di Patrizio Gonnella
E’ nata a Bari, su iniziativa del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, l’Agenzia regionale di promozione del lavoro penitenziario. Alla presentazione pubblica avvenuta nei giorni scorsi c’erano il capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta, il direttore dell’Ufficio detenuti e trattamento Sebastiano Ardita in rappresentanza del Ministero della Giustizia e il sindaco Michele Emiliano in rappresentanza dell’amministrazione comunale barese. Il Comune di Bari ha stanziato 23.000 euro per il primo progetto da avviarsi nella casa circondariale cittadina.
Un impegno in tal senso è stato assicurato anche dalla regione Puglia. I fondi comunali dovrebbero favorire l’avvio di una attività connessa alla raccolta differenziata dei rifiuti. L’intenzione è quella di impiegare un certo numero di detenuti in lavori socialmente utili. “Un progetto che risponde ad uno dei due compiti fondamentali del sistema penitenziario che è chiamato a custodire le persone pericolose e a reinserirle nella società” ha spiega Franco Ionta.
I dati sul lavoro penitenziario sono infatti particolarmente allarmanti: lavora una percentuale di detenuti molto bassa. Oltre i quattro quinti della popolazione reclusa non è impegnata in alcuna attività lavorativa e versa in una condizione di ozio forzato. L’85% dei detenuti lavoranti è inoltre alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria e non di imprese private. Tutto ciò nonostante vi siano leggi che assicurano la defiscalizzazione degli oneri sociali e il versamento di contributi per quelle aziende dei settore profit o non profit che intendano localizzare in carcere pezzi di produzione di beni o di servizi.
I numeri del lavoro penitenziario quindi non sono del tutto rassicuranti. Scandagliando quei numeri si va poi a vedere che i lavori nei quali i detenuti sono impiegati sono solo quelli di amministrazione domestica (pulizie, cucina, manutenzione del fabbricato). Una buona parte dei detenuti lavoranti ha contratti part-time. Infatti al fine di coinvolgere il maggior numero di persone in attività significative e remunerate, i direttori delle carceri usano distribuire quel poco lavoro tra più persone possibili. Per cui si lavora un’ora al giorno o per poche ore a settimana.
L’iniziativa presa dal Dap, nonché organizzata su scala regionale, dovrebbe proprio servire a rimettere in moto offerte private per avviare lavorazioni interne agli istituti di pena. A Bari è stato annunciato dal Dap un credito d’impresa di 516,46 euro mensili per chi assume persone in esecuzione penale. Uno dei motivi per cui è difficile trovare lavoro è l’etichettamento sociale negativo che non aiuta i detenuti a trovare collocazione nelle imprese durante o dopo la fine della pena. In una recente ricerca del Forum Nazionale dei Giovani, presentata ieri alla Camera dei Deputati, è stata svolta un’indagine sulla conoscenza e sulla rappresentazione che i giovani hanno del sistema penitenziario e della sua funzione sociale. L’inchiesta è consistita in mille interviste telefoniche a ragazzi tra i 18 e i 32 anni. La percezione quasi unanime di questi ragazzi è contraria alla realtà. Secondo loro nelle carceri italiane a tutti i detenuti verrebbe offerta una opportunità di lavoro o di formazione professionale. Alla domanda su quali siano a loro parere i problemi maggiori che i detenuti hanno in carcere nessuno degli intervistati ha risposto l’assenza di lavoro. Eppure questa è la condizione reale di quasi tutti i reclusi.