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Schiavitù, «Armonizzare le leggi, permessi a tutti i migranti sfruttati", Liberazione, 19/11/06

Contromafie e il workshop
sulla tratta degli esseri umani

Schiavitù, «Armonizzare

le leggi, permessi

a tutti i migranti sfruttati»


 

Laura Eduati

Qual è la differenza tra uno scafista che si limita a traghettare un migrante dalla Libia a Lampedusa e un’organizzazione criminale che obbliga le straniere a vendersi sulla Salaria? E quale invece la differenza tra i magnaccia e un imprenditore in giacca e cravatta che impiega lavoratori irregolari in nero, 14 ore al giorno per 200 euro al mese?

A prima vista, nessuna. Eppure per la legislazione italiana appartengono a categorie diverse. Il primo, lo scafista, si macchia del reato di immigrazione clandestina - e se è incensurato, o è così bravo da utilizzare diversi alias - può cavarsela con qualche mese di galera. I secondi, i magnaccia, rientrano nella tratta degli esseri umani - reato ben più grave e per questo affidato alle Direzioni distrettuali antimafia. Il terzo, l’imprenditore, è il più fortunato: si becca una sanzione pecuniaria, e se dava lavoro ad almeno 4 clandestini rischia la chiusura dell’azienda per un mese. Il carcere invece è destinato ai “caporali”, le figure che rimediano i lavoratori alle aziende. Le vittime sono sempre loro: i migranti spremuti a tutti i livelli della catena, dalla partenza all’arrivo.

Eppure il permesso di soggiorno speciale previsto dall’art.18 del Testo Unico sull’immigrazione viene garantito quasi esclusivamente alle donne sfruttate sessualmente, e ora, grazie al ddl approvato venerdì dal Consiglio dei ministri, ai lavoratori supersfruttati e maltrattati come i raccoglitori di pomodori finiti nel tremendo reportage di Fabrizio Gatti. «Che bisogno c’era di definire ancora i confini dell’art. 18?», si chiede il gruppo di lavoro che ieri ha discusso di tratta degli esseri umani all’interno di Contromafie, la tre giorni organizzata da Libera.

Terza attività più redditizia per le mafie dopo la droga e le armi, la tratta in Italia coinvolge dalle 27mila alle 54mila persone (dati Transcrime 1996-2002, ndr), per la maggior parte donne destinate al mercato del sesso. Il catalogo dell’offerta è lungo: mogli ordinate via Internet, colf, ballerine costrette a soddisfare i clienti, raccoglitori di frutta e verdura, lavoratori da impiegare in cantieri, ristoranti, cave, laboratori; neonati per coppie sterili, minori da sfruttare per l’elemosina o da vendere ai pedofili, traffico di organi. Chi si ribella viene picchiato. Oppure fatto sparire.

Magistrati, associazioni e sindacati concordano: l’art.18, che garantisce un percorso di inserimento sociale e lavorativo al migrante desideroso di uscire dalla schiavitù, è uno degli strumenti legislativi più all’avanguardia del mondo. Ma la sua applicazione zoppica. Come nel caso dell’espulsione immediata di una prostituta senza documenti, oppure la reclusione in un Cpt senza la possibilità di contattare le associazioni.

In alcune zone d’Italia invece viene esteso ai migranti disabili costretti all’accattonaggio (come a Milano), a richiedenti asilo appena sbarcati (come a Lecce) o a stranieri costretti a lavorare 12 ore al giorno nei cantieri per salari da fame. Insomma, è possibile. Per la maggior parte delle questure lo straniero sfruttato deve conquistarsi il permesso di soggiorno denunciando lo schiavista - mentre la legge non lo prevede necessariamente.

Complica lo scenario la furbizia degli sfruttatori, che limitano la ribellione dividendo i proventi con gli schiavi - che per bisogno o ricatto psicologico rifiutano il programma di protezione. «Molte prostitute non si percepiscono più come vittime, eppure per loro va comunque accordato l’art. 18, e i loro sfruttatori puniti in base alla legge antitratta del 2003» dice Deborah delle Cave del Cnca.

Prodi pare intenzionato a seguire l’esempio di altri Paesi europei, e tenere chiuse le frontiere ai cittadini bulgari e rumeni che dal 1 gennaio entrano a far parte dell’Unione Europea. L’allarme: non potranno più accedere al programma di inserimento sociale, perché non più extracomunitari - ma nemmeno cittadini a pieno titolo.

«Il nuovo governo non deve dividere i problemi a compartimenti stagni: l’esercito a Napoli, lo schiavismo in Puglia, il permesso speciale ai raccoglitori di pomodori», ammonisce il responsabile immigrazione della Cgil Pietro Soldini. «Tutto fa parte della precarizzazione e dell’aumento del lavoro nero». Soldini apprezza il nuovo ddl, ma avverte: «Accordare il permesso di soggiorno ai soli lavoratori supersfruttati fa passare l’idea che la badante in nero è tollerabile».