"E' sicuramente una buona notizia l'approvazione della riforma dell'ordinamento penitenziario. E' un passo in avanti su temi delicati come la salute psichica, l'accesso alle misure alternative, la vita interna alle carceri, i rapporti con l'esterno, il sistema disciplinare. Purtroppo alcune norme essenziali sono rimaste al palo, come quelle sui minori o sulla sessualità". A dirlo è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.
Prima che le regole oggi approvate si trasformino in legge c'è tuttavia ancora da attendere. Devono nuovamente tornare in Senato (che probabilmente sarà quello eletto il 4 marzo) per ulteriori 10 giorni e poi definitivamente essere varate con decreto legislativo dal Governo.
"Dunque - dichiara Gonnella - c'è ancora da fare pressione e da non allentare la tensione poiché, in questa fase post-elettorale, i tempi potrebbero dilatarsi e la delega decadere. C'è infatti tempo fino ad inizio luglio per approvarla".
"Ci appelliamo alla saggezza, alla cultura sociale, istituzionale e politica del Capo dello Stato Sergio Mattarella perché faccia sentire la sua voce, alta e sopra le parti, affinché si possa far fare alla riforma dell'ordinamento penitenziario l'ultimo piccolo passo che manca per la sua approvazione. Una presa di posizione del Presidente della Repubblica risulterebbe decisiva, in questa fase in cui l'esito complessivo della riforma è nelle mani di un governo che non ha più una maggioranza parlamentare" a dirlo è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.
La stagione delle riforme in campo carcerario aveva avuto nel messaggio alle Camere dell'allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano un momento di elevato valore simbolico e istituzionale.
"Gli auspici e le indicazioni contenute in quel messaggio - prosegue Gonnella - potrebbero essere portate a conclusione con quest'ultimo atto che la comunità penitenziaria, gli operatori della giustizia, gli operatori sociali e grande parte del mondo accademico stanno aspettando".
"Ci appelliamo inoltre al Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni perché non abbia timore - conclude il presidente di Antigone - di spiegare alle altre forze politiche quanto questa riforma sia necessaria per elevare gli standard di tutela dei diritti all'interno delle nostre carceri".
Questa notte estranei si sono introdotti nella nostra sede e hanno portato via tre computer portatili e la videocamera con la quale svolgiamo il nostro lavoro di osservazione nelle carceri.
Immediatamente abbiamo presentato denuncia alle autorità.
Gli uffici di Antigone si trovano all'interno della struttura che ospita la sede nazionale di Arci che, tuttavia (e fortunatamente), non hanno subito analogo episodio di effrazione, cosa che però ci lascia il dubbio possa non trattarsi di un episodio solo di microcriminalità, visto anche che altri computer (e non solo) sono stati lasciati al loro posto.
Nonostante questo furto - e a prescindere dalla sua ragione - il nostro lavoro per i diritti va avanti imperterrito, anche se inevitabilmente subirà un piccolo ritardo dovuto alla necessità di comprare nuove strumentazioni.
Il cammino della riforma contenuta nello schema di decreto legislativo adottato il 22 dicembre 2017 rischia di avere una definitiva battuta di arresto. Ci rivolgiamo con forza al Governo perché, mantenendo fede all’impegno assunto ed esercitando almeno nella sua parte fondamentale la delega conferita con la legge n. 103/17 votata dal Parlamento, approvi in via definitiva, pur dopo le elezioni politiche, la riforma dell’ordinamento penitenziario, riportando l’esecuzione penale entro una cornice di legalità costituzionale e sovranazionale dopo le umilianti condanne europee.
La riforma rappresenta niente più che il rifiuto, ideale prima ancora che giuridico, di presunzioni legali di irrecuperabilità sociale, dal momento che nessuna pena deve rimanere per sempre indifferente all’evoluzione personale del condannato, ed affida alla magistratura, cui per legge è assegnata istituzionalmente la realizzazione del finalismo rieducativo dell’art. 27 della Costituzione – la magistratura di sorveglianza – la piena valutazione sulla meritevolezza delle misure alternative e il bilanciamento degli interessi in gioco.
Sarebbe davvero amaro se il destino di questa stagione riformatrice, iniziata nel 2015 con la felice intuizione degli ‘Stati generali dell’esecuzione penale’, si concludesse con la beffarda presa d’atto che solo il carcere e non anche – e soprattutto – le misure di comunità svolgono efficacemente la funzione di garantire la sicurezza dei cittadini e riducono la recidiva.
di Patrizio Gonnella su il manifesto del 22 febbraio 2018
Nel nome della sicurezza – presunta, possibile, percepita, nazionale, democratica – si sta per concludere la campagna elettorale. Non è la prima volta e non sarà l’ultima. Di sicurezza c’è chi si nutre come le sanguisughe. Di sicurezza però anche si muore, perché come un boomerang prima o poi colpisce chi l’ha lanciata.
Un rapido sguardo al passato è utile per sgombrare il campo da promesse di un mondo migliore fatto di italiani con la fedina penale pulita. La Lega oggi monopolizza il dibattito, lo egemonizza culturalmente. La Lega però ha già governato la giustizia e la sicurezza in questo Paese sin dal 1994 quando sottosegretario alla giustizia era addirittura Mario Borghezio. Nel 2001, nel secondo governo Berlusconi, l’ingegnere leghista Roberto Castelli diventa ministro di Giustizia e lancia un improbabile piano di edilizia penitenziaria.
Il mantra della destra è sempre quello: vanno costruite nuove prigioni. Altro che depenalizzazione, legalizzazioni varie, misure alternative. Così l’ingegnere istituisce la società Dike Edifica, che avrebbe dovuto valorizzare il patrimonio immobiliare penitenziario con innovative operazioni di leasing. Progetti faraonici milionari finiti come era prevedibile in rosso. La società è messa in liquidazione nel 2007. Una bella figuraccia condita da inchieste di corruzione.