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Giustizia: il Medioevo dell’Opg di Sant’Eframo (Napoli), di Dario S. Dell’Aquila, Il Manifesto, 25/3/07

Nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Napoli il tempo si è fermato. I detenuti vivono in condizioni igieniche inesistenti e spesso abbandonati a loro stessi.

 

 

 

Il vecchio monastero di Sant’Eframo, all’angolo della centrale e trafficata via Matteo Renato Imbriani, è un’isola nella quale non giungono i rumori della città. Ma non è un’isola felice. Perché qui, in quello che oggi è l’Ospedale psichiatrico giudiziario di Napoli, non arriva nemmeno l’eco delle riforme penitenziarie e psichiatriche.

Con Sergio Piro, figura storica della psichiatria democratica e Francesco Caruso, deputato indipendente del Prc, varchiamo le porte di una struttura che ad oggi "ospita" circa 100 internati. L’odore di urina è forte e si avverte sin dalla prima rampa di scale che ci porta alla seconda sezione minorati. Un odore che si mischia alla scarsa igiene e alle cicche di sigarette sparse un po’ ovunque.

Lungo il corridoio, da una cella, un internato molto giovane, Giovanni M. riconosce un profilo noto, "uà i no-global!" esclama e, euforico, ci invita ad entrare. La scena che ci si presenta è agghiacciante. La cella è in condizioni igieniche indescrivibili, avanzi di pasti, sigarette, bucce di arance, sporcizia. Allo sporco fa da contrappeso l’assenza di ogni tipo di suppellettili. Qui sono ammassate sei persone. I letti, l’uno all’altro adiacenti, sono coperti da lenzuola di un grigio imprecisato, che emanano un odore molto forte.

Un internato più anziano ci invita ad entrare in bagno, mentre Sergio Piro dialoga con alcuni ragazzi. I bagni sembrano uscire da un’altra epoca. Tre cessi, affiancati, divisi da una sorta di paratia di ferro, sono pieni di ruggine e liquami. Il lavabo, di quelli che si usa per lavare i panni, è pieno di acqua limacciosa, così come l’acqua copre completamente il pavimento perché il tubo perde. Non c’è acqua calda, non c’è una doccia.

Non mancano solo nella cella, mancano su tutto il piano, ci dicono. Incredibile ma è così. Non ci sono docce nelle celle né in tutto reparto. Giovanni M., che ha ventiquattro anni, è qui da un anno. Faceva uso di sostanze, è stato denunciato dalla famiglia. Estorsione, per una somma di 12 euro. Le storie si sovrappongono, tutti in attesa di un parere medico o di una perizia. Giovanni sveglia un compagno che, nonostante il nostro arrivo è rimasto immobile sul letto.

Quando Andrea D. si volta, mette in mostra i suoi avambracci, devastati da piaghe. All’altezza del polso due buchi, come quelli da piaghe da decubito con una lesione della pelle che sembra molto profonda sino a raggiungere l’osso. Andrea dice che è colpa della droga, che lui prima si drogava, ma ora non più, se solo tornasse a casa il padre saprebbe come curarlo. Tutti vestono panni vecchi, molto sporchi, l’aspetto è estremamente dimesso, ma riescono a raccontare, seppur confusamente, le loro storie.

Proseguiamo lungo i corridoi, dalle celle richieste di aiuto, di assistenza legale, di alloggio, spesso semplicemente anche di una sola sigaretta. Camillo De Lucia, psichiatra dell’istituto che ci accompagna, di fronte alle nostre perplessità ci dice che sbagliamo a confrontare le loro condizioni con quanto prevede l’ordinamento penitenziario, ma che come riferimento dobbiamo prendere le condizioni dei vecchi manicomi giudiziari. Confrontato con l’orribile del passato, l’indecenza del presente dovrebbe essere meglio tollerata.

In una cella, solitario, tremante, a piedi nudi, un uomo è inginocchiato appoggiato alle sbarre della porta. Gli passano tutti di fronte con estrema indifferenza. Sergio Piro si ferma, si inginocchia gli stringe la mano ("stringete le mani ci dice, è importante il contatto è importante", ripete). Gli domanda il nome. Lorenzo M. ha circa cinquanta anni, tremante biascica qualcosa e ci chiede una sigaretta. La sua cella come tutte quelle che incontriamo, salvo rare eccezioni, è desolatamente vuota e sporca. Nei corridoi l’odore di urina è spesso fortissimo, in diverse celle, piene di rifiuti, manca il televisore. Li rompono, ci dice Salvatore De Feo, il direttore, molti di quelli che ci sono li ha donati il Pio Monte della Misericordia.

Chiediamo di vedere la sala di contenzione, ma dopo un primo giro in un corridoio chiuso, ci viene detto che non c’è, qui non si usa. Ci basterebbe vedere anche quella in disuso, ma forse per difetto di comunicazione o forse perché siamo viandanti distratti non ci viene concesso questo onore. Così come, in quei corridoi, non abbiamo avuto il piacere di incrociare un medico o un infermiere.

In una cella incontriamo Fabio M., che avevamo incontrato durante la nostra visita all’Opg di Aversa. Detto "bambolella", perché gira sempre con una bambola di Barbie in mano. È felice di vederci. Ci aveva raccontato, nell’occasione precedente, di subire molestie. Ne avevamo parlato con il direttore. Il trasferimento l’ha rinfrancato, ci chiede di ringraziare "la dottoressa Roberta" (Roberta Moscatelli del Forum Salute Mentale, ndr) che l’ha fatto trasferire. Non è merito nostro, ma Fabio è convinto del contrario. Un agente che ci accompagna, con poetica chiosa, ci dice: "Non so se è omosessuale, ma di sicuro è ricchione". Parte della struttura è chiusa, una piccola ala, con circa venti internati è stata da poco rifatta ed almeno qui non si sente odore di urina.

