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Immigrazione: naufragio dell'Agenzia europea, Il Manifesto, 22/07/07

l'opinione
Immigrazione: naufragio dell'Agenzia europea
Fulvio Vassallo Paleologo

Gli sviluppi della vicenda dei 24 naufraghi, in maggioranza donne e bambini, che si erano ribellati al respingimento in acque internazionali verso un porto tunisino, dopo che i loro familiari erano stati salvati da un'unità italiana e condotti a Lampedusa confermano la disumanità delle operazioni di blocco in mare condotte su sollecitazioni di quei governi che, malgrado i morti ed i dispersi di queste settimane, vorrebbero dimostrare ai migranti come non sia «conveniente» salpare dalle coste africane per raggiungere l'Europa.
Il costo in vite umane e le tragedie familiari di queste politiche e di queste operazioni di polizia internazionali sono già ben noti a tutti, come è nota la sostanziale inefficacia delle politiche di contrasto a mare dell'immigrazione clandestina. I ventiquattro «pirati», perché così la stampa ha definito anche donne e bambini, che volevano raggiungere a Lampedusa i loro familiari, sono stati condotti a Sfax, un porto nel sud della Tunisia, e nel centro di detenzione nel quale si trovano neppure l'Acnur - Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati - ha potuto visitarli.
Le autorità italiane hanno acconsentito al respingimento sulla base dell'accordo bilaterale di riammissione con la Tunisia, e adesso c'è chi rischia una pesante incriminazione per il tentativo di dirottamento del peschereccio dal quale erano stati salvati. Tutti, compresi donne e bambini, rischiano trattamenti inumani e degradanti, almeno sulla base delle notizie che giungono sulle modalità adottate dalla Tunisia nei confronti dei migranti irregolari.
Si ripropone di nuovo la questione degli accordi bilaterali di riammissione, strumento tradizionale che, a partire dal 1998, ha consentito il respingimento e l'espulsione verso la Tunisia ed il Marocco, e poi verso l'Egitto e l'Algeria di centinaia di migranti generalmente privati della possibilità di fare valere i loro diritti fondamentali ed il diritto di asilo nei paesi, ritenuti «sicuri», verso i quali venivano allontanati.
Di fronte ai modesti risultati della «solidarietà comunitaria» nella «lotta contro l'immigrazione clandestina» si ritorna quindi a strumenti di cooperazione bilaterale che garantiscono forse una maggiore efficacia delle operazioni congiunte di polizia in acque internazionali o nelle cosiddette zone contigue alle acque territoriali. Le cronache di questi giorni ci confermano infatti il sostanziale «fallimento» dell'operazione Nautilus II organizzata dall'agenzia europea Frontex, anche per la mancanza di regole di ingaggio certe e condivise da tutti i paesi partecipanti, oltre che per il rifiuto della Libia di partecipare al pattugliamento congiunto delle proprie coste. In ogni caso, in assenza di interventi capaci di smantellare la rete criminale ed istituzionale che gestisce l'immigrazione clandestina nei paesi del nord Africa, le uniche vittime di questi interventi sono i migranti, respinti verso paesi che non riconoscono i loro diritti fondamentali, il diritto di asilo e neppure il diritto all'unità familiare.
L'accentuarsi della spirale repressiva accresce le fortune dei trafficanti ed il loro potere di ricatto. Non stupisce in questo quadro l'allarme dei magistrati che lamentano i limiti dei loro poteri di indagine nel contrasto delle organizzazioni criminali che dai paesi di transito gestiscono indisturbati il traffico e la tratta, fenomeni comunque da non confondere.
L'aspetto più preoccupante delle politiche comunitarie e nazionali in materia di immigrazione ed asilo è dunque la stipula di accordi di cooperazione, o di intese operative a livello di polizia, nella «lotta» all'immigrazione clandestina, da ultimo con paesi di transito come la Mauritania ed il Ghana. L'approccio dominante è sempre quello della «condizionalità migratoria»: in cambio di aiuti economici e di limitate possibilità di ingresso legale per i cittadini di quei paesi, si dovrebbe ottenere un maggiore impegno nell'arresto e nella successiva espulsione, o nel respingimento verso altri paesi dei migranti in transito, molti dei quali provenienti da lontano, spesso potenziali richiedenti asilo. Quanto avviene in queste settimane nel Canale di Sicilia è frutto della visione esclusivamente repressiva con la quale l'Ue e l'Italia hanno affrontato il problema delle migrazioni nel Mediterraneo.
Un'impostazione di chiusura indiscriminata delle frontiere marittime che, come è confermato dall'ultimo caso dei migranti «pirati» ricondotti a Sfax, si è scaricata immediatamente sui soggetti più deboli, i potenziali richiedenti asilo, le donne, i minori, le vittime di tortura, malgrado l'impegno di salvataggio delle unità della nostra marina militare.
* Associazione studi giuridici sull'immigrazione (Asgi)