I migranti vanno all'Onu Per la prima volta, una sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni unite sarà dedicata al tema dell'immigrazione. Parteciperanno 120 governi e 90 ministri Gianna Pontecorboli Immigrazione, oggi, significa una barca carica di disperati che cerca di raggiungere le coste della Sicilia, della Spagna o della Florida. Ma significa anche l'imprenditore cinese che apre una fabbrica in Algeria, la rifugiata somala che diventa una top-model per Vogue, il medico di Manila che occupa uno dei posti di lavoro vacanti in un ospedale inglese. Negli ultimi anni, l'immigrazione è diventata un fenomeno multiforme, che sfida gli stereotipi e i preconcetti. E che soprattutto non trova più una risposta adeguata nelle vecchie formule e nelle vecchie soluzioni. Proprio per queste ragioni, il vertice che si aprirà oggi al Palazzo di Vetro e che sarà dedicato ad un dialogo ad alto livello su «immigrazione e sviluppo» promette di essere uno degli eventi più significativi dell'Assemblea generale iniziata ufficialmente martedì all'Onu. Richiesto dall'Assemblea due anni fa e preceduto da un rapporto del segretario generale Kofi Annan che è stato pubblicato a maggio, il summit sarà una «primizia» a cui parteciperanno circa 120 governi e novanta ministri. Per l'Italia arriverà a New York il ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero, che parlerà dal podio dell'Assemblea il 15 settembre, giornata finale del vertice, e incontrerà diversi colleghi. Gli obbiettivi del raduno, che avviene in un momento in cui non solo Italia e Spagna, ma anche gli Stati Uniti sono alle prese con la necessità di dare una nuova risposta legislativa alla questione, sono ovviamente ambiziosi. Secondo i calcoli, vi sono oggi al mondo 191 milioni di persone che vivono in un paese diverso da quello in cui sono nate. Di questi quasi 200 milioni, che rappresentano il tre per cento della popolazione mondiale, circa un terzo si è spostato da un paese in via di sviluppo a uno sviluppato, ma un terzo ha preso la strada opposta e un altro terzo si è mosso da un paese sviluppato a un altro. Le mete sono soprattutto gli Stati Uniti, l'Australia e il Canada, ma anche, in misura crescente, l'Europa, che nel complesso è al primo posto con 64 milioni di immigrati nel 2005. Rispetto al passato, i flussi sono cambiati. Paesi come l'Italia, l'Irlanda, la Spagna e perfino la Cina, che hanno dato al mondo milioni di emigranti, sono oggi diventati mete di nuovi arrivi. Dopo la caduta del Muro di Berlino e l'allargamento dell'Ue, i paesi dell'Europa dell'Est, in special modo Romania e Polonia, sono balzati al primo posto nell'immigrazione tra i paesi che fanno parte dell'Organizzazione per la cooperazione e lo Sviluppo, mentre la Russia ha dovuto aprire le sue frontiere a quasi mezzo milione di lavoratori temporanei provenienti dalle nuove repubbliche nate dallo smembramento dell'Unione sovietica. L'idea, adesso, è di studiare con una discussione collettiva, multilaterale e bilaterale, il modo migliore per rendere il fenomeno migratorio benefico per tutti. «Stiamo imparando solo ora come far sì che le migrazioni favoriscano consistentemente lo sviluppo», ha spiegato Kofi Annan, «ognuno di noi ha un pezzetto del puzzle, ma nessuno ha l'intero quadro. E' venuto il momento di mettere insieme i pezzi». Che i movimenti di popolazione servano a tutti non c'è dubbio. Senza gli immigrati diventerebbe ancor più difficile per i paesi sviluppati superare il problema dell'invecchiamento della popolazione e della crisi dei sistemi pensionistici. E milioni di posti di lavoro rimarrebbero non occupati. Le rimesse degli emigrati, d'altra parte, hanno fatto giungere nei paesi d'origine 173 miliardi di dollari nel 2005, e hanno fornito un indispensabile ossigeno ai consumi e allo sviluppo locali. I problemi, però, restano. Solo per fare un esempio, gran parte dei paesi dell'Europa Occidentale, a cominciare dalla Gran Bretagna, hanno bisogno già adesso, ma ancor più avranno bisogno in futuro di medici e infermieri. L'esodo del personale sanitario qualificato, però, lascia l'Africa indifesa nel combattere l'Aids. In un'epoca in cui i contatti degli immigrati con il paese d'origine sono diventati più facili e più economici, per di più, la discussione sull'integrazione dei gruppi etnici nelle culture dei paesi di arrivo non ha ancora offerto a nessuno le soluzioni soddisfacenti. Adesso, per la prima volta, il dibattito è arrivato all'Onu. Per cercare, tutti insieme, di mettere qualche pezzetto del grande puzzle al posto giusto.