A un anno esatto dall’entrata in vigore della riforma che avrebbe dovuto attuare il riordino previsto dal Dlgs 230/1999, la Sanità penitenziaria naviga a vista. Stritolata tra l’emergenza del sovraffollamento - sono 63.217 i detenuti al 9 giugno, contro una capienza regolamentare di 43.177 - e gli inevitabili disguidi legati al transito delle competenze dal ministero della Giustizia al Welfare, dunque alle Regioni. Investita del compito improbo di curare persone che entrano ed escono dal carcere, spesso straniere (sono 21.400 gli extracomunitari dietro le sbarre) e spesso alle prese con problemi di droga (i tossicodipendenti sono 15mila). Tormentata dalle difficoltà di inquadramento del personale di ruolo e soprattutto di quello in convenzione, la vera ossatura del sistema sanitario in carcere, i cui contratti scadono il 14 giugno. Stressata dalla fatica di intercettare e trattare malattie infettive gravi, dall’Hiv alle epatiti. Il grido d’allarme è arrivato compatto dagli operatori del settore, a partire dai medici penitenziari dell’Amapi e della Simspe, che hanno appena celebrato i propri congressi nazionali
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