Free cookie consent management tool by TermsFeed Policