Lo scorso giugno il Sottocomitato per la prevenzione della tortura e degli altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti delle Nazioni Unite ha pubblicato due pareri di follow-up in materia di detenzione in periodo pandemico. Questi aggiornamenti rappresentano il prosieguo di avvertenze che fin dall’esordio della diffusione del coronavirus Covid-19 la Sottocommissione si era premurata di produrre e sottoporre ai Paesi aderenti all’Opcat (il Protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura) un parere sui luoghi di detenzione (marzo 2020) e poi ancora un altro parere nell’aprile successivo agli Stati e ai Meccanismi nazionali di prevenzione (NPM). Ad entrambi il Sottocomitato aveva chiesto di fornire informazioni sulle misure che di lì in avanti si sarebbero adottate negli istituti di pena in risposta al pericolo virale.
Sono stati 49 su 90 Stati parte del protocollo, quelli a fornire delle risposte che hanno poi permesso il follow-up. Tra i membri dell’Unione europea le adesioni sono state di 19 paesi su 27 (Non hanno risposto: Belgio, Finlandia, Georgia, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lussemburgo, Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca). Mentre sono stati 69 gli NPM che hanno segnalato al Sottocomitato i problemi riscontrati nei sistemi di reclusione di cui sono Garanti nel corso di questa emergenza pandemica.
Sulla base dei riscontri il Sottocomitato ha in via preliminare potuto riscontrare le capacità di adattamento di alcuni sistemi di giustizia penale nei quali vi è stata come risposta alla crisi sanitaria una riduzione nel numero della popolazione detenuta, la sensibilizzazione circa le modalità di contagio, una maggiore attenzione all’igiene, una intensificazione nell’assistenza sanitaria a persone con quadri clinici più complessi e, infine, l’importante introduzione di nuovi mezzi di comunicazione con il mondo esterno. Le misure per ridurre la popolazione detenuta hanno riguardato anzitutto lo sviluppo o il ricorso a misure non detentive per i detenuti con pene o con residui di pene brevi, per le donne incinte o con figli piccoli in carcere, condannati per reati non violenti che avessero scontato una parte significativa della loro pena, persone con gravi problemi di salute e/o disabilità. Inoltre si è fatto ricorso agli istituti della grazia o dell’amnistia e anche al braccialetto elettronico per la detenzione domiciliare. Non da ultimo vi è stata una riduzione del ricorso alla custodia di polizia. Per quanto attiene invece alle misure igieniche, vi è stata in via preliminare un’attenzione all’identificazione dei problemi di salute dei detenuti; sono stati poi limitati i trasferimenti, e istituite sezioni per l’isolamento sanitario e/o la quarantena. Sono stati dotati i detenuti e il personale di dispositivi di protezione individuale. Mentre la necessità di limitare gli accessi agli istituti ha visto impediti spesso i colloqui con i familiari e per contro l’introduzione negli istituti delle tecnologie e degli ausili per le videochiamate. In alcuni paesi sono stati rafforzati i sostegni psicologici, anche alle famiglie, così come le attività, scolastiche, sportive e ricreative.
Tuttavia permangono per il Sottocomitato alcune preoccupazioni, in modo particolare relativamente a due aspetti: la mancanza di volontà politica di alcuni Stati di attuare le sue raccomandazioni e i mezzi forniti agli NPM per continuare a portare avanti il proprio lavoro di monitoraggio e tutela dei diritti. Per questa ragione sono stati introdotti protocolli di visita durante la pandemia. Anche tra gli NPM alcuni hanno saputo dimostrare la grande capacità d’azione durante la pandemia anche nel sottolineare i pericoli sottesi alle legislazioni d’emergenza. Il lavoro degli NPM, come sottolineato dal Sottocomitato nel documento CAT/OP/11, è essenziale nella prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti e per questo è importante che le visite e i monitoraggi continuino anche in questa situazione eccezionale.
Per quanto attiene alle preoccupazioni espresse dal Sottocomitato nei riguardi degli Stati parti dell’OPCAT si lamenta: un’insufficiente attenzione alla popolazione a rischio in detenzione; un inasprimento delle misure di sicurezza che viene giudicato sproporzionato; la sospensione di permessi e congedi domiciliari per i reclusi che prima vi avevano accesso; la mancanza di informazioni fornite ai familiari con tempestività. Inoltre non dappertutto sarebbero state predisposte misure alternative in grado di sopperire alla chiusura dei colloqui con i familiari. In alcuni luoghi sarebbero stati interrotti i programmi terapeutici, e non sarebbero stati forniti materiale igienico e dispositivi di protezione individuale a sufficienza. Vi sarebbero stati anche arresti massicci e arbitrari e un uso eccessivo della forza da parte della polizia per imporre il rispetto delle misure adottate per la pandemia.
Il Sottocomitato poi ha raccomandato l’adozione di ulteriori misure importanti per ridurre l’impatto della pandemia sugli istituti di pena. Intanto la vaccinazione massiva dei detenuti e del personale penitenziario. Il proseguimento nello screening della sintomatologia da Covid-19 unitamente all’adozione di misure di protezione, isolamento e verifica del contagio. Il miglioramento sia dell’igiene generale degli istituti che delle aree preposte alla quarantena e all’isolamento sanitario. Garantire il massimo della cura ai detenuti più vulnerabili e fornire tutto il supporto necessario agli NPM nel prosieguo del loro lavoro.