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Curcio, trent'anni dopo "Così ho pagato il debito", di S.Mazzocchi, Repubblica 18/1/06

Una serata con il fondatore delle Br:
"La mia una vicenda politico rivol... tosa"
Curcio, trent'anni dopo
"Così ho pagato il debito"

di SILVANA MAZZOCCHI


Renato Curcio

MILANO - Una tranquilla serata di ordinario lavoro. Trent'anni dopo Renato Curcio è un manager che si dedica "a raccontare il mondo con sguardo diverso". E' il direttore editoriale di Sensibiliallefoglie, casa editrice lanciata nel '90 quando lui era ancora in carcere e poi in semilibertà. Da anni, del tutto libero, gira l'Italia con i soci-amici della coperativa e con i libri del catalogo. Vanno dove li chiamano e dove ritengono necessario andare; nelle città, ma anche nei paesini piccoli e isolati dove una libreria non l'ha mai vista nessuno. Per far "nascere i nostri libri tra i nostri potenziali lettori".

E interviene nelle sale affollate, in genere per ultimo, dopo autori e presentatori. Defilato, rispettoso delle collaborazioni e dei contatti che hanno reso solida l'attività di Sensibiliallefoglie e che la fanno prosperare. Tanto che ora la cooperativa va puntuale al Salone del libro di Torino e si prepara ad essere presente anche a Roma, alla manifestazione annuale delle piccole case editrici.

Curcio non parla del suo passato di ex capo delle Brigate rosse di prima generazione. E quando gli tocca citare il motivo che lo portò in carcere tanto tempo fa, lo definisce con qualche esitazione "una vicenda politico rivol... tosa" e si ha l'impressione che gli sia rimasta in gola la parola "rivoluzionaria. Il suo presente, invece, lo rivendica. "Ho pagato il mio debito con la società, tutto e fino in fondo. Eravamo ancora in carcere quando pensammo alla cooperativa, e allora volevamo soprattutto costruirci un lavoro. Ma adesso funziona, mi piace, ci piace e facciamo finalmente quello che ho sempre voluto fare". Trent'anni dopo quello che Curcio fa è dare visibilità a "quelli che sono considerati esuberi, alle persone senza voce".

Detenuti, immigrati, internati nei manicomi giudiziari, portatori di handicap. E vecchi. "Sì, vecchi che nessuno vuole, esuberi appunto che non servono e che devono restare invisibili". Annuncia il prossimo libro, "si chiamerà "Pannoloni verdi", abbiamo già un cantiere di lavoro che analizza la situazione degli anziani a Bologna". Usa volentieri il "noi": facciamo scegliamo progettiamo. E tiene alla coralità del lavoro, ai ricercatori e agli ex detenuti che, in squadra, hanno ormai fatto della coperativa la loro impresa e il loro futuro. "Facciamo analisi socionarrativa, vogliamo offrire un altro sguardo sul mondo raccontando storie".

Rifiuta l'enfasi e non gli piace la parola controcultura. Spiega i motivi con attenzione senza partire da sé; ha impiegato troppo tempo e fatica, dice, per uscire dalla "sovraesposizione" che il personaggio Curcio attirava su Sensibiliallefoglie, quando centinaia di persone si presentavano nelle sale soltanto per la curiosità d'incontrare il fontatore delle Brigate rosse. Tutt'altra cosa rispetto "al vero pubblico della casa editrice". Quello che permette alla cooperativa di sfornare almeno dieci titoli l'anno e di arrivare a vendere, con il sistema del porta a porta, anche settemila copie di un volume. Senza filtri, senza distribuzione, con i banchetti aperti nei luoghi dove si tengono le presentazioni, le mostre e i seminari promossi dal marchio. Oppure per posta e via internet. E, in seguito, attraverso la rete. "Il progetto è quello di abbandonare del tutto le librerie e creare una rete con i centri culturali, le biblioteche, i centro studi".
Ha 65 anni ormai, Curcio. E li porta bene; è persino più asciutto rispetto all'uomo delle foto storiche di trent'anni fa, l'eterno maglione scuro girocollo e i capelli corti e brizzolati che mettono in mostra il naso pronunciato.

