di Patrizio Gonnella su il manifesto dell'8 maggio 2022
La Corte europea dei diritti dell'uomo ha chiuso le porte a ogni ipotesi di revisione del processo che portò alla condanna in appello di un certo numero di funzionari della Polizia di Stato accusati di falso per le violenze e le torture nella scuola Diaz. Il processo, secondo i giudici di Strasburgo, si è svolto in modo equo e le prove portate in giudizio sono state ritenute più che sufficienti per legittimare quelle condanne.
I dirigenti di Polizia avrebbero voluto ribaltare una sentenza che li inchiodava a responsabilità gravissime. Le parole del Procuratore Generale di Genova Pio Machiavello, in sede di requisitoria, in quel lontano 2010, descrivono perfettamente le condotte criminali commesse: “Non si possono dimenticare le terribili ferite inferte a persone inermi, la premeditazione, i volti coperti, la falsificazione del verbale di arresto dei novantatré no-global, le bugie sulla loro presunta resistenza. Né si può dimenticare la sistematica e indiscriminata aggressione e l’attribuzione a tutti gli arrestati delle due molotov portate nella Diaz dagli stessi poliziotti”. Dunque, non c’è più modo di stravolgere la verità processuale sui fatti di Genova.
"E' il momento delle riforme". Lo ha detto Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, in apertura della conferenza stampa di presentazione del XVIII rapporto dell'associazione sulle condizioni di detenzione.
Sono oltre 2.000 le visite tenute dall'osservatorio di Antigone nelle carceri italiane dal 1998 ad oggi. Un monitoraggio costante che ha permesso all'associazione di fotografare lo stato del sistema penitenziario nella sua complessità, analizzandolo, come ha ricordato Gonnella, con spirito critico ma anche costruttivo.
"La pandemia ci ha mostrato tutti i limiti di un mondo penitenziario bloccato e in ritardo su tante questioni" ha sottolineato il presidente di Antigone. "I tassi di recidiva ci raccontano di un modello che non funziona e ha bisogno di importanti interventi, aprendosi al mondo esterno, puntando sulle attività lavorative, scolastiche, ricreative e abbandonando la sua impronta securitaria".
Nel rapporto dell'associazione si evidenzia come in media vi sia una percentuale pari a 2,37 reati per detenuto. Al 31 dicembre 2008 il numero di reati per detenuto era più basso di 1,97. Dunque diminuiscono i reati in generale, diminuiscono i detenuti in termini assoluti ma aumenta il numero medio di reati per persona. Al 31 dicembre 2021, dei detenuti presenti nelle carceri italiane, solo il 38% era alla prima carcerazione. Il restante 62% in carcere c’era già stato almeno un’altra volta. Il 18% c’era già stato in precedenza 5 o più volte. Tassi di recidiva dunque alti, su cui sarebbe utile che il ministero raccogliesse dati certi.
"Il carcere visto da dentro" è il titolo del XVIII Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione che sarà presentato a Roma il prossimo giovedì 28 aprile, dalle ore 10.00, presso la Sala Ilaria Alpi (all'interno della sede dell'Arci nazionale, in via Monti di Pietralata 16). Tuttavia, per chi non potrà essere presente, sarà possibile seguire l'evento anche online, qui sulla nostra pagina o sul nostro canale youtube.
Sono state circa 100 le visite effettuate dall'osservatorio sulle condizioni di detenzione di Antigone nel corso del 2021. Un lavoro di monitoraggio capillare, dal Sud al Nord del paese, dalle carceri più grandi a quelle più piccole, che offre il quadro della situazione del sistema penitenziario italiano, delle sue problematiche e delle riforme necessarie. Il rapporto conterrà al suo interno numeri, dati, statistiche, approfondimenti e storie.
Alla presentazione parteciperanno: Carlo Renoldi, Capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria; Gemma Tuccillo, Capo Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità; Mauro Palma, Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale; Marco Ruotolo, Presidente della Commissione per l'innovazione del sistema penitenziario; Stefano Anastasia, Garante dei diritti dei detenuti della Regione Lazio.
Durante l'incontro sarà presentato il podcast "Chiusi dentro", realizzato in collaborazione da Repubblica e Antigone. Parteciperà Massimo Razzi, giornalista e co-autore.
