"Guarire i ciliegi", il quinto rapporto di Antigone sul sistema della giustizia minorile, sarà presentato il prossimo 21 febbraio, a partire dalle ore 10.00, presso la Comunità Borgo Amigò (via Boccea 695, Roma).
Il titolo è un omaggio alla canzone "Un medico" di Fabrizio De André, dove il protagonista da bambino aveva proprio il sogno di guarire i ciliegi. Compito del sistema della giustizia minorile è quello di proteggere i sogni dei ragazzi, promuovere per loro ogni possibilità futura, facendo sì che il giovane percepisca di avere davanti a sé tutte le alternative di vita aperte e non si senta stigmatizzato e costretto dall'esperienza penale.
Nel rapporto sarà illustrato lo stato degli istituti penali per minorenni che Antigone ha visitato nell'ultimo anno. Saranno raccontati i numeri e le storie emerse da questo monitoraggio e mostrati e resi disponibili dei video con le immagini raccolte all'interno di questi luoghi.
Ieri il Procuratore della Repubblica Nicola Gratteri è tornato a parlare di lavoro in carcere, riconoscendone il ruolo fondamentale per il reinserimento delle persone ma proponendo che, in assenza di risorse, questo avvenga in forma gratuita. Ma il lavoro gratuito non è altro che lavoro coatto.
Il diritto internazionale vieta i lavori forzati. La storia delle tirannie – nazionalsocialista ma anche stalinista – è una storia iconograficamente nota al mondo anche tramite le immagini dei lavori forzati. Auschwitz-Birkenau era un campo di lavori forzati. Così recitano le Regole Penitenziarie Europee: «Il lavoro penitenziario deve essere considerato come un elemento positivo del trattamento, della formazione del detenuto e della gestione dell’istituto… Nella misura del possibile, il lavoro deve essere tale da conservare e aumentare la capacità del detenuto di guadagnarsi normalmente la vita dopo la sua dimissione... L’organizzazione e il metodo di lavoro negli istituti devono avvicinarsi, nella misura del possibile, a quelli che regolano un lavoro nella società esterna, al fine di preparare il detenuto alle condizioni normali del lavoro libero… Deve essere previsto un sistema equo di remunerazione del lavoro dei detenuti».
Ce lo dice anche l’Europa dunque che il lavoro non può che essere retribuito. Lo dicono secoli di storia di sfruttamento umano. Lo afferma perentoriamente l’articolo 8 del Patto sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite del 1966 entrato in vigore in Italia nel 1976: «A nessuno può essere richiesto di svolgere lavoro forzato». Non vi sono eccezioni.
di Patrizio Gonnella. Pubblicato su il manifesto del 25 gennaio 2020
Sono trascorsi quattro anni, lunghi e penosi, da quando Giulio Regeni è stato torturato e ammazzato in Egitto. Un omicidio politico consumato impunemente, almeno finora, ai danni di un giovane ricercatore italiano.
Di fronte a ogni crimine, comune o politico, vi sono sempre due verità, una storica e l’altra processuale, non sempre sovrapposte, ma soprattutto non sempre sovrapponibili. La storia giudiziaria e politica italiana degli ultimi cinquant’anni è piena di doppie verità.
LA VERITÀ PROCESSUALE è necessariamente dettata dai tempi e dalle forme della giustizia, nonché dallo stato della democrazia in un dato Paese o dall’asservimento in un certo momento storico del potere giudiziario a quello politico.
La storia invece non ha bisogno di un processo in un’aula di tribunale per definire come veri taluni fatti. Giulio Regeni è stato torturato a morte. Questo è un fatto storicamente accaduto ed oramai ampiamente dimostrato. La tortura è qualificata nel diritto internazionale quale un crimine di Stato. Non riguarda i rapporti violenti tra persone comuni nelle loro vite private. La tortura presuppone un rapporto asimmetrico tra la persona fermata/arrestata/controllata/detenuta e colui che la custodisce/trattiene/detiene/controlla in nome e per conto del potere pubblico.
Questa mattina il Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura, organo del Consiglio d'Europa, ha pubblicato un report (lo si può leggere qui, mentre qui si può leggere la sintesi tradotta da noi in italiano) sulla visita effettuata in Italia nei mesi scorsi e durante la quale i membri del Comitato avevano visitato alcune carceri del nostro paese
"Quello che emerge nel report - il commento di Patrizio Gonnella, presidente di Antigone - è una situazione che denunciamo da diverso tempo e che abbiamo avuto modo di segnalare anche al CPT, incontrato da noi durante la loro visita. La spinta riformatrice post sentenza Torreggiani si è fermata e questo ha prodotto e sta producendo un peggioramento delle condizioni di detenzione, con situazioni gravi sulle quali chi ha responsabilità politiche dovrebbe intervenire con urgenza".
I membri del CPT, tra i vari istituti, hanno visitato anche Viterbo e Biella. In queste carceri erano già emerse numerose denunce da parte di detenuti che segnalavano episodi di violenza subiti da parte degli agenti di polizia penitenziaria. Il Comitato ha ritenuto che la documentazione supportasse la veridicità delle accuse di maltrattamenti. "Questi casi di violenze erano stati oggetto di esposti da parte della nostra associazione - sottolinea ancora Gonnella. A maggior ragione dopo la pubblicazione del rapporto del CPT auspichiamo che ci sia una accelerazione sia nell'indagine amministrativa che in quella penale. Sarebbe anche importante che arrivasse il segnale esplicito da parte del governo intorno all'assoluto e categorico divieto di uso arbitrario della forza. Sappiamo che questi episodi non accadono dappertutto e dunque, a maggior ragione, è possibile un'opera di prevenzione. Nel rapporto si legge come, tra gennaio 2017 e giugno 2019, il numero di agenti sottoposti a procedimento disciplinare per fatti di maltrattamenti sia pari a 11 unità. 52 sono invece coloro che sono sottoposti a procedimento penale. La maggior parte di questi fatti è ancora pendente dinanzi alla magistratura".
"Riteniamo un grave errore quello del governo che, nel Consiglio dei Ministri tenutosi ieri, ha dato il via libera alla dotazione stabile per tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine della pistola elettrica taser, un'arma pericolosa e potenzialmente mortale, come ci dimostra la realtà dei paesi in cui è in uso". A dirlo è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.
La sperimentazione del taser era partita nel settembre del 2018 in dodici città su iniziativa dell'allora ministro dell'Interno Salvini. Secondo un'indagine della Reuters il taser ha provocato oltre mille morti nei soli Stati Uniti. La stessa azienda americana che la produce - la Taser International Incorporation, da cui deriva il nome dell'arma - chiamata in causa sulla potenziale pericolosità, ha dichiarato che esisterebbe un rischio di mortalità pari allo 0,25%. Ciò significa che se il taser venisse usato su 400 persone una di queste potrebbe morire.