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Un voto atteso «Passo in avanti fondamentale. L'Italia ratifichi il Protocollo Onu contro la tortura», di M.Palma, Il Manifesto 5/4/07

Dare visibilità a luoghi per necessità, cultura e consuetudini, tenuti al riparo da sguardi indiscreti è il miglior modo per prevenire che essi possano diventare luoghi opachi, alle cui soglie il diritto rischia di arretrare e al cui interno il sistema a tutela dei diritti fondamentali rischia di non funzionare.
Tre garanzie decisive per le persone detenute
Un voto atteso «Passo in avanti fondamentale. L'Italia ratifichi il Protocollo Onu contro la tortura»
Mauro Palma *

Dare visibilità a luoghi per necessità, cultura e consuetudini, tenuti al riparo da sguardi indiscreti è il miglior modo per prevenire che essi possano diventare luoghi opachi, alle cui soglie il diritto rischia di arretrare e al cui interno il sistema a tutela dei diritti fondamentali rischia di non funzionare.
Per questo tutte le Convenzioni che in ambito internazionale sono state definite per prevenire ogni forma di maltrattamento delle persone private della libertà hanno ben chiaro un duplice aspetto: la prevenzione dei trattamenti «inumani e degradanti» di chi è, appunto, oggetto di tale privazione e la prevenzione delle false denunce verso chi ha correttamente operato. Lo strumento più idoneo per questo duplice obiettivo è stato da tempo individuato nella possibilità di designare un comitato indipendente che abbia accesso, in maniera ampia e non annunciata, a tali luoghi e alle persone che vi sono ristrette e che, senza nulla togliere al doveroso esercizio di controllo amministrativo e giudiziario, rappresenti un occhio esterno che continuamente monitori il sistema e individui i suoi punti di criticità.
In ambito europeo tale compito è affidato al Comitato per la prevenzione della tortura e dei trattamenti e pene inumani o degradanti, che, con sede a Strasburgo, opera da quasi vent'anni conducendo continue visite nei più disparati luoghi del territorio del vecchio continente. Nel più generale ambito delle Nazioni Unite, un Comitato con analoghi poteri ha iniziato a muovere i primi passi quest'anno. Ma proprio l'allargamento della possibile tutela e la sua effettività rendono evidente la necessità di poter contare su una rete nazionale di organismi con analoghi poteri; di Comitati nazionali, quindi, che continuamente e in modo autonomo e autorevole, svolgano il lavoro di visita, ispezione, controllo e indirizzino conseguenti raccomandazioni ai governi. Per questo il Protocollo delle Nazioni Unite che ha istituito il nuovo organismo stabilisce che gli stati aderenti debbano istituire entro un anno dalla ratifica un meccanismo nazionale di controllo sui luoghi di privazione della libertà, con le caratteristiche di incisività e autonomia di cui si è detto.
L'Italia non ha ancora ratificato il Protocollo e si spera provveda in tempi brevi. Tuttavia la camera dei deputati ha inviato ieri un segnale molto positivo in tale direzione, con l'approvazione del disegno di legge che istituisce la «Commissione per la promozione e la tutela dei diritti umani» e affida a essa tale compito di monitoraggio. Viene così a un primo compimento un percorso che in via sperimentale si era già avviato, sulla spinta dell'associazionismo che si occupa di carcere e penalità, in primo luogo Antigone, attraverso l'introduzione della figura del «garante dei detenuti», già istituita in molte amministrazioni locali.
Tre elementi modificano, rafforzandole, le connotazioni della sperimentazione fin qui condotta. Il primo è che il disegno di legge approvato non si limita al solo mondo carcerario, ma considera tutte le forme della privazione della libertà: dalla custodia nei vari luoghi della polizia, della guardia di finanza o dei carabinieri, ai centri di permanenza temporanea per immigrati, alle comunità per minori, alle strutture che ospitano in convenzione coloro che usufruiscono di misure alternative alla detenzione.
Il secondo elemento è che, una volta in vigore la legge, l'accesso ai luoghi non sarà più richiesto alle amministrazioni e da esse autorizzato, così come è per gli attuali «garanti» ma sarà un autonomo e doveroso esercizio del proprio mandato da parte della Commissione. Il terzo è che tale funzione sarà parte, ben specifica e definita, di un più ampio compito della Commissione stessa, volto all'effettiva tutela dei diritti fondamentali delle persone, all'individuazione di situazioni a rischio e di necessità formative degli operatori, alla formulazione di proposte da rivolgere al governo e al parlamento. In sostanza un compito non solo ispettivo, ma anche di indirizzo.
Un buon passo in avanti, quindi, che si affianca a quello dell'inserimento del reato di tortura nel codice penale, in esame al senato dopo l'approvazione della camera. Entrambi potrebbero - ci auguriamo - giungere al termine del proprio iter legislativo in breve, inviando un messaggio di capacità della politica nel suo complesso di dare indicazioni e costruire cultura in ambiti non sempre produttori di immediato, facile, consenso.
* Presidente del comitato europeo per la prevenzione della tortura