Negli ultimi anni la Commissione Europea ha promosso con forza i diritti di imputati e arrestati, con particolare attenzione alla primissima fase di privazione della libertà, quella che va dall’arresto (o dal fermo) all’udienza di convalida. Lo ha fatto mettendo a punto e in parte applicando la tabella di marcia di Stoccolma, un insieme di direttive volte a rafforzare nel tempo i diritti di cui sopra. Spesso queste direttive vengono formalmente recepite dai vari paesi, ma nella pratica resistono ostacoli più o meno grandi che impediscono che gli arrestati beneficino dei diritti che queste prevedono (come raccontiamo più dettagliatamente in questo nostro approfondimento).
Il progetto Inside Police Custody, realizzato con il contributo della DG Giustizia e Consumatori dell’Unione Europea e a cui Antigone ha preso parte, ci ha permesso di svolgere una ricerca volta a misurare l’effettiva applicazione di tre delle direttive previste dalla roadmap di Stoccolma: una riguarda sia il diritto di arrestati e fermati a essere informati sui propri diritti che quello di accedere per tempo al proprio fascicolo, in modo da poter preparare una difesa adeguata; l'altra riguarda il diritto degli arrestati stranieri a essere assistiti da traduttori e interpreti che rendano loro intelligibile quanto accade; la terza e ultima riguarda invece il diritto all'assistenza legale in generale. L’obiettivo della ricerca era quello di vedere se e quanto questi diritti sono applicati, e quali sono gli ostacoli che ne impediscono il beneficio.
di Patrizio Gonnella da il manifesto del 17 gennaio 2019
Era la vigilia di Natale del 1992, e non era ancora stato arrestato Totò Riina, quando fu introdotta nell’ordinamento penitenziario la seguente norma: «Nelle traduzioni sono adottate le opportune cautele per proteggere i soggetti tradotti dalla curiosità del pubblico e da ogni specie di pubblicità, nonché per evitare ad essi inutili disagi».
«L’inosservanza della presente disposizione costituisce comportamento valutabile ai fini disciplinari». Qualche mese prima era stato ammazzato Paolo Borsellino. Il parlamento però sentì la necessità di spiegare agli agenti di Polizia Penitenziaria, il cui Corpo era stato smilitarizzato da un paio di anni, e ai direttori di carcere che il corpo e il volto del reo non potevano in nessuna circostanza essere oggetto di curiosità pubblica. Molti di noi avevano ancora bene in mente le immagini di Enzo Tortora, condotto in carcere in manette da due Carabinieri. Immagini che lesero la sua e la nostra dignità.
L'aumento dei suicidi, la crescita del sovraffollamento, ed una "riformina" dell'ordinamento penitenziario. Sono questi alcuni dei tratti salienti che hanno caratterizzato il 2018 per quanto riguarda il sistema carcerario italiano.
Al 30 novembre, dopo 5 anni, i detenuti sono tornati ad essere oltre 60.000, con un aumento di circa 2.500 unità rispetto alla fine del 2017. Con una capienza complessiva del sistema penitenziario di circa 50.500 posti, attualmente ci sono circa 10.000 persone oltre la capienza regolamentare, per un tasso di affollamento del 118,6%. Il sovraffollamento è però molto disomogeneo nel paese. Al momento la regione più affollata è la Puglia, con un tasso del 161%, seguita dalla Lombardia con il 137%. Se poi si guarda ai singoli istituti, in molti (Taranto, Brescia, Como) è stata raggiunta o superata la soglia del 200%, numeri non molto diversi da quelli che si registravano ai tempi della condanna della CEDU.
Il recente DL Salvini ha introdotto la possibilità per i comuni italiani oltre i 100.000 abitanti di dotare gli agenti di polizia locale di pistole Taser. Un provvedimento contro il quale ci stiamo opponendo. Abbiamo infatti scritto ai consigli comunali e i sindaci delle città più grandi proponendo un ordine del giorno con il quale le stesse si impegnino a non adottare quest’arma.
"Da settembre in dodici città italiane era partita la sperimentazione dell’arma che oggi anche i corpi di polizia locale dei comuni potranno utilizzare. Un'arma pericolosa - sottolinea Patrizio Gonnella, presidente di Antigone - soprattutto su quei soggetti affetti da problemi cardiaci e/o disturbi neurologici e su donne in stato di gravidanza, e che nella pratica viene utilizzata al posto dei manganelli e non delle armi da fuoco".
Vi è una crescita in termini assoluti, ma soprattutto in termini percentuali: mentre nel 2015 si è suicidato un detenuto ogni 1.200, nel 2018 il rapporto è diventato pari a uno su 900. I dati dicono inoltre che dietro le sbarre ci si ammazza circa venti volte di più che nella vita libera
di Patrizio Gonnella da il manifesto del 23 dicembre 2018
Nelle ultime ore ci sono stati due suicidi in carcere, uno a Messina e l’altro a Trento. Tra i detenuti che negli ultimi mesi si sono ammazzati ci sono anche un giovane senegalese e uno tunisino. Il primo si è suicidato qualche giorno fa nel carcere di Pisa, il secondo a settembre in quello di Civitavecchia. Il giovane senegalese era dentro da circa un mese in custodia cautelare per violazione della legge sugli stupefacenti; pare avesse una qualche forma di disagio comportamentale. Il ragazzo tunisino aveva venticinque anni. Si è ammazzato nell’istituto di Civitavecchia proveniente da quello romano di Regina Coeli. Da lui abbiamo ricevuto una lettera dopo avere saputo della sua morte; ne abbiamo informato le autorità inquirenti.