Qualora sia vero che non ci saranno modifiche rilevanti agli articoli 123 e 124 del decreto Cura Italia, per quanto riguarda le carceri, si commette un errore gravissimo, sulla pelle di operatori penitenziari, poliziotti, detenuti. In questa fase grave per il paese ci si affida giustamente in tutti gli ambiti ad esperti italiani ed internazionali per affrontare l’emergenza.
Questo per ora non sta avvenendo per le carceri, dove al ministero della Giustizia non ci si affida alle indicazioni provenienti da Onu, Consiglio d’Europa, Garante nazionale delle persone private della libertà e garanti territoriali, professori di diritto e procedura penale, alti magistrati a partire dal Procuratore generale presso la corte di Cassazione, avvocati, magistrati di sorveglianza, funzionari penitenziari, ma anche autorità morali come papa Francesco. Tutti chiedono misure urgenti e straordinarie per ridurre drasticamente il sovraffollamento. Misure che creino spazio fisico, misure utili ad assicurare il distanziamento sociale.
In carcere abbiamo bisogno di liberare 10 mila persone almeno mandole ai domiciliari o in misure alternative, anche perché sempre più sono gli operatori e i poliziotti costretti a stare a casa in quanto risultati positivi. Se c’è tempo si rimedi e si prendano provvedimenti incisivi. Evitiamo che le carceri diventino le nuove Rsa.
Ci appelliamo a chiunque abbia a cuore la salute delle persone e la solidarietà affinchè non si dia ascolto a chi dice - sono pochi ma influenti, pare- che in carcere si sta più sicuri e al riparo dal virus. Non è vero. Il carcere non è, al pari di tutte le strutture affollate, il luogo dove affrontare la pandemia. Si liberino tutti coloro che sono a fine pena, a prescindere dalla disponibilità dei braccialetti elettronici. Si liberino tutti gli anziani e i malati oncologici, immunodepressi, diabetici, cardiopatici prima che contraggano dentro il virus che potrebbe essere letale. Si dia ascolto a che le prigioni le conosce bene e non a persone che non hanno mai vissuto l’esperienza carceraria e non sanno cosa significhi respirare l’ansia e la tensione in quel contesto.
In molte carceri italiane sono attive delle cliniche legali che offrono gratuitamente assistenza alle persone recluse. Tra queste ci sono anche quelle attivate dalla nostra associazione in alcuni istituti della penisola. Le attività di queste cliniche sono ormai da oltre un mese bloccate a causa dell'emergenza sanitaria legata al coronavirus e ai limiti imposti dai decreti governativi. Tuttavia forte resta la preoccupazione per quanto sta avvenendo nelle carceri e per quanto potrebbe avvenire se si diffondesse il covid-19, cosa che peraltro sta iniziando ad avvenire. Per questo il coordinamento nazionale delle cliniche legali ha inviato un appello, a cui anche noi abbiamo aderito, al Presidente del Consiglio, al Ministro della Giustizia e al Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria affinché si intervenga in maniera decisa per tutelare un bene preziosissimo e costituzionalmente garantito, quale quello alla salute.
Di seguito il testo dell'appello:
E' risultato positivo nel carcere di Santa Maria Capua Vetere un detenuto che, a quanto abbiamo saputo, già dal 26 marzo manifestava sintomi di malessere riconducibili ad un contagio da Covid19.
"Questo caso ci era stato segnalato lo scorso 31 marzo dai famigliari dell'uomo, preoccupati per il suo stato di salute e per le minime cure a cui era stato sottoposto fino a quel momento. Con il nostro difensore civico e la nostra sede regionale campana lo abbiamo dunque preso in carico e seguito, chiedendo al carcere quali fossero le condizioni dell'uomo, a quali cure fosse stato sottoposto e sollecitando la richiesta di sottoporlo al tampone per verificare il possibile contagio". A dirlo è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.
"Dal provveditorato regionale eravamo stati messi al corrente del fatto che il tampone sarebbe stato eseguito nel pomeriggio di ieri, e oggi abbiamo avuto conferma della sua positività e del trasferimento dell'uomo nella terapia intensiva dell'Ospedale Cotugno" chiarisce Luigi Romano, presidente di Antigone Campania.
"Il primo detenuto morto per covid-19 conferma tutte le nostre preoccupazioni sulle conseguenze tragiche di un contagio all'interno delle carceri. Per questo non si può più perdere tempo. Bisogna subito intervenire per ampliare le insufficienti misure previste nel decreto Cura-Italia. Bisogna mandare agli arresti domiciliari almeno altri 10.000 detenuti tra quelli che hanno un fine pena breve e coloro che soffrono di patologie o hanno età per cui un contagio potrebbe essere fatale. Sappiamo che il 67% dei detenuti ha almeno una patologia sanitaria. Di questi l’11,5% era affetto da malattie infettive e parassitarie, l’11,4% da malattie del sistema cardio-circolatorio, il 5,4% da malattie dell’apparato respiratorio. Inoltre che il 62% dei reclusi ha 40 anni o più e che, al 31 dicembre 2019, ben 5.221 persone avevano più di 60 anni. In questo momento di grande sforzo da parte del governo il carcere rischia di essere un luogo a rischio anche per gli operatori. Oltre 120 poliziotti sono già risultati positivi, senza contare medici, infermieri penitenziari e ovviamente i detenuti. Il governo deve intervenire subito".
Queste le dichiarazioni di Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.
"Abbiamo appreso, dal decreto attuativo del "Cura-Italia", che i braccialetti elettronici messi a disposizione per il controllo delle persone detenute che potrebbero accedere agli arresti domiciliari sono 5.000, di cui 920 già disponibili. Il Provvedimento prevede l’installazione di un massimo di 300 apparecchi a settimana. Numeri ampiamente insufficienti per affrontare l'emergenza coronavirus e le ricadute drammatiche che potrebbe avere sul sistema penitenziario. Con il numero di installazioni attualmente previste, gli ultimi detenuti usciranno dal carcere infatti tra oltre tre mesi, quando ci auguriamo la fase acuta legata al diffondersi del Covid-19 sarà già ampiamente alle spalle". A dirlo è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.
"Il Parlamento e il Governo insieme - prosegue Gonnella - devono disinnescare i rischi della bomba sanitaria in carcere, ponendo le condizioni affinché in carceri si assicuri distanziamento sociale a garanzia di detenuti e poliziotti. I detenuti con meno di due anni di pena sono circa 15 mila. Se due terzi di loro oggi uscissero le condizioni sarebbero nettamente migliorate. Si tratta di persone che vanno mandate agli arresti domiciliari entro un paio di settimane e non nell'arco di mesi, con forme di controllo diverse dal braccialetto, altrimenti dal punto di vista sanitario la misura non avrebbe senso. Noi - dice ancora Patrizio Gonnella - abbiamo presentato diversi emedamenti per arrivare all'obiettivo di ridurre in fretta i numeri, e qualsiasi intervento che vada in questa direzione è benvenuto".