Questo XVII Rapporto di Antigone sulle condizioni detentive arriva nel marzo 2021, all’alba della “terza ondata” di pandemia. L’Italia ha superato la tragica cifra di centomila morti per Covid 19. Il Paese spera in un’accelerazione della campagna vaccinale che possa finalmente condurlo “oltre” il virus. Anche le carceri italiane ed europee vogliono guardare “oltre”. É una simbolica coincidenza che questo Rapporto sia editato proprio nelle stesse ore in cui i vaccini varcano i cancelli delle prigioni e arrivino in quei luoghi fragili, di “umanità in eccesso”, di lavoratori e lavoratrici (poliziotti, educatori, direttori, operatori sanitari) che non si sono tirati indietro e hanno (fino ad ora) evitato che le carceri si trasformassero in lazzaretti manzoniani. Antigone, il suo Osservatorio, vogliono dunque guardare oltre e provare ragionare, con il loro consueto sguardo critico, su cosa abbia insegnato la pandemia al sistema penitenziario. Ogni capitolo di questo XVII Rapporto ha esattamente questo intento: raccontare e riflettere su un mondo trasformato. Un sistema in cui la tecnologia era un tabù pericoloso e oggi sembra strumento irrinunciabile per garantire i diritti. In cui la scuola e le attività lavorative si sono troppo spesso bloccate e faticheranno a riprendersi. In cui la medicina d’emergenza ha soppiantato ogni timido tentativo di intervento preventivo. Un sistema in cui, soprattutto, neanche la pandemia ha saputo azzerare il sovraffollamento. E anzi, dove i numeri, nell’ultimo trimestre (dicembre 2020 – marzo 2021) sono tornati a salire. Lenti ma inesorabili. Sul piano istituzionale, abbiamo assistito ad un cambio di governo e all’insediamento di Marta Cartabia come nuova ministra della Giustizia. Il mondo garantista guarda con grande speranza a questa nuova stagione. Proprio in questo Rapporto parliamo infatti di come non vadano sprecati i fondi del piano Next Generation EU.
Anche per quest'anno Antigone non rinuncia ad abbozzare alcune linee di intervento utili alla giustizia penale e penitenziaria. Nel XVII Rapporto ne elenchiamo quattro:
"Oltre il virus" è il titolo del XVII Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione che presenteremo giovedì 11 marzo alle ore 11.00 in diretta sulla nostra pagina facebook e il nostro canale youtube.
Il Covid-19 ha colpito duro anche il sistema penitenziario. Abbiamo assistito a migliaia di contagi, sia tra i detenuti che gli operatori; allo scoppio di focolai; ad alcuni decessi. La pandemia ha messo in risalto tutte le criticità che da tempo denunciavamo. Ha isolato ancora di più il carcere dal resto della società. Gli sforzi delle istituzioni, come ovvio che sia, si sono concentrati in questa fase sul contenimento del coronavirus. Tuttavia bisogna guardare oltre il Covid-19. Con la sua scomparsa, che ci auguriamo avverrà presto, anche grazie alla somministrazione dei vaccini, non spariranno i problemi del sistema penitenziario e la pandemia deve rappresentare, in questo senso, l'occasione per non tornare indietro.
Parteciperanno: Bernardo Petralia, Capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria; Gemma Tuccillo, Capo Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità; Mauro Palma, Garante nazionale dei diritti dei detenuti e delle persone private della libertà personale.
Questo articolo è stato pubblicato nell'inserto speciale per i 30 anni di Antigone, all'interno del manifesto del 17 febbraio 2021.
La nostra giustizia penale è classista: nelle carceri ci sono tossicodipendenti immigrati e condannati per reati di strada. Il diritto penale - almeno luogo dell’uguaglianza davanti alla legge - è diventato il luogo della massima disuguaglianza
di Luigi Ferrajoli
Fu Rossana Rossanda a decidere il nome. Perché Antigone?
Perché quel nome alludeva al punto di vista esterno – il punto di vista della giustizia, della morale e della politica – con cui intendevamo guardare alle durezze e alle iniquità del diritto penale, alle involuzioni inquisitorie dei processi e alle condizioni di illegalità delle nostre carceri. Allora, alla nascita della prima serie della rivista – nel 1985, sei anni prima della nascita dell’Associazione, nel 1991 – la nostra critica si rivolgeva alla legislazione e alla giurisdizione d’eccezione, che in quegli anni avevano ridotto il già debole sistema delle garanzie del corretto processo.
