanardi. La Consulta ha rimandato al legislatore il compito di colmare il vuoto normativo. A distanza di quattro anni dalla pronuncia della Corte, sono cambiati quattro governi, l’ultimo in ordine di tempo ha pontificato sull’urgenza di rivedere il testo unico in materia di droga e strizzato gli occhi alle politiche di legalizzazione della cannabis. Ad oggi, il disegno di legge sulla legalizzazione è fermo e arenato e le poche forze politiche riunite nell’intergruppo parlamentare sembrano incapaci di dare forza al dibattito.

All’inerzia legislativa si associa il calo, lento ma inesorabile, della concessione delle misure alternative ai tossicodipendenti da parte della magistratura.

DatiAffidamenti in prova a tossicodipendenti e alcoldipendenti (ex art. 94 TU stupefacenti)

Valori in % sul totale degli affidamenti in prova concessi

100

2.991

80

Affidamenti

a tossicodipendenti

e alcoldipendenti (ex art. 94 TU

stupefacenti). 23.3% del totale

60

40

29,9

27,1

25,2

22,7

12.811

20

Totale degli affidamenti

in prova concessi

0

2013

2014

2015

2016

100

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Affidamenti

a tossicodipendenti

e alcoldipendenti (ex art. 94 TU

stupefacenti). 23.3% del totale

60

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27,1

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22,7

12.811

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Totale degli affidamenti

in prova concessi

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25,2

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20

0

2013

2014

2015

2016

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Totale degli affidamenti

in prova concessi

2.991

Affidamenti a tossicodipendenti

e alcoldipendenti (ex art.

94 TU stupefacenti).

23.3% del totale

Fonte: DAP
Scarica i dati

Intanto dall’altra parte dell’oceano, il nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America, si prepara alla stretta sulla cannabis nonostante Florida e California restino convinti assertori della loro legge sulla cannabis, quella medica e per uso ricreativo.

Il vento proibizionista ha ripreso a soffiare…

  1. Council of Europe Annual Penal Statistics
  2. L’attuale sistema di intervento è regolato dal DPCM 1.4.2008 nel quale si individuano percorsi di prevenzione e cura e modelli organizzativi per la ristrutturazione dei servizi esistenti al fine di adeguare le prestazioni in ambito penitenziario ai livelli essenziali ed uniformi di assistenza adottati per la popolazione italiana