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Continua la mobilitazione in solidarietà ai 7 pescatori tunisini, meltingpot.org, 18/09/07

Continua la mobilitazione in solidarietà ai 7 pescatori tunisini

di Fulvio Vassallo Paleologo - Università di Palermo

Lunedì 10 settembre 2007 sono stati finalmente scarcerati cinque dei sette pescatori tunisini che dallo scorso 8 agosto si trovavano nel carcere di Agrigento per avere salvato la vita a 44 naufraghi, nelle acque del Mediterraneo.
Restano agli arresti domiciliari i due comandanti, Abdel-Basset Jenzari e Kamel Ben Khlifa, dei motopescherecci Mohamed El Hedi e Morthada, mentre sembra che l’impianto accusatorio si vada trasferendo sul piano dei reati della navigazione.

L’emozione di avere visto cinque uomini liberi di tornare nella loro terra, alle loro famiglie, ci riempie di gioia, anche per la solidarietà che in questi giorni ha unito le due sponde del Mediterraneo.
I due comandanti, visibilmente provati dall’esperienza del carcere, continuano a ripetere di non pentirsi di quello che hanno fatto e che, ritrovandosi davanti a persone in pericolo di vita in mare, rifarebbero esattamente quello che hanno fatto, da diligenti ed onesti marinai, ottemperando a tutte le norme delle convenzioni internazionali sul diritto del mare.

La scarcerazione dei 7 pescatori tunisini, nonostante sia apparsa un atto dovuto alla luce delle risultanze dell’istruttoria dibattimentale, è stato un risultato dell’impegno del collegio della difesa e della vasta mobilitazione che si è registrata, anche a livello internazionale, attorno a questa vicenda, dopo che nelle prime udienze si era persino negata la possibilità di ascoltare la maggior parte dei testimoni proposti dalla difesa.

Nel riaffermare il valore costituzionale dell’indipendenza della magistratura, richiamiamo i principi fondamentali della presunzione di innocenza e del giusto processo, e per questa ragione, in attesa che il procedimento abbia il suo corso, se sarà necessario nei diversi gradi di giudizio, crediamo che anche i due comandanti vadano rimessi al più presto in libertà, nelle condizioni di rientrare a casa e riabbracciare i propri cari!
Ci chiediamo chi debba pagare per la ingiusta carcerazione preventiva e per le sofferenze materiali e morali che questi uomini, da molti in Italia ed all’estero definiti “eroi”, continuano a patire, in Tunisia senza strumenti per guadagnarsi da vivere, dal momento che i loro pescherecci sono ancora fermi a Lampedusa sotto sequestro, e in Italia ancora sottoposti a una misura cautelare che impedisce loro la prosecuzione dell’attività lavorativa!

Poniamo, inoltre, un altro interrogativo ai rappresentanti di governo: come mai il divieto di ingresso nelle acque territoriali è arrivato dal Ministero dell’interno mentre l’evento SAR era ancora in corso, prima ancora di accertare le reali condizioni di salute dei naufraghi e cosa sarebbe potuto accadere se l’intervento della Marina Militare Italiana fosse consistito nel trasbordo in alto mare dei 44 migranti sulle proprie imbarcazioni e si fosse provveduto agli accertamenti dell’identità dei pescatori tunisini in mare o a Lampedusa? Da questa vicenda è già derivato un effetto dissuasivo risvolto a tutte le unità civili che incontrano imbarcazioni cariche di migranti in difficoltà, un effetto che potrà costare in futuro centinaia di morti. Occorre un gesto politico che restituisca serenità a chi spende la propria vita lavorando sul mare. Occorre ribadire al più presto la non punibilità degli interventi di soccorso in favore dei migranti, ovunque avvengano, senza distinguere a seconda della loro nazionalità o status, esattamente come impongono le convenzioni internazionali.
E’ possibile continuare a mettere a repentaglio la vita di migliaia di migranti e il destino dei pescatori che lavorano duramente a mare in nome della sicurezza delle frontiere marittime? Quale sicurezza poteva essere violata dai 44 naufraghi salvati dai pescatori tunisini nel Canale di Sicilia?

Questa vicenda rischia di trasformarsi in uno squallido teatrino fatto di testimoni immigrati che dopo l’ordine di espulsione “scompaiono” attraverso trasferimenti repentini da un CPT all’altro, di testimonianze contraddittorie in tribunale da parte delle forze dell’ordine, di pseudo-giornalisti che alla vigilia della liberazione degli imputati gridano alla loro colpevolezza con particolari processuali che sembrano suggeriti ad arte!
Il messaggio politico di chi ha montato questa messa in scena è stato fin dal principio chiaro: i pescatori sono stati “minacciati” di gravi ritorsioni in caso di soccorso dei migranti in mare….

Quanto accaduto in queste settimane nel Canale di Sicilia è conseguenza diretta della impostazione meramente repressiva con la quale la legge Bossi Fini ha modificato l’art. 12 del T.U. sull’immigrazione, con la successiva emanazione del Decreto interministeriale 14 luglio del 2003, che ha ulteriormente confuso le responsabilità di salvataggio nella zona cd. contigua ai limiti delle acque territoriali.

chiediamo:

-  l’immediata cessazione delle misure cautelari nei confronti dei due comandanti delle imbarcazioni tunisine che dal 10 settembre 2007 si trovano agli arresti domiciliari presso un centro comboniano a Licata (Agrigento), per aver, insieme al loro equipaggio, salvato la vita a 44 migranti alla deriva 30 miglia al largo di Lampedusa lo scorso 8 agosto

-  l’immediato dissequestro delle imbarcazioni tunisine ancora bloccate nel porto di Lampedusa perché i pescatori possano riottenere gli strumenti di lavoro che servono loro per sopravvivere

-  il rispetto delle convenzioni internazionali che regolano il salvataggio in mare dei naufraghi e l’emanazione di norme chiare ed inequivoche sul primato del dovere di soccorso e di sbarco in "luogo sicuro"

-  il potenziamento degli interventi di soccorso dei migranti in fuga verso l’Europa ed il pieno riconoscimento del diritto d’asilo

-  la riconversione delle missioni Frontex finora strumento politico di repressione e morte per migliaia di migranti, in modo da ristabilire la assoluta priorità dei doveri di salvaguardia della vita umana .

-  l’abolizione delle norme introdotte dalla legge Bossi Fini basata sulla violazione dei diritti umani e civili e causa della clandestinità ed irregolarità dei migranti e del correlato Decreto interministeriale 14 luglio 2003

-  la chiusura dei Cpt e di ogni altro centro di detenzione etnica in quanto luoghi di non diritto e di clandestinizzazione

-  la revoca degli accordi di riammissione tra l’Italia e i paesi terzi per bloccare la politica della esternalizzazione delle frontiere e per impedire abusi di ogni genere sugli immigrati che vengono respinti o espulsi verso i paesi di transito

ASGI – Associazione Studi Giuridici sull’ Immigrazione
FTCR – Federazione Tunisina per una Cittadinanza delle due Rive
RAS - Rete Antirazzista Siciliana

Info e contatti:
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