Il nostro richiamo ad Antigone si identificava perciò con l’opzione per il garantismo penale contro le degenerazioni indotte dall’emergenza del terrorismo e manifestatesi nelle leggi eccezionali e in taluni grandi processi di stampo inquisitorio, a cominciare da quello del 7 aprile contro l’Autonomia operaia.
Si trattava di una battaglia in difesa delle garanzie penali e processuali proprie dello stato di diritto. Ed è sintomatico dell’arretratezza del nostro sistema politico il fatto che quella battaglia, puramente liberale, fosse condotta da quella che allora era la sinistra cosiddetta estrema.
Ma l’Antigone che Rossana volle come nome della nostra rivista e alla quale dedicò, proprio in quegli anni, uno splendido saggio, simboleggiava molto di più.
Le parole di Mario Draghi, pronunciate oggi alla Camera dei Deputati, rappresentano un importante segnale di attenzione verso il mondo penitenziario che, nell'ultimo anno, ha vissuto momenti molto difficili a causa dei provvedimenti adottati per rispondere all'emergenza Covid. Provvedimenti che hanno portato ulteriori chiusure in un luogo di per sé già chiuso e comportato, di conseguenza, un aggravamento della pena detentiva.
Non è scontato che un Presidente del Consiglio tratti di questo tema durante un dibattito sulla fiducia, annunciando l'intenzione di riservare particolare attenzione al mondo penitenziario. In particolare Draghi ha sostenuto come non dovrà essere trascurata la condizione di tutti coloro che lavorano e vivono nelle carceri, spesso sovraffollate ed esposte a rischio e paura del contagio e particolarmente colpite dalla funzione necessarie a contrastare la diffusione del virus.
Un'apertura importante dunque che, insieme alla nomina di Marta Cartabia al Ministero della Giustizia, ci sembra di buon auspicio affinché la dignità umana e l'idea di una giustizia non vendicativa possano essere il faro che guiderà l'operato del nuovo governo. E' importante che la giustizia ritrovi quella mitezza che dovrebbe caratterizzarla.
Questo articolo è stato pubblicato nell'inserto speciale (che puoi leggere qui) che il manifesto ha pubblicato il 17 febbraio 2021, in occasione del 30° compleanno della nostra associazione.
Giustizia. Nessuno, giudice o custode, ha nella propria disponibilità la dignità e i diritti fondamentali delle persone arrestate o detenute. Ci disse un capo dell’amministrazione penitenziaria: «La tortura sta nel terzo mondo». Poi ci furono: carcere di Sassari e Global Forum di Napoli, scuola Diaz e Bolzaneto... e tanti fatti di «cronaca».
di Mauro Palma, Stefano Anastasia, Patrizio Gonnella
Ha ancora senso, dopo trent’anni, interrogarsi sull’intuizione che si ebbe nel 1991 quando si decise di dar vita a un’associazione volta alla tutela dei diritti e delle garanzie nel sistema penale. Quel che è accaduto negli ultimi tre decenni ci racconta di quanto quell’intuizione sia servita a controbilanciare la progressiva esondazione delle politiche criminali e, più genericamente, repressive.
I numeri della popolazione detenuta sono un indice di questa presenza ingombrante: se nel ‘91 i detenuti erano poco più di 30 mila, oggi – nonostante le scarcerazioni dovute all’emergenza pandemica in corso – sono oltre 53 mila, avendo nell’arco del trentennio quasi raggiunto il picco dei 70 mila. E nel frattempo si è moltiplicata per dieci l’area penale esterna, senza però che questo aumento abbia parallelamente scalfito la crescita della pena detentiva e, quindi, i numeri del carcere.
Sono passati trent’anni lungo i quali abbiamo assistito e fatto opposizione a una diffusa deriva securitaria.
Mentre con sguardo miope si osservava estasiati, sia da destra che da sinistra, il modello della zero tolerance proposto oltreoceano dall’allora sindaco di New York Rudolph Giuliani, Antigone si affidava a un’ostinata razionalità affinché non si trascinasse nella questione criminale ciò che avrebbe dovuto avere solo ed esclusivamente rilevanza sociale: l’immigrazione, la povertà diffusa, l’uso di sostanze stupefacenti. Intellettuali che «si baloccano con Cesare Beccaria»: così ci siamo sentiti qualificare su qualche giornale mainstream quando contrastavamo uno dei tanti pacchetti sicurezza che se la prendeva con i lavavetri al grido che i rumeni sono tutti delinquenti. All’epoca Rudolph Giuliani andava di moda, era considerato un totem. Oggi è trattato come l’avvocato pazzo di Trump.
Noi siamo invece rimasti fedeli a quell’opzione garantista che sa scorgere le possibili derive del potere di punire.