di Patrizio Gonnella, su il manifesto del 1 febbraio 2023
In primo luogo va ricordato che il codice penale in vigore, compreso il reato di cui all’articolo 285, è intriso di cultura politica illiberale. Per il delitto di strage, devastazione e saccheggio, nella sua originaria versione, era prevista addirittura la pena di morte. Cospito, anche a causa degli irrigidimenti previsti per i recidivi all’interno dell’orribile legge Cirielli del 2005, dovrebbe scontare la pena dell’ergastolo, pur non avendo ammazzato nessuno.
Una vera anomalia – in pieno contrasto con quel principio di legalità in senso stretto che ci ha insegnato Luigi Ferrajoli – a cui si spera la Consulta metta riparo. Antigone depositerà un suo atto di intervento davanti alla Corte Costituzionale. Il prossimo 13 febbraio lo presenteremo alla Fondazione Basso a Roma insieme a Juan Patrone e Franco Ippolito.
La Corte di assise d'appello di Torino ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 69, quarto comma, del Codice penale, che non consente che ai recidivi vengano riconosciute circostanze attenuanti prevalenti sulle aggravanti, in modo da consentire una quantificazione della pena adeguata alla minore gravità del reato in concreto commesso.
Il caso riguarda Alfredo Cospito ed un suo attentato del 2006 ad una caserma di Carabinieri nel quale nessuno rimase ucciso o ferito. Se fosse riconosciuta l'incostituzionalità della norma, a Cospito potrebbe essere comminata una pena massima che va dai 20 ai 24 anni, anziché l'ergastolo.
Antigone è intervenuta in questo giudizio con un amicus curiae per sostenere le ragioni evidenziate dalla Corte d'appello di Torino. Di questo si parlarerà durante il convegno.
Stiamo provando ad organizzarci con una diretta streaming per seguire l'evento anche a distanza. Di questa possibilità daremo informazioni nei prossimi giorni sia qui che sui nostri canali social.
Un dossier dove ricapitoliamo il caso che riguarda Alfredo Cospito, detenuto al regime di 41-bis e da oltre 100 giorni in sciopero della fame.
Un documento che ricapitola il quadro complessivo degli eventi, degli addebiti e delle decisioni prese da Corti e Ministero.
Crediamo importante infatti che il caso venga conosciuto e finalmente affrontato nel rispetto della legalità costituzionale e dei diritti inalienabili della persona.
Una donna incinta di due gemelli è ristretta presso il carcere di San Vittore. La detenuta, in attesa di giudizio, ha ricevuto un’ordinanza ex art. 285 presso l’ICAM, ma la struttura a custodia attenuata non prevede una copertura sanitaria h24,e quindi si è proceduto alla collocazione presso la casa circondariale milanese, dove, tuttavia, non è presente un ginecologo (a fronte di oltre 90 detenute ristrette). Questo caso si somma ai molti casi registrati nel 2022 (compresa la vicenda della detenuta che aveva perso il bambino in corso di detenzione che Antigone aveva denunciato nei mesi scorsi).
Il numero è stato così elevato anche perché con circolare n° 10998 del 30 maggio scorso la Procura di Milano ha deciso di modificare il proprio precedente indirizzo del 2016 volto ad evitare l'ingresso in carcere alle donne incinte o con prole di età inferiore ad un anno, soggetti che in caso di esecuzione penale normativamente non possono permanervi ex art. 146 c.p. (differimento obbligatorio della pena). Oggi le forze dell’ordine sono obbligate, in presenza di un ordine di esecuzione, ad accompagnare queste persone in carcere in attesa che il magistrato di sorveglianza prenda atto delle condizioni che ne impediscono la permanenza.
“Milano rappresenta un’anomalia in Italia, e continua a prevedere l’invio in carcere per donne in gravidanza, mettendo a rischio la loro salute e quella del bambino, proprio perché le strutture non sono adeguate per questo tipo di presa in carico". A dirlo è Valeria Verdolini, presidente della sede lombarda di Antigone. "Auspichiamo quanto prima - prosegue la Verdolini - la revoca della circolare e il ripristino della sospensiva in vigore dal 2016, e tutte le forme di cautela e protezione in qualunque fase della detenzione”.
Dopo due anni e mezzo in cui circa 700 detenuti semiliberi - a fronte delle normative per l'emergenza Covid-19 - hanno potuto non far rientro in carcere la notte, dal 31 dicembre, sono tornati nuovamente negli istituti. Nell'ultimo decreto legge dell'anno, approvato proprio agli sgoccioli del 2022, il Governo non aveva infatti voluto inserire un articolo che prorogasse questa misura, facendo fare un passo indietro nel percorso di reintegrazione di queste persone.
Tuttavia c'è ancora spazio per dare un senso pieno alla pena, in linea col dettato Costituzionale. Il Parlamento, infatti, sta esaminando l'AS 452 (d-l 198/2022 - proroga termini legislativi) che dovrà convertire in Legge. Attraverso un emendamento si potrebbe intervenire.
I detenuti semiliberi che hanno usufruito delle licenze straordinarie non hanno in questi anni fatto parlare di sé, nessuno di loro ha commesso reato durante la permenza in casa nella notte. Il comportamento tenuto è stato sempre regolare. Qual è oggi il senso di farli tornare in carcere ogni sera, dopo due anni e mezzo di vita in famiglia e immersi nella società? Sradicarli da una già avvenuta integrazione sociale per ricondurli in un contesto detentivo e dunque per definizione separato. Se la pena deve tendere alla reintegrazione, ciò è privo di senso.
In un nostro contributo inviato alla Commissione Parlamentare di competenza auspichiamo quindi che il Parlamento possa intervenire.