Il Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ieri è andato a riferire alla Camera dei Deputati sulla situazione delle carceri e sulle misure di prevenzione alla diffusione del coronavirus. In questo breve articolo cerchiamo di mettere in evidenza alcune delle informazioni e dei dati forniti dal ministro.
Innanzitutto Bonafede ha comunicato che 1600 smartphone sono stati distribuiti agli istituti e altri 1600 sono in via di acquisizione (anche grazie al contributo importante della Compagnia di San Paolo). Certamente un dato importante. Fin dal primo decreto del governo di sospensione dei colloqui avevamo chiesto di dotare le carceri di telefoni cellulari per poter garantire un contatto telefonico maggiore rispetto al passato. Ci auguriamo che tutte le carceri ora garantiscano ai detenuti un numero di chiamate superiori rispetto alla norma. L'incremento dei colloqui telefonici e delle videochiamate, così come l'innalzamento dei limiti di spesa per ciascun detenuto o la possibilità di ricevere vaglia postali online (misure annunciate dal Ministro) sono importanti, ma da sole non bastano.
Dichiarazione dei principi relativa al trattamento delle persone private della libertà nel contesto della pandemia del Coronavirus (COVID-19).
Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT). Pubblicato il 20 marzo 2020
La pandemia del Coronavirus (COVID-19) ha posto di fronte a sfide straordinarie le autorità di tutti gli Stati membri del Consiglio d'Europa. Ci sono sfide specifiche e impegnative per il personale che lavora nei diversi luoghi di privazione della libertà, tra cui le strutture di custodia di polizia, gli istituti penitenziari, i centri di detenzione per migranti, gli ospedali psichiatrici e le case di cura sociale, così come nelle diverse strutture di nuova creazione dove le persone sono messe in quarantena. Pur riconoscendo l’indiscutibile imperativo di agire con fermezza per combattere COVID-19, il CPT deve ricordare a tutti gli operatori la natura inderogabile della proibizione della tortura e dei trattamenti inumani o degradanti. Le misure di protezione dal virus non devono mai tradursi in un trattamento inumano o degradante per le persone private della libertà. Secondo il CPT, i seguenti principi dovrebbero essere applicati da tutte le autorità competenti responsabili per le persone private della loro libertà all'interno dell'area del Consiglio d'Europa.
"Prevenire l'epidemia di COVID-19 nelle carceri: un compito impegnativo ma essenziale per le autorità". E' un report dell'Organizzazione Mondiale della Sanità in cui si danno alcune linee guida per i governi per affrontare al meglio l'emergenza.
Queste alcune delle indicazioni:
- In tutte le fasi dell'amministrazione della giustizia penale, da quella cautelare a quella processuale così come in quella dell'esecuzione della condanna, si dovrebbe prendere maggiormente in considerazione il ricorso a misure non detentive. Queste misure non detentive dovrebbero essere concesse in via prioritaria a imputati e detenuti considerati non pericolosi o con responsabilità assistenziali verso altre persone, favorendo in particolare le donne in gravidanza o con figli a carico.
- Le reazioni psicologiche e comportamentali dei detenuti e di tutti coloro altrimenti privati della libertà personale possono differire da quelle delle persone libere che hanno la possibilità di osservare le distanze di sicurezza. Occorre quindi considerare di offrire sostegno emotivo e psicologico, favorire la corretta informazione sulle precauzioni da adottare e sull'andamento del virus e garantire un continuo contatto con le famiglie e i parenti.
Ancora una volta, dunque, ci appelliamo al Governo e al Parlamento affinché adottino, a partire dalle nostre proposte, misure di buon senso per tutelare la salute pubblica.
Foto credit: Michael_Swan via flickr - Attribution-NoDerivs 2.0 Generic (CC BY-ND 2.0)
“Esprimiamo grande preoccupazione per le numerose segnalazioni di violenze e abusi che sarebbero stati perpetrati ai danni di persone detenute a noi arrivate negli ultimi giorni”. A dirlo è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.
“Le segnalazioni – sottolinea Simona Filippi, avvocato dell'associazione - hanno riguardato alcune carceri italiane, tra le quali quella di Milano-Opera. In relazione a quest’ultimo istituto di pena, ben otto diverse persone (madri, sorelle, compagne di detenuti ivi reclusi) si sono rivolte ad Antigone raccontando quanto sarebbe stato loro comunicato dai congiunti o da altri contatti interni. Le versioni riportate, le quali parlano di brutali pestaggi di massa che avrebbero coinvolto anche persone anziane e malati oncologici e che avrebbero portato a mascelle, setti nasali e braccia rotte, risultano tutte concordanti”.
Tali azioni violente sarebbero avvenute, in tutte le carceri interessate, in momenti successivi a quelli in cui sono stati attuati gli interventi per far fronte alle rivolte che hanno coinvolto 49 istituti penitenziari. “Antigone – spiega l'avvocato Filippi - ha inviato alla procura competente le segnalazioni su Opera, presentando un esposto al riguardo. La stessa cosa si appresta a fare per gli altri istituti”.
“La situazione nelle carceri è drammatica. E resta drammatica anche oggi a primo decreto approvato. Le norme in materia penitenziaria, inserite all'interno del nuovo decreto del governo, pubblicato ieri in gazzetta ufficiale, sono evidentemente insufficienti per rispondere alle esigenze di estrema gravità e urgenza che la situazione richiederebbe. Troppe le cautele. Nell’interesse e nel rispetto della salute e della vita di detenuti e operatori bisogna liberare le carceri di almeno altre diecimila persone”. A dirlo è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.
“Le carceri rischiano di diventare una bomba sanitaria che si può ripercuotere sulla tenuta stessa del sistema sanitario nazionale – sostiene Gonnella. La grande promiscuità in cui sono costretti a vivere i detenuti può facilmente far degenerare il numero di contagi. Inoltre lo stato di salute di chi vive in carcere, con il 67% dei reclusi che ha almeno una patologia pregressa, potrebbe rendere necessario il ricorso al ricovero nei reparti di terapia intensiva. Senza contare che un contagio in carcere può oltrepassare quelle mura con il personale penitenziario a far da veicolo tra il dentro e il fuori. Intervenire urgentemente non è quindi un regalo ai detenuti, ma una logica e irrimandabile necessità a tutela della salute pubblica”.