Retata in Marocco: 300 persone espulse. E a Melilla «mini assalti» alla frontiera Un deserto di rifugiati Cinzia Gubbini «Se devo essere sincero, non va bene per niente. Qui stiamo ospitando circa duecento persone. Ci sono donne, bambini, anche molto piccoli. Molti hanno in mano il tesserino dell'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati che attesta il loro status di rifugiato politico, o di richiedente asilo». Jelloul Araj parla da Oujda, estremo lembo orientale del Marocco, al confine con l'Algeria. La sua associazione, che da anni si occupa della situazione degli immigrati, è in allerta dal giorno di natale, quando sono iniziati ad arrivare a piedi, affaticati e infreddoliti, i primi reduci della retata colossale - decisamente fuori dal comune - operata dal governo marocchino all'alba del 23 dicembre. Secondo diverse informazioni, quando i migranti sono stati lasciati in mezzo al deserto - pare che la polizia marocchina abbia anche sparato per intimarli a passare il confine con l'Algeria - sono state stuprate quattro donne. All'alba di sabato circa trecento persone, tutte originarie dell'Africa subsahariana, sono state svegliate verso le sei di mattina in due quartieri di Rabat, Takadoom e Yusufia, dove abitano tradizionalmente molti immigrati: la polizia ha bussato alle loro case, e senza dare alcuna spiegazione li ha presi e caricati su alcuni autobus. Destinazione: l'Algeria, il paese che - come d'abitudine - il Marocco accusa di non controllare efficacemente le sue frontiere. Non è raro che la polizia marocchina si sbarazzi di immigrati irregolari abbandonandoli in quello spazio senza legge che è il fazzoletto di terra desertica che separa Marocco e Algeria, le cui frontiere sono ufficialmente chiuse da anni per i problemi politici che separano i due paesi (primo fra tutti la querelle sul Sahara occidentale). Ma questa volta è andata in scena una retata molto particolare: intanto per i numeri (240 secondo le fonti ufficiali, almeno 300 secondo le associazioni), ma soprattutto per la decisione di «ricondurre alla frontiera» - come tecnicamente vengono chiamate questo genere di operazioni - anche immigrati regolarmente soggiornanti, addirittura rifugiati politici. Una cosa di questo tipo è accaduta soltanto l'anno scorso, dopo i famosi «assalti» alle frontiere di Ceuta e Melilla, in cui persero la vita (colpiti da proiettili sparati dalla polizia) venti persone. In quel caso gli autobus carichi di africani raggiunsero il pieno deserto, quello più «duro», alla frontiera con la Mauritania. Le proteste internazionali, evidentemente, non sono servite a evitare colpi di mano così eclatanti. Le autorità marocchine non hanno dato, per ora, spiegazioni ufficiali. Anche se, racconta Emmanuel Mbolela, rifugiato congolese dell'associazione Arcom, il wali (il governatore) di Rabat è intervenuto in una trasmissione televisiva per dare una giustificazione: «Ha detto che le espulsioni rientrano nel quadro degli accordi presi dal Marocco con la Spagna in occasione della conferenza euro-africana che si è svolta a Rabat lo scorso giugno - spiega - "un modo per lottare contro l'immigrazione clandestina", ha detto. Questo non ci stupisce: è l'Unione europea che spinge sul Marocco perché operi in questo modo, e questo non fa che fomentare il razzismo contro i neri che è molto forte in questo paese. Condanniamo questa operazione - continua Mbolela- che è illegale, perché il Marocco ha firmato al Convenzione di Ginevra e l'espulsione di rifugiati e richiedenti asilo è espressamente vietata dalla legge marocchina sull'immigrazione». Analoghe condanne sono arrivate dalle ong spagnole e marocchine, dalla parlamentare europea Hélène Flautre, nonché dal partito socialista del Marocco. L'espulsione di massa potrebbe essere, in effetti, collegata alle pressioni spagnole: la Spagna è preoccupata che in questo periodo di festa si ripetano i tentativi di oltrepassare la rete (ormai alta sei metri) che separa il Marocco dall'énclave spagnola di Melilla. Proprio la sera del 24 dicembre un centinaio di migranti ha cercato di superare la barriera. Secondo le dichiarazioni ufficiali nessuno ci è riuscito, mentre quaranta persone sono state arrestate. Intanto, a Oujda si è messa in moto la macchina di Medici senza Frontiere: «Abbiamo distribuito trecento coperte, visitato molte persone. Il problema principale è il freddo, e il fatto che nessuno di loro abbia un posto in cui dormire. Ci sono anche bambini molto piccoli, di quattro, sei, otto mesi», racconta Giorgio Calarco, un medico italiano che opera in quelle zone per Msf. Anche l'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati segue da vicino il caso: «Non abbiamo ancora conferme ufficiali sulla presenza di richiedenti asilo e rifugiati nel gruppo di espulsi - spiega Anne Marie Treboulé dell'ufficio di Rabat - ma la denuncia è credibile e seguiamo l'evolversi della situazione con apprensione. Siamo in contatto con le autorità, con le quali cerchiamo di collaborare nel migliore dei modi».