Giungiamo all’aperto, al passeggio. Un cortile di cemento, di pochi metri quadri con una grata molto alta attorno. L’effetto di una gabbia, con dentro uomini poco più che animali. I visi e le storie si sovrappongono. Dai buchi delle grate passiamo le sigarette, una fila ordinata, ogni mano una sigaretta, i più pronti passano per un secondo giro. Un internato, che abbiamo incontrato nel giro, è felice, la stretta di mano di Piro l’ha illuminato: "Ciao grande Sergio", grida mentre ci allontaniamo.

C’è ancora tempo per un gesto. Mentre Francesco raccoglie le ultime storie e distribuiamo le ultime sigarette, Giovanni M. si avvicina, estrae dalla tasca il suo pacchetto di sigarette e dice: "Facciamo uno scambio, tu mi dai una tua diana blu e io ti do una mia rossa". Sorride, il baratto, così lo chiama, lo rende felice, mentre pochi metri più in là un internato obeso è preso in giro dai suo compagni di pena. Ce ne andiamo così, con quella sofferenza che nessuno di noi sa spiegare e con quella sigaretta che ancora adesso aspettiamo a fumare.

 

Sono 1.200 gli internati in Italia

 

Nell’Opg di Napoli vi sono circa 104 internati, 40 infermieri, di cui 18 a contratto, tre educatori, cinque psichiatri a contratto e due psicologi. La struttura risale al 1.500 circa ed in origine era un convento. Gli internati sono persone che hanno commesso un reato e sono ritenute affette da una patologia mentale e riconosciuti socialmente pericolosi. Sono condannati ad una misura di sicurezza di 2, 5 o 10 anni prorogabile, un meccanismo che fa si che le persone entrate con una misura di due anni possano rimanete in Opg per decenni, indipendentemente dal reato commesso. Gli Opg in Italia sono sei, gli internati circa 1.200

Giustizia: con il codice penale "Pisapia" l'abolizione degli Opg

 

Il Manifesto, 27 marzo 2007

 

La Commissione Pisapia ha terminato i suoi lavori. Per i "non imputabili" si stabilisce una "scala" di misure di controllo. Previste "strutture psichiatriche" per i casi più gravi, ma senza la polizia penitenziaria.

La riforma del codice penale è pronta. La commissione istituita a luglio presso il ministero della giustizia, e presieduta dall’avvocato Giuliano Pisapia, ha concluso i suoi lavori a tempo di record. Tra due settimane le proposte per rivedere il codice saranno sul tavolo del Guardasigilli Clemente Mastella. Ne uscirà un disegno di legge delega che dovrà essere approvato dal consiglio dei ministri. Poi inizieranno i lavori parlamentari.

Un passo avanti, se si considera che i precedenti tentativi di riformare il codice sono rimasti in un cassetto. Proprio quindici giorni fa il presidente Pisapia ha illustrato le linee guida alla commissione giustizia del senato "riscontrando - spiega Pisapia - una generale approvazione sulle linee di fondo. Mi sembra che stiamo iniziando con il passo giusto".

La riforma cambierà la faccia del codice penale italiano sotto diversi aspetti, uno di questi è l’idea di abolire l’ergastolo, tra i nodi più delicati. Ma una delle novità contenute dalla riforma della commissione Pisapia è l’eliminazione delle misure di sicurezza (o detentive) per le persone non imputabili. Ovvero, l’abolizione degli ospedali psichiatrici giudiziari. "È un punto che ha ricevuto l’unanimità della Commissione - spiega Pisapia - Le misure detentive per tutte quelle persone che commettono un reato ma non sono imputabili per i motivi più diversi quali la malattia psichica o uno stato cronico di tossicodipendenza o alcolismo si sono dimostrate inefficaci e anacronistiche".

Questi i principali elementi della riforma: sarà rivista anche la concezione della "incapacità di intendere e volere". La valutazione medico legale, infatti, dovrà considerare non soltanto le malattie psichiche ma, ad esempio, anche i gravi disturbi della personalità.

Al posto degli attuali Opg, saranno applicate "misure di cura e di sostegno". La proposta stabilisce una specie di "scala" di interventi. Rimane la previsione di strutture sanitarie specifiche, "ma solo nei casi in cui è assolutamente necessario un controllo quotidiano". E in ogni modo il controllo non sarà affidato alla polizia penitenziaria ma esclusivamente a personale medico.

Quando la salute del reo lo consente saranno previste - a scalare - misure simili alla "libertà controllata". Ad esempio l’obbligo di presentarsi in strutture mediche per assumere farmaci o per incontrare gli psichiatri. In caso di violazione delle prescrizioni, interverranno le forze dell’ordine e verranno comminate misure di maggior controllo. Si prevede, inoltre, la possibilità che alcune misure siano svolte in ambito famigliare. Altra importante novità è la specificazione che l’applicazione delle misure di sostegno non potranno superare l’entità della pena. Mentre oggi, con il meccanismo della "proroga", succede che le persone vengano lasciate negli Opg anche per decenni, indipendentemente dal tipo di reato commesso. In secondo luogo - ma questo avviene già oggi - ci sarà una valutazione periodica dell’efficacia della cura. Se funziona, la misura applicata sarà più leggera. Viceversa, si provvederà a un maggiore controllo.