Preso a calci e pugni sul volto nel carcere di Monza. E' quanto denuncia un detenuto che racconta di essere stato aggredito da alcuni agenti penitenziari il 3 agosto scorso nel corridoio della sezione D del primo piano dell'Istituto, davanti alla cella numero 21. Il racconto che l'uomo fa alla compagna, che lo va a trovare in carcere il 7 agosto è circostanziato. E a dimostrazione del pestaggio ci sono gli occhi lividi, il volto tumefatto e i forti dolori che l'uomo lamenta.
Oggi Antigone, che si batte per i diritti in cella, ha presentato sul caso un esposto alla procura della Repubblica presso il tribunale di Monza perché si appuri la verità dei fatti. Nell'esposto il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella, riferisce che il detenuto sostiene gli sia stato fatto firmare un foglio in cui dichiarava di essersi fatto male da solo. ''Il medico che lo ha visitato - è scritto nell'esposto - non ha refertato alcuna lesione". In seguito a questo episodio, al detenuto è stata applicata la sanzione disciplinare dell’isolamento per quindici giorni e, durante questo periodo, è stato visto dalla suora che frequenta il carcere.
"Con la sua presenza odierna fuori dal carcere di San Gimignano speriamo Salvini non si esprima per portare solidarietà agli agenti di polizia penitenziaria accusati di tortura. Qualora lo facesse mostrerebbe uno scarso rispetto per la legge e lo Stato. Sarebbe inaccettabile che un senatore, ex ministro dell'Interno, invii implicitamente un messaggio di tolleranza e comprensione verso chi è indagato per quello che è un crimine contro l'umanità, utilizzato in molti regimi autoritari e che le democrazie avanzate devono impegnarsi a combattere". A dirlo è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.
"Solitamente - aggiunge Gonnella - siamo lieti quando un parlamentare fa visita ad un carcere. Abbiamo anche lanciato una campagna che mira ad includere i Sindaci tra le autorità autorizzate in pianta stabile ad entrare negli istituti di pena. Per sostenere questa proposta abbiamo effettuato, finora, visite congiunte con i primi cittadini di Livorno, Torino, Palermo e Bologna. Calamandrei settanta anni fa scriveva che bisogna aver visto per comprendere cosa significa la privazione della libertà e quale sia la composizione delle nostre carceri. Dunque - sottolinea ancora il presidente di Antigone - è positivo quando i decisori politici decidono di vedere con i loro occhi. Ci auguriamo che Salvini non si fermi alle porte del carcere ma le superi, non facendo l'errore tragico di portare solidarietà a presunti torturatori, ma approfittando del suo potere ispettivo per rendersi conto delle condizioni dei detenuti e delle carceri e di come, in alcuni casi, gli standard minimi di dignità non siano purtroppo rispettati".
Nei casi di tortura l'accertamento della verità è una corsa contro il tempo. Una corsa che deve essere facilitata dalle istituzioni. Una corsa che richiede la rottura del muro del silenzio da parte di tutti gli operatori che hanno visto gli abusi e le violenze.
In questo caso siamo rinfrancati dalla prontezza del lavoro della magistratura e dalla collaborazione del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. In Italia finalmente i giudici dal 2017 hanno a disposizione una legge (seppur migliorabile) che proibisce e punisce la tortura. E' stata questa una battaglia ventennale di Antigone. Siamo ai primi casi di applicazione di questa legge.
Nelle scorse settimane Antigone aveva presentato un esposto alla procura di Monza per fatti analoghi avvenuti nel carcere della città brianzola. Anche in quel caso abbiamo assistito a un immediato intervento delle istituzioni (garante nazionale delle persone private della libertà e provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria). Anche in quel caso decisive potrebbero essere le registrazioni delle telecamere nelle sezioni di isolamento.
Chiediamo, dunque, che a San Gimignano come a Monza si arrivi rapidamente alla definizione del processo nell'interesse della giustizia e della legalità.
In data 11 settembre 2019 una delegazione di Antigone ha fatto visita alla casa circondariale di San Vittore "Francesco di Cataldo". La struttura contava 1076 detenuti presenti, e oltre il 62% di stranieri, con una significativa sofferenza legata al sovraffollamento (capienza regolamentare 798), considerate le chiusure del 2° del 4° raggio e del Conp (Centro di osservazione neuropsichiatrica) che riducono sensibilmente questa cifra, facendo salire il sovraffollamento oltre il 160%. In tale data la delegazione ha potuto constatare la presenza nel centro clinico della casa circondariale di una persona che versa in gravi condizioni di salute, già dichiarate incompatibili con la detenzione dal magistrato di sorveglianza competente.
di Patrizio Gonnella da il manifesto del 15 agosto 2019
Stupirsi della violenza significa fare il gioco del fascismo, scriveva Walter Benjamin. La violenza è parte costitutiva dei rapporti di potere presenti nella società. La violenza è il cuore del diritto penale e della risposta punitiva dello Stato. È questa una violenza regolamentata, strutturata, limitata. La passione per le punizioni, che ha tragicamente permeato di sé il mondo contemporaneo, richiede però un tasso di violenza ulteriore, una violenza “illegale”, “arbitraria”, “rapsodica”. In momenti storici e politici come quello attuale, quando si sentono ministri evocare espressioni quali «marcire in galera» oppure ammiccare a coloro che bendano e legano un indagato durante un interrogatorio, quell’uso e abuso di una violenza “illegale”, “arbitraria” e “rapsodica” viene percepito come parte della pena stessa, nella certezza interiore dell’impunità e del giudizio comprensivo, se non addirittura benevolo, dei cattivi maestri al potere. D’altronde basta leggere alcuni siti informativi di polizia o le loro pagine social per capire di cosa stiamo parlando: i detenuti sono chiamati bastardi o nella migliore dell’ipotesi camosci, riproponendo uno slang carcerario antico, offensivo e violento.