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"Il mio portafoglio o sono guai", così è esplosa la giustizia fai da te, La Repubblica, 26/05/08

Gli aggressori stanno per essere identificati grazie alle foto scattate da un testimone
I fatti di via Ascoli Piceno e via Macerata hanno le stimmate del quartiere e della sua gente

"Il mio portafoglio o sono guai", così è esplosa la giustizia fai da te

di CARLO BONINI


<B>"Il mio portafoglio o sono guai"<br>così è esplosa la giustizia fai da te</B>

All'isola pedonale del Pigneto si è svolta ieri un'assemblea con gli immigrati del quartiere, i residenti e alcuni giovani dei centri sociali

A SENTIRE gli investigatori della Digos, è questione di ore. Poi, i quindici mazzieri del Pigneto avranno un'identità. Il tempo di completare il lavoro sulle foto scattate dal cellulare di una delle testimoni dell'aggressione. Il tempo di sviluppare le indicazioni ancora monche e reticenti di chi sostiene di aver riconosciuto almeno tre o quattro ragazzi che al Pigneto sono nati e cresciuti, ma che non ha saputo o non ha voluto andare oltre dei nomi di battesimo. E tutto questo con una certezza. I fatti di via Ascoli Piceno e via Macerata hanno le stimmate del quartiere e della sua gente. Di un italiano sulla cinquantina (l'uomo che ha organizzato e diretto l'assalto). Di un tale che si fa chiamare o comunque è conosciuto come "Mustafà". Perché se i testimoni non bluffano o non dissimulano i loro ricordi, questa storia con loro comincia e con loro finisce.

La miccia si mette a bruciare sabato mattina, intorno alle 10 e 30. Paul Sat, un commerciante indiano è nel suo negozio di generi alimentari in via Macerata. Con lui, come spesso accade, è Mustafà. Un maghrebino, a quanto pare, che si è messo a trafficare nel quartiere come non dovrebbe. I due vengono affrontati dal tipo sulla cinquantina, che l'indiano conosce bene per averlo visto spesso ciondolare in zona, ma di cui "giura" di non sapere o ricordare il nome. L'uomo è accompagnato da due ragazzi e ha modi spicci. Vuole indietro i soldi e i documenti contenuti in un portafoglio che gli è stato borseggiato forse nel negozio dell'indiano. Conosce o ritiene di conoscere il nome del ladro: Mustafà. Il quale, sempre a sentire l'indiano, farfuglia qualche scusa. I soldi non li ha più. Dei documenti si è liberato infilandoli in una buca delle lettere. Della risposta, l'uomo e i suoi due compari non sanno che farsene. Avvertono l'indiano e Mustafà che torneranno alle cinque di quello stesso pomeriggio. E se non salterà fuori la refurtiva, addio negozio.

Mustafà prende il largo e quando, alle cinque e mezza, Sat vede dal marciapiede la faccia di quel tipo italiano, capisce che le cose si mettono male davvero. Chiude in fretta e furia la saracinesca del negozio e se la dà a gambe nel primo portone che trova aperto sulla sua strada, mentre alle sue spalle, una quindicina di mazzieri con il volto coperto si dedicano prima alle vetrine della sua bottega, quindi ai battenti del portone dietro cui si è nascosto. Il lavoro di devastazione prosegue in via Ascoli Piceno. Il cinquantenne che li guida sa che Mustafà, spesso, ammazza il suo tempo tra il call center di un bengalese che di nome fa Islam Serajoul e il vicino bar gestito da un altro asiatico, tale Nasymoul Ghani. Naturalmente, Mustafà non è né al telefono, né al banco. Né nel vicino negozio di alimentari di proprietà di un cittadino del Bangladesh, Kabir Humayun.

Dunque, i mazzieri fanno a pezzi tutti e tre i locali.
La furia non dura più di cinque, dieci minuti. Nessuno, tranne una giornalista dell'Agi presente sul posto, sostiene di aver riconosciuto segni di svastiche. Tutti i testimoni, però, ascoltano distintamente le minacce e le grida che accompagnano il lavoro di mazze e spranghe, lo sganassone che investe Ghani. "Maledetti bastardi, ve ne dovete andare!".

Abbastanza per consegnare la vendetta a una dimensione xenofoba e di quartiere. Fascista per la qualità della violenza squadrista che è capace di esprimere e per i meccanismi che la scatenano. Abbastanza per aprire il tombino sulla rabbia che, da tempo, cova nelle strade del Pigneto e ne assedia la comunità di immigrati residenti. Colpevoli, per la legge della borgata, di non essere più capaci di rispettare le regole non scritte della convivenza. Quelle per cui, se sparisce qualcosa - un portafoglio, un motorino, una macchina - e quel qualcosa appartiene alla gente del Pigneto, allora deve essere restituita al legittimo proprietario.

Del resto, che il raid di quarantotto ore fa non sia un misterioso fungo velenoso cresciuto all'improvviso nella quiete di un quartiere felicemente multietnico è storia che bene documentano gli archivi della Questura. Via Ascoli Piceno è stata, per mesi, la strada di una moschea senegalese cui il Pigneto aveva dichiarato guerra. Per la "puzza e il casino che fa quella gente", dicevano. E il bar di Nasymoul Ghani, devastato sabato, era già stato preso di mira da una serie di esposti di commercianti della zona. Volevano liberarsene perché - sostenevano senza che l'accusa avesse mai trovato riscontro - tra i suoi tavolini era fiorito un mercato dello spaccio. Non ci erano riusciti. Ci hanno pensato i mazzieri.