Saranno presentati anche i risultati del progetto Europeo "ARISA 2" finanziato dalla DG Justice sul rapporto tra comunicazione in materia di giustizia criminale e diritti delle persone indagate, sospettate o arrestate.
CITTÀ. I consigli comunali della Capitale e del capoluogo lombardo hanno deciso di dotare le rispettive Polizie municipali dell'arma elettrica
di Patrizio Gonnella su il manifesto del 3 aprile 2022
La pistola Taser è un’arma, che la storia insegna essere alternativa alle mani nude e non alle armi da fuoco. Non spara pallottole ma scariche elettriche. Scariche che possono fare molto male e talvolta anche ammazzare. I Ministri degli Interni Minniti e Salvini hanno importato l’uso di quest’arma in Italia mettendola, non senza problemi di funzionamento, a disposizione delle forze di Polizia, dopo una sperimentazione di cui poco sappiamo. In una sorta di onda dal cattivo sapore populista, nei giorni scorsi, i consigli comunali di Roma e Milano hanno deciso di dotare le rispettive Polizie municipali della pistola elettrica. Decisione grave per almeno tre ordini di motivi che attengono ai campi della salute, della sicurezza e della politica.
Partiamo dalla salute. Sulle pagine di questo giornale nel 2018 avevamo raccontato una delle tante storie di morte da Taser. Natasha McKenna aveva 37 anni e soffriva di schizofrenia e di disturbo bipolare. Era detenuta in un carcere della Virginia. Pesava 60 kg e non una tonnellata. Non voleva essere trasferita dalla sua cella. Le guardie non usarono le mani nude ma spararono una scarica elettrica. Perse subito conoscenza e morì cinque giorni dopo, anche a causa della scossa elettrica. La rivista Neurologia Italiana, nel 2018, riporta, uno studio dell’Australasian Military Medicine Association che afferma che «sia improprio definire questi strumenti armi non letali…una singola scarica può disabilitare un’intera gamba per un po’ di tempo, una seconda fa crollare a terra chi è colpito e una della durata di cinque secondi lo mette Ko per un quarto d’ora agendo sulla funzionalità cardio-respiratoria. L’esposizione a scariche elettriche provoca notoriamente anche danni collaterali di tipo neurologico».
La Camera dei deputati ha approvato, quasi all’unanimità, il testo unificato delle proposte di legge sull’ergastolo ostativo. La discussione era nata a seguito della sentenza della Corte Costituzionale. La consulta aveva chiesto una revisione delle norme sul divieto di concessione dei benefìci penitenziari nei confronti dei detenuti che non collaborano con la giustizia o che non possono collaborare con la giustizia.
Il regime vigente è dunque incostituzionale in quanto ammette l’ergastolo senza speranza di uscita, evidentemente contrario ai principi di cui all’articolo 27 della Costituzione (pena umana e tendente alla rieducazione).
"La riforma approvata è un’occasione persa" commenta Patrizio Gonnella, presidente di Antigone. "Il legislatore è rimasto imprigionato nella paura di fare un regalo alle mafie, innovando in modo non sufficiente la legislazione penitenziaria. È mancato un generale ripensamento dell’attuale disciplina della concessione dei benefici ai condannati per una serie del tutto eterogenea ed illogica di reati anche ben distanti da qualsiasi matrice organizzata, mafiosa o terroristica. Inoltre nella nuova legislazione c’è stato finanche un inutile aggravamento della disciplina". Prosegue Gonnella: "è stata infatti abolita la concedibilità dei benefici nei casi di collaborazione inutile o irrilevante, così da impedire un trattamento adeguato per chi non abbia collaborato perché non ha potuto farlo, stante la sua limitata partecipazione al fatto criminoso o per l’ormai intervenuto integrale accertamento delle circostanze e delle responsabilità ad esso connesse. Ugualmente criticabile è l’aumento da ventisei a trenta anni della pena da scontare prima di poter presentare l’istanza di liberazione condizionale. Anche questa è una misura inutilmente punitiva che non va nella direzione auspicata dalla Consulta. E, infine, nulla si scrive su permessi premio e semilibertà. Vedremo se la Corte potrà dirsi soddisfatta. Nel frattempo - conclude il presidente di Antigone - ci auguriamo che in Senato la discussione sia più in linea con le sentenze della Corte di Strasburgo (Viola c. Italia) e della Corte Costituzionale".