Free cookie consent management tool by TermsFeed Policy Generator 28 marzo 1997, la Kater I Rades speronata affonda, 100 morti, Il Manifesto, 27/03/07

28 marzo 1997, la Kater I Rades speronata affonda, 100 morti, Il Manifesto, 27/03/07

Cimiteri marini Dieci anni fa l'affondamento di una carretta di profughi in fuga dall'Albania
28 marzo 1997, la Kater I Rades speronata affonda, 100 morti
Al di là dei fatti accaduti «a mare» resta ancora adesso tutta quanta la responsabilità, oggettiva e politica, del governo di allora - il primo governo di centrosinistra - per il cosiddetto «pattugliamento navale». E fu subito un rimpallo di responsabilità
T. D. F.
In un clima di isteria contro gli albanesi che arrivavano con le carrette a mare, con la Lega Nord - ben rappresentata da Irene Pivetti allora a capo del parlamento - che chiedeva espressamente di sparare sulle navi dei profughi e di ributtarli a mare, il 28 marzo del 1997 una nave militare italiana speronò in acque internazionali la carretta del mare Kater I Rades, provocandone l'affondamento con la morte di oltre cento persone, molte delle quali donne e bambini. Fuggivano tutti dalla guerra civile che era scoppiata in Albania contro il fallimento delle Piramidi finanziarie e il premier Sali Berisha che le aveva promosse.
La Sibilla era tra le navi italiane impegnate in un «blocco» deciso dal governo Prodi in accordo con quello albanese di Sali Berisha senza l'assenso del parlamento e senza che ancora fossero conosciute le regole d'ingaggio delle forze militari impegnate nell'operazione di «respingimento e dissuasione» dei profughi albanesi in fuga. La versione dei fatti fornita dalla Marina militare apparve subito lacunosa. Risultò che la Sibilla si era avvicinata al cargo albanese che era in evidenti condizioni precarie di navigazione, nonostante il mare mosso, per «consigliare» con un megafono all'imbarcazione di tornarsene in Albania. Nelle condizione del mare a forza cinque, una nave militare delle dimensioni e della stazza della Sibilla era tenuta a rispettare una distanza di sicurezza di almeno cento metri. Cosa che naturalmente non avvenne.
Al dilà dei fatti accaduti «a mare» resta ancora adesso tutta quanta la responsabilità, oggettiva e politica, del governo di allora per il «pattugliamento navale» e la finalità per la quale era stato organizzato. Fu subito un rimpallo di responsabilità. Colpa di Andreatta alla Difesa? No, colpa di Napolitano agli Interni che, con il decreto d'emergenza e le espulsioni, aveva messo in moto il meccanismo del blocco navale. Una cosa sola fu certa: quelle misure vennero prese da tutto il governo. Il primo governo di centrosinistra, con i Ds (allora Pds) in posizione dominante, si era messo d'accordo con un personaggio impresentabile come Berisha, per un blocco navale e per l'invio di una forza militare che intanto lo sostenesse. Un «muro» di navi da guerra, dinanzi alle coste albanesi per interdire la navigazione ai profughi diretti verso l'Italia, deciso senza mandato parlamentare, con l'opposizione di forze della maggioranza di governo come Rifondazione comunista (tutta, ancora non c'era stata la rottura) e i Verdi. E con l'aperta ostilità dell'Alto commissario Onu per i rifugiati , Fazlum Karim. Ecco l'humus da cui prese le mosse la Bossi-Fini. E pensare che il governo italiano, replicando al rappresentante dell'Onu, aveva escluso l'esistenza del blocco navale.
Nel marzo di due anni fa, si concludeva al Tribunale di Brindisi il processo in primo grado sull'affondamento della Kater I Rades. Otto anni per giungere ad una sentenza salomonica con cui l'albanese Namik Xhaferi - ora contumace -, pilota della nave albanese veniva condannato a quattro anni di reclusione e Laudadio Fabrizio, comandante della Sibilla, condannato «in solido con il ministero della difesa, in persona del Ministro protempore» a tre anni di reclusione.
Nella sentenza veniva ordinato anche il dissequestro e la restituzione allo stato albanese della Kater I Rades, il cui relitto venne recuperato nell'ottobre del 1997 ed è sempre lì alla stazione radiotelegrafica della Marina all'imboccatura del porto di Brindisi. Alla sentenza gli avvocati dei familiari delle vittime hanno subito proposto appello tra febbraio e marzo 2006. E' passato un anno ma purtroppo la Corte di Appello di Lecce ancora non ha fissato l'udienza, generando ancora di più sfiducia nell'operato della magistratura e sospetti sulle pressioni politico-militari che hanno pesantemente condizionato tutto l'iter processuale.