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Quando l'America aprì le braccia, il giorno record di Ellis Island, La Repubblica, 13/04/07

Così un secolo fa iniziò l'avventura di 11 mila immigrati. Tanti gli italiani
Quell'anno entrarono quasi un 1.300.000 persone e aprile fu il mese cruciale

Quando l'America aprì le braccia
il giorno record di Ellis Island

dal nostro corrispondente MARIO CALABRESI


<B>Quando l'America aprì le braccia<br>il giorno record di Ellis Island  </B>

Immigrati italiani all'arrivo

QUELLA settimana l'Atlantico era stato tranquillo, le navi partite dall'Europa dopo il sette aprile avevano raggiunto quelle salpate ai primi del mese, rimaste intrappolate in giornate di tempesta. Così arrivarono tutte insieme, dando vita ad un ingorgo eccezionale, mai visto, creando la data simbolo dell'immigrazione americana: il 17 aprile 1907. Quel giorno di cent'anni fa entrarono negli Stati Uniti, passando per Ellis Island, 11747 persone, un numero mai più raggiunto.

Vincenza Castronovo e Salvatore De Simone si erano imbarcati in Francia, a Le Havre, ed erano arrivati a Manhattan la sera del 16 aprile, dopo un viaggio di soli nove giorni stipati in terza classe con altre seicento persone. Era la seconda volta che tentavano la fortuna lasciando l'Italia: la prima avevano provato a Tunisi, ma qualcosa doveva essere andato storto e così ripartirono verso l'America. Il marito aveva già 31 anni, la moglie 25, questa volta il viaggio l'aveva pagato Francesco, il fratello di lui che li aspettava a Little Italy. Salvatore non sapeva scrivere e all'ufficiale della nave che compilò il registro disse di essere un ciabattino, capelli neri, alto poco meno di un metro e sessanta, aveva una cicatrice vistosa sulla guancia destra. Vincenza era castana, un po' più bassa di lui, aveva studiato ma avrebbe fatto la donna delle pulizie. Avevano solo dieci lire, otto dollari circa. Pochissimi soldi sufficienti a comprare pane e latte tutte le mattine per un mese, non abbastanza per acquistare un impermeabile.

La loro prima notte americana la passarono sulla nave, poi quando il sole spuntò alle 5 e 21, vennero immediatamente caricati sul battello per Ellis Island. Lasciarono i bagagli nel salone al piano terra, salirono le scale, passarono in fretta le visite mediche e i controlli burocratici, i loro numeri nella fila erano il sei e il sette. Dopo di loro si sarebbe scatenato l'inferno: nel grande salone al primo piano quel giorno si accalcarono oltre diecimila persone, una folla mai vista, e le visite divennero velocissime, superficiali, non c'era tempo da perdere, l'America in quelle dodici ore di cent'anni fa aprì le braccia a tutti.


Vincenza e Salvatore nel pomeriggio erano già nel caos di Mulberry street, al centro del quartiere dell'immigrazione italiana, le bancarelle della frutta ovunque, gli uomini tutti con i baffi e il cappello e i ragazzini con la coppola. Andarono ad abitare al 210 di Chrystie Street, in una zona che oggi è contesa tra i cinesi e i designer di moda. Avrebbero fatto fatica, destino comune degli emigranti di prima generazione, ma a saper leggere i registri - e Catherine Daly che dirige il centro di ricerche storiche del museo di Ellis Island lo sa fare meglio di chiunque altro - alla fine ce l'avrebbero fatta.

Almeno lui che, il 9 luglio del 1942, trentacinque anni dopo lo sbarco diventò cittadino americano all'età di sessantasei anni. Prima di loro entrò un bambino di quattro anni, Batiste Ghirando, insieme alla mamma Elisabeth di 22 anni e al papà Pietro di 30.
Accanto ai loro nomi e alla nazionalità, era stata segnata un "N" chiusa in un circoletto, significava "italiani del nord". Nel caso di Vincenza e Salvatore era invece una "S": "italiani del sud". Nel 1899 il dipartimento dell'Immigrazione aveva stabilito ufficialmente, solo per il nostro Paese, una distinzione geografica che creava due nazionalità distinte, sulla scia degli studi degli allievi di Lombroso che indicavano gli italiani del sud come cittadini di categoria inferiore. Una convinzione che verrà abbandonata solo allo scoppio della Prima guerra mondiale.

Anche la famiglia Ghirando era alla seconda tappa: partiti da Roccasparvera nella valle della Stura, avevano già lavorato in Provenza prima di affrontare l'Atlantico. In tasca 45 dollari, il valore di un grammofono, e un biglietto del treno per raggiungere il suocero Guiseppe (sui registri le grafie sbagliate di nomi di luoghi e persone sono decine per pagina) Fiori a San Francisco.


Anche loro avevano viaggiato in terza classe, dormito e mangiato in quelle camerate comuni piene di tanfo e sporcizia, altrimenti non sarebbero passati da quello che ancora nel Settecento era solo un banco di sabbia che portava il nome del suo proprietario Samuel Ellis. Di fronte agli ufficiali dell'immigrazione, per un controllo lungo mai più di due minuti, passava solo chi aveva viaggiato nella stiva. Gli ospiti di prima e seconda classe scendevano direttamente a Manhattan, insieme agli americani, ai membri dell'equipaggio e a chi aveva già passato la trafila di Ellis almeno una volta. Era una questione di soldi. Per poter entrare in America non si doveva essere malati, nel corpo e nella mente, né avere un passato criminale o sovversivo: essere bollati come anarchici portava automaticamente all'espulsione. Invece era necessario essere abili al lavoro, avere abbastanza soldi e un biglietto del treno prepagato per raggiungere la destinazione finale, ma soprattutto qualcuno che ti accogliesse, che garantisse che non saresti stato un vagabondo, un mendicante, un relitto alla deriva. Se i presupposti erano rispettati per te Ellis Island poteva durare meno di sei ore, prima di sera raggiungevi l'isola delle colline, Manhattan, per viverci una vita - nel 1903 il settanta per cento degli emigranti si fermò a New York - o per prendere un treno verso Ovest. Una volta passati i controlli non ti veniva consegnato alcun permesso, quello che restava di te era una riga su quel registro compilato da un ufficiale del piroscafo con cui eri arrivato, eri stato accolto e basta, era il tuo turno di lavorare e cercare fortuna, era il tuo turno di costruire l'America.

Ma se la sorte non ti aveva aiutato a passare di slancio la visita, ma l'occhio del medico in divisa aveva colto qualcosa di storto, allora potevi restare per mesi nell'ospedale costruito di fronte alla banchina degli arrivi o venire espulso, sorte che toccava in media al due per cento degli emigranti.

La condanna era racchiusa in una lettera dell'alfabeto: la "C" stava per congiuntivite, "Ct" per il tracoma, infezione batterica della cornea, la "S" per la scabbia, la "P" significava "pregnant" e le donne in attesa non potevano passare, o tornavano indietro o i loro figli, come accadde 355 volte, sarebbero nati lì. Ma la lettera peggiore era la "X": deficienza mentale. Qui si entrava nell'umiliante girone dei test di intelligenza e delle incomprensioni culturali e linguistiche, con esiti che portavano all'umiliazione del ritorno o anche al suicidio.

Nel 1907 però ce la fecero quasi un milione e 300mila persone, fu l'anno dei record, festeggiato anche dalla palla di Times Square che per la prima volta scese a segnare il Capodanno. Aprile fu il mese cruciale (250.000 ingressi), la settimana tra il 16 e il 22 vide attraccare 22 navi di 13 compagnie e il 17 fu eccezionale.

La "Republic" arrivò proprio all'alba di quel giorno, portava 2200 passeggeri, duecento d'élite in prima classe, tutti gli altri ammucchiati di sotto. Fu lei a fare la differenza. Era partita il 3 aprile da Napoli, aveva navigato per due settimane e scaricò sui pontili quasi duemila emigranti del centro e del sud, campani e abruzzesi in testa. Avrebbe ripetuto il viaggio due volte al mese, ma solo per meno di due anni: alle 5 e 30 del 23 gennaio 1909, complice una nebbia spessa, sarebbe stata speronata dal vapore Florida al largo del faro di Nantucket. In poche ore affondò.

Nella sua pancia novecento italiani, ma i morti furono solo quattro, grazie al concittadino Marconi. Per la prima volta nella storia venne lanciato il segnale radio di soccorso, che permise uno spettacolare salvataggio tra le onde gelate dell'Atlantico.

Con il 1909 la stagione dei record si concludeva, le paure dell'America e le guerre europee frenarono gli arrivi, finché nel 1924 il Congresso chiuse le porte con la legge sulle quote. Ellis Island, che era stata inaugurata nel 1892, rimase in uso fino al 1954. Ci passarono 12 milioni di persone e sono cento milioni gli americani che hanno almeno un antenato sbarcato qui. Poi tutto andò in malora. Ma come ci racconta Stephen Briganti, che ha guidato la riscoperta e la ristrutturazione dell'isola e la creazione del museo, aperto nel 1990, oggi quest'isoletta che guarda Manhattan da sud accoglie un numero di uomini e donne che fa impallidire ogni record. Sono i curiosi, i turisti, coloro che cercano le tracce dei loro avi, o si sforzano di capire cosa sono davvero gli Stati Uniti. Trenta milioni di persone sono scese dal traghetto negli ultimi quindici anni.