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Foggia, migranti e giovani in piazza contro il lavoro nero e il caporalato, Liberazione, 22/10/06

Riuscita la manifestazione nazionale indetta da Cgil, Cisl e Uil per dire no alla tratta di esseri umani. Presenti il ministro Ferrero e il segretario del Prc Giordano

Foggia, migranti e giovani in piazza contro il lavoro nero e il caporalato


 
Andrea Milluzzi
Foggia nostro inviato
Il primo colpo d’occhio è per i migranti. Il secondo è per i giovani. Sono tantissimi in piazza a Foggia, insieme fanno più dei due terzi dei 30mila dichiarati da Cgil, Cisl e Uil accorsi per la manifestazione nazionale contro il lavoro nero e il caporalato. In fondo questo appuntamento è più per loro che per tutti gli altri. Perché loro, giovani e migranti, sono allo stesso tempo le vittime di questo sfruttamento e il futuro dell’Italia. Nonostante il precariato e la Bossi Fini, i grandi imputati del processo svolto ieri a Foggia.

“No al lavoro nero, dignità al lavoro” è lo striscione (scritto in italiano, rumeno, polacco, ucraino e arabo) che apre i due cortei della manifestazione, uno per chi arriva dalla direttrice adriatica, partenza dalla Fiera di Foggia, l’altro per quelli del versante tirrenico, per i foggiani e per i manifestanti della Capitanata. Già, la Capitanata, quel luogo che a 50 anni di distanza dall’opera e dall’insegnamento di Giuseppe Di Vittorio è tornato agli onori della cronaca nera, perché nero è il colore del lavoro nei campi. Nero, come la pelle degli immigrati reclutati in piazza per due lire e trasportati nei campi dove di giorno si lavora e di notte si dorme, ammassati nei vecchi casolari lontani dagli occhi e dalla coscienza di molti; nero come il buio che avvolge il destino di molti di loro, in alcuni casi addirittura scomparsi senza lasciar traccia, come i lavoratori polacchi di quest’estate. Da qui, dalla Capitanata, è partita l’inchiesta di Fabrizio Gatti per l’Espresso, qua sono giunti il 9 ottobre scorso i 7 parlamentari delle commissioni lavoro di Camera e Senato, prima Medici senza frontiere e poi le forze dell’ordine, per quantificare un fenomeno dalle cifre spaventose e comunque incomplete: il 60% dei braccianti è risultato essere senza contratto, dei 770 (su 2mila) lavoratori stranieri intervistati da Medici senza frontiere non ce n’era uno che avesse un contratto di assunzione e nemmeno un posto dove dormire. «Sai come recitava un detto antico delle nostre parti? Se muore un bracciante non è morto nessuno», osserva amaramente Angelo Leo, sindacalista della Cgil di Brindisi, mentre i due cortei confluiscono in piazza Cavour dove si terranno i comizi finali. E pensare che «se passi in bicicletta davanti ai campi li vedi, questi lavoratori. Sono tutti di colore, qualche domanda ti verrà pure in mente - riflette Gino, in sella alla sua bicicletta - ma questo è classico della mentalità di qua, dove tutti hanno il secondo lavoro al nero, escono dalla fabbrica la mattina e vanno a fare l’idraulico di pomeriggio, vanno in pensione e si trovano un altro lavoro. Io ho 64 anni, lo so che quello che conta per loro è solo fare soldi».

Ma lavoro nero e caporalato non sono un problema specifico di Foggia o della Puglia. Qua assume connotati e dimensioni da prima pagina, è vero, ma la ferita è profonda ed estesa. Non è un caso che la manifestazione sia stata nazionale, che tutte le segreterie sindacali confederali fossero presenti, che anche esponenti del governo, come il ministro della solidarietà sociale Paolo Ferrero, la sottosegretaria al Lavoro, Rosy Rinaldi, e quella alle pari opportunità Donatella Linguiti, non abbiano mancato di essere sul palco. Spicca un po’ l’assenza degli esponenti politici, di conseguenza risalta più la presenza di Franco Giordano, unico segretario di partito, Rifondazione comunista, presente. Il ministro del Lavoro Damiano, ha fatto pervenire un messaggio in cui dice di condividere «assolutamente i contenuti». «Oggi Foggia è la capitale d’Italia contro il lavoro nero» risuonano i megafoni dal palco fra una canzone dei Black Eyed Peas e un’altra di Carmen Consoli. E all’avvicinarsi dei cortei si leggono gli striscioni di Treviso, Padova, Firenze, Napoli, Ascoli, Salerno, dell’Umbria. «Ma come possiamo considerarci un Paese democratico se i lavoratori vengono sfruttati e in alcuni casi si arriva addirittura all’eliminazione fisica?» si chiede retoricamente Antonino, della Filca di Roma. E verrebbe da dire che non ha proprio tutti i torti, ascoltando i racconti di Dyop, giovane senegalese, bandana della Cgil al collo, in prima fila ad ascoltare gli interventi dal palco: «Io faccio il venditore ambulante, ho provato a cercare un lavoro migliore ma senza il permesso di soggiorno non vai da nessuna parte. Ti possono anche prendere per 5 giorni, come è successo a me, per poi scappare alla vista dei finanzieri, perdendo soldi e lavoro». Ti può andar meglio, ma non troppo meglio: «Anche io faccio il venditore ambulante, ma ho un amico che lavora in Capitanata - racconta un amico di Dyop che non vuole essere citato in alcun modo - lui viene pagato, poco, ma viene pagato. E visto che è bravo lo hanno preso e messo a dormire nei casolari, così per un po’di tempo lavora». Il rimedio? «Qua ci vogliono la testa e le gambe del sindacato, che deve tornare nei luoghi di lavoro - osserva Angelo Leo - poi sarebbe necessario anche un salto culturale degli imprenditori che dovrebbero scegliere se fare il loro mestiere o se fare i neo-schiavisti. Infine, le istituzioni che devono intervenire senza ipocrisia. La regione Puglia ha appena varato un’ottima legge, ma non deve rimanere isolata». A proposito della Regione, il presidente Nichi Vendola è il primo a entrare in piazza Cavour e il provvedimento della sua giunta, approvato giovedì, viene ricordato dagli interventi di tutti i leader sindacali, salutato ogni volta da fragorosi applausi della piazza: «E non ci fermeremo qua - assicura Vendola a Liberazione alla fine della manifestazione - perché stiamo lavorando sul lato dei diritti ai migranti, a cominciare da quello alla cittadinanza e alla sanità. E’ questa piazza che lo chiede. E voglio ringraziare i sindacati che si sono dimostrati ancora una volta un presidio decisivo per la civiltà e la dignità dei lavoratori». La piazza e il palco chiedono anche altre cose alla politica: l’abrogazione della legge Bossi Fini e la creazione di un’inchiesta parlamentare sul lavoro. «Faremo entrambi, perché quello fatto fino adesso, seppur giustissimo e positivo, ancora non basta e perché entrambe sono nel programma dell’Unione - assicura Ferrero - Purtroppo, come si è visto nella discussione sul 18 bis, nel governo ci sono resistenze e un eccesso di timidezza rispetto alle urla della destra. Io credo invece che abbiamo bisogno di una politica netta che sancisca la regolarizzazione consensuale fra datore di lavoro e lavoratore. Fra l’altro, si parla tanto di lotta all’evasione e questo sarebbe un provvedimento a costo zero che farebbe recuperare allo stato i soldi evasi da questi imprenditori che ricorrono al lavoro nero e allo schiavismo». Per Luca Nigro, del Prc Puglia, «un’altra politica dell’agricoltura e dell’immigrazione passa per un’altra politica del lavoro».

Sul palco intanto si alternano al microfono i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil e tre lavoratori e lavoratrici che raccontano esperienze di precarietà. Dal pubblico impiego alla vicenda della New Ortis, dove ai licenziati non è stata riconosciuta nemmeno l’indennità di disoccupazione, il filo conduttore del lavoro è lo stesso: «La compressione dei diritti accomuna tutti, il migrante sfruttato e i lavoratori italiani precari e privati dei diritti - tuona Guglielmo Epifani - e allora permettetemi di lanciare un messaggio a coloro che in questo momento sono riuniti a Vicenza (le destre e alcuni imprenditori, Ndr): qua a Foggia c’è la parte sana del Paese, ascoltate il messaggio che viene da questa piazza, uscite dai troppi silenzi che caratterizzano il mondo delle imprese». Il segretario della Cgil leggerà alla fine la lettera inviata per l’occasione da Baldina Di Vittorio, ascoltata in silenzio e poi applaudita da tutta la piazza. La manifestazione finisce qua, con la gente che torna a casa e gli extracomunitari che tornano ai loro banchini ambulanti, chi lo possiede, o a nascondersi in attesa di svegliarsi all’alba per l’ennesima volta, andare in piazza ed aspettare il caporale di turno che, sperano, farà guadagnare loro il pane per un altro giorno. Per quanto tempo ancora?