Foto di un passato remoto, quando era il capo carismatico delle Brigate rosse, quelle delle azioni dimostrative e degli agguati ai funzionari della Fiat, ma anche dei primi rapimenti come il sequestro del magistrato genovese Mario Sossi. Veniva dai sogni ribelli del '68, Curcio; dal movimento studentesco di Trento dove aveva frequentato la facoltà di sociologia. All'inizio dei Settanta aveva fondato la stella a cinque punte insieme con Alberto Franceschini e con sua moglie, Mara Cagol, uccisa il 5 giugno del '75 alla cascina Spiotta, sulle colline di Acqui Terme durante un conflitto a fuoco tra brigatisti, che avevano rapito l'industriale Vallarino Gancia, e i carabinieri. Infine, il 18 gennaio del '76, esattamente trenta anni fa, era stato arrestato la seconda volta (nel febbraio dell'anno precedente era evaso dal carcere di Casale Monferrato grazie a un'azione guidata proprio da sua moglie Mara). Quel giorno venne intercettato a Milano, in un appartamento di Porta Ticinese. Lo condannarono all'ergastolo. Anche se non aveva mai ucciso nessuno, si portava addosso un fardello enorme di responsabilità per quella lotta armata che aveva già compiuto azioni e rapimenti e che presto avrebbe messo a ferro e fuoco il paese. Certo è che, dopo il suo arresto, le Br di seconda generazione alzarono il tiro e prese il via una massiccia escalation di attentati, ferimenti e omicidi. Fino alla strage di via Fani e all'uccisione di Aldo Moro, fino al feroce sbando successivo.

Il passato che non passa Curcio non l'affronta personalmente (dentro Sensibiliallefoglie lui si occupa di lavoro e di globalizzazione), ma lo fa tramite "il progetto memoria, una serie di ricerche che copre il periodo 1969-1989". La storia di tutte le sigle della lotta armata, i nomi di chi è rimasto sul selciato e quelli delle vittime uccise. "Adesso è in preparazione un libro sulle carceri speciali, sempre in quegli anni", informa. Un modo per non rimuovere il passato? Non raccoglie: "Ci sono molte tesi di laurea sull'argomento, sono ricerche importanti, utili. E del resto ciascuno di noi è tutto quello che ha vissuto".

Ore 21, sala Guicciardini, Milano. Sono presenti un centinaio di persone, operatori penitenziari soprattutto. Al tavolo un'avvocata, un criminologo, un rappresentante di Antigone, l'associazione che da anni si occupa di carcere e detenuti. Un paio di fotografi sparano raffiche di flash in faccia a Curcio. Viene presentato un volume fresco di stampa: "Mai. L'ergastolo nella vita quotidiana" di Annino Mele, ancora recluso. La cooperativa si batte da tempo contro l'ergastolo, "la pena delle pene". Curcio prende la parola per ultimo e dice di aver conosciuto Mele nel '77 nel carcere di Termini Imerese. "Con Annino abbiamo subito trovato un territorio comune; io venivo dall'Asinara e dalla mia vicenda politico rivol.. tosa. E lui da tutt'altro contesto, da Mamoiada. Era un pastore poverissimo". Sta in piedi Curcio mentre interviene. Ma conserva un tono dimesso, privo di enfasi. Riassume i motivi per cui Sensibiliallefoglie ha pubblicato il libro di Mele ed un po' la filosofia della casa editrice: "Cercare un'altra strada per contribuire ad abolire le istituzioni totali che tolgono la vita". Le elenca: "Il carcere, il manicomio giudiziario, sopravvissuto alla riforma Basaglia degli anni Settanta e 'atroci', i centri di permanenza temporanea, campi di concentramento per immigrati".

Curcio termina il suo intervento e gli applausi ci sono, ma misurati. Pari a quelli ricevuti dagli altri interlocutori. Solo i flash dei fotografi continuano a preferirlo. Lui si raccomanda di non trasformare tutto in intervista. "A 65 anni voglio affrontare la sfida di essere giudicato soltanto per quello che faccio ora. Per il resto ci sarà un'altra sede, quella del dibattito storico che potrà ricostruire quanto è successo". E lei, Curcio, a questo dibattito parteciperebbe? Sorride, "No".

(18 gennaio 2006)