Anche nel 2022 si rinnova l'appunamento con la Summer School organizzata dalla nostra associazione insieme al Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università di Torino. La VI edizione, che si terrà per la prima volta ad Avigliana, si pone in continuità con gli eventi degli scorsi anni, in modalità residenziale in grado di coinvolgere un pubblico potenzialmente ampio e di delineare lo specifico orizzonte formativo proposto. Relativamente a questa edizione, la Scuola si propone di esaminare il tema dei luoghi di privazione della libertà e della loro psichiatrizzazione con un approccio multidisciplinare.
Le iscrizioni scadono il 26 agosto. Tutte le informazioni sulla Summer School, il programma, i costi, la possibilità di usufruire di borse di studio, si possono trovare sul sito dell'Università di Torino (a questo link).
A inizio giugno, durante la visita nel carcere di milanese di San Vittore dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione di Antigone, abbiamo incontrato 8 donne in stato di gravidanza. Un numero altissimo, che non ha pari nel resto del Paese. Oltretutto in un carcere dove manca un servizio ginecologico e medici specialisti.
Ci avevano raccontato anche di una nona ragazza, all’ottavo mese di gravidanza, portata d’urgenza in ospedale qualche settimana prima. Oggi apprendiamo che proprio quella ragazza all’arrivo in ospedale, il 30 maggio scorso, ha perso il suo bambino.
Quella giovane donne sapeva che la sua gravidanza aveva delle complicanze e che il suo bambino sarebbe probabilmente nato prima del nono mese. I medici le avevano raccomandato di recarsi immediatamente in ospedale in casi di dolori. Nel frattempo è stata arrestata.
"La legge italiana - sottolinea Patrizio Gonnella, presidente di Antigone - permette che la donna in caso di gravidanza possa non entrare in carcere ed essere sottoposta a diversa misura. Si tratta di una scelta di civiltà, che tutela la salute della donna e del bambino".
"Sul caso specifico - dichiara ancora Gonnella - chiediamo si faccia piena luce, accertando le responsabilità e chiarendo cosa è davvero successo quel 30 maggio nel carcere di San Vittore e quanto tempo è trascorso da quando la donna ha iniziato a lamentare dolori al suo ricovero in ospedale. Vanno chiarite le modalità di trasporto della donna in ospedale: se sia stato fatto sotto controllo medico e in ambulanza oppure se la donna sia stata ammanettata e accompagnata in ospedale scortata solo dalla polizia penitenziaria. Serve inoltre - conclude Gonnella - che si riservi maggiore attenzione alla tutela della gravidanza".
di Patrizio Gonnella su il manifesto del 5 giugno 2022
RIFORMA PENITENZIARIA. È trascorso quasi da un anno da quel 14 luglio in cui la ministra Marta Cartabia e il Presidente Mario Draghi tennero una conferenza stampa fuori dal carcere di Santa Maria Capua Vetere per stigmatizzare le violenze brutali e di massa che erano avvenute in quell’istituto di pena nel 2020 in pieno lockdown.
A Perugia il Gip ha ordinato alla procura di indagare sul perché i pubblici ministeri di Viterbo hanno archiviato una denuncia di tortura, che meritava, per la sua credibilità, un’adeguata investigazione. Un giovane egiziano, dopo essere stato presumibilmente torturato, si suicidò. Dunque, si rompe il muro corporativo e la magistratura indaga sulle proprie omissioni e inerzie.
È trascorso quasi da un anno da quel 14 luglio in cui la ministra Marta Cartabia e il Presidente Mario Draghi tennero una conferenza stampa fuori dal carcere di Santa Maria Capua Vetere per stigmatizzare le violenze brutali e di massa che erano avvenute in quell’istituto di pena nel 2020 in pieno lockdown. Una violenza che si contrasta con una rivoluzione culturale, con la formazione ma anche con nuove regole di vita penitenziaria, moderne e innovative. Il capo del Governo disse parole inequivocabili: «Le indagini in corso ovviamente stabiliranno le responsabilità individuali. Ma la responsabilità collettiva è di un sistema che va riformato. Il Governo non ha intenzione di dimenticare».
Il suffragio universale è una conquista fondamentale delle liberaldemocrazie novecentesche. Il diritto internazionale riconosce il solo limite dell’età per accedere al diritto di voto, la cui universalità è affermata nell’art. 21 della Dichiarazione universale dei diritti umani. Corti nazionali e sovranazionali – prima tra tutte la Corte Costituzionale del Sud Africa con una sentenza del 1999 che è ormai una pietra miliare della giurisprudenza – ci hanno insegnato che il diritto di voto è ancorato al concetto di dignità umana e letteralmente significa che ‘everybody counts’, ognuno conta. Eppure di frequente il diritto di voto non è garantito alle persone condannate, sia per la presenza di pene accessorie sia per la mancata previsione del voto postale che impedisce il voto amministrativo a chi è detenuto in un carcere fuori dal Comune di residenza. Ma soprattutto troppo spesso il diritto di voto non è garantito alle persone che si trovano in carcere e che pur non hanno pene accessorie interdittive a causa della mancanza di informazione sulle procedure e di meri problemi di disorganizzazione.
In competizioni elettorali del recente passato le percentuali di detenuti votanti sono risultate irrisorie (alle elezioni Europee del 2014, ad esempio, votò il 5,5% degli aventi diritto, laddove paese l’affluenza fu pari al 66,43%).
La Conferenza dei Garanti territoriali e l’associazione Antigone hanno realizzato del materiale informativo volto a incentivare, in vista del prossimo 12 giugno, l’accesso al voto a tutte le persone detenute che mantengono tale diritto. Due locandine da distribuirsi nelle carceri – una per le elezioni amministrative e una per i referendum – spiegano le procedure da seguire.
di Patrizio Gonnella su il manifesto dell'8 maggio 2022
La Corte europea dei diritti dell'uomo ha chiuso le porte a ogni ipotesi di revisione del processo che portò alla condanna in appello di un certo numero di funzionari della Polizia di Stato accusati di falso per le violenze e le torture nella scuola Diaz. Il processo, secondo i giudici di Strasburgo, si è svolto in modo equo e le prove portate in giudizio sono state ritenute più che sufficienti per legittimare quelle condanne.
I dirigenti di Polizia avrebbero voluto ribaltare una sentenza che li inchiodava a responsabilità gravissime. Le parole del Procuratore Generale di Genova Pio Machiavello, in sede di requisitoria, in quel lontano 2010, descrivono perfettamente le condotte criminali commesse: “Non si possono dimenticare le terribili ferite inferte a persone inermi, la premeditazione, i volti coperti, la falsificazione del verbale di arresto dei novantatré no-global, le bugie sulla loro presunta resistenza. Né si può dimenticare la sistematica e indiscriminata aggressione e l’attribuzione a tutti gli arrestati delle due molotov portate nella Diaz dagli stessi poliziotti”. Dunque, non c’è più modo di stravolgere la verità processuale sui fatti di Genova.