Il Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ieri è andato a riferire alla Camera dei Deputati sulla situazione delle carceri e sulle misure di prevenzione alla diffusione del coronavirus. In questo breve articolo cerchiamo di mettere in evidenza alcune delle informazioni e dei dati forniti dal ministro.
Innanzitutto Bonafede ha comunicato che 1600 smartphone sono stati distribuiti agli istituti e altri 1600 sono in via di acquisizione (anche grazie al contributo importante della Compagnia di San Paolo). Certamente un dato importante. Fin dal primo decreto del governo di sospensione dei colloqui avevamo chiesto di dotare le carceri di telefoni cellulari per poter garantire un contatto telefonico maggiore rispetto al passato. Ci auguriamo che tutte le carceri ora garantiscano ai detenuti un numero di chiamate superiori rispetto alla norma. L'incremento dei colloqui telefonici e delle videochiamate, così come l'innalzamento dei limiti di spesa per ciascun detenuto o la possibilità di ricevere vaglia postali online (misure annunciate dal Ministro) sono importanti, ma da sole non bastano.
La paura del contagio tra le persone detenute e gli operatori è infatti uno dei punti da affrontare con maggiore urgenza. Molta di questa tensione è dovuta al sovraffollamento, che rende impossibile il rispetto di quelle misure di distanziamento sociale che ogni giorno le autorità sanitarie e governative ci raccomandano. Per questo non bastano nemmeno le 200.000 mascherine consegnate agli istituti, né i 760.000 guanti monouso. E' invece necessario decongestionare le nostre carceri, liberare spazi e rendere così possibile l'isolamento sanitario per i detenuti che dovessero essere trovati positivi o per quelli da mettere in quarantena. Ad oggi, stando al ministro, i positivi al Covid-19 sono 15 e quelli messi in quarantena 260. Ma i numeri sono purtroppo destinati ad aumentare.
Tuttavia è ancora possibile agire: il Decreto Cura-Italia, dove sono inserite anche le norme relative alle carceri, deve ancora essere convertito in legge. Nelle ultime settimane le persone detenute sono diminuite di circa 2.500 unità. Come ha detto il Ministro, di queste sono solo 200 circa le uscite dovute agli articoli 123 e 124 del recente Decreto. Gli altri sono usciti in base alla legislazione pre-vigente, grazie allo straordinario lavoro di Magistrati di Sorveglianza, Garanti, Direttori penitenziari. E non sono a piede libero: sono persone private della libertà, ma a domicilio. Al 29 febbraio il sistema penitenziario italiano disponeva di 50.931 posti, a cui bisogna sottrarne circa 2.000, resi inagibili dalle rivolte dell'otto e nove marzo. I presenti, il 25 sera, erano 58.386. Circa 10.000 in più rispetto a quelli che può sopportare il nostro sistema. La deflazione nelle presenze dunque, come abbiamo più volte detto, non basta a scongiurare lo scoppio di una bomba sanitaria all'interno delle carceri. Di più si può e si deve fare per garantire il diritto alla salute delle persone detenute, degli operatori penitenziari e della società tutta, che ha bisogno di posti in terapia intensiva e non di nuovi focolai.
Noi, insieme ad altre organizzazioni, abbiamo presentato una serie di proposte volte a riportare le carceri alla legalità e a garantire il diritto universale alla salute a tutti. In questi giorni le abbiamo sottoposte ad alcuni parlamentari affinché vengano presentati degli emendamenti durante la conversione in legge del decreto. Ci auguriamo che governo e maggioranza, vogliano dare seguito a queste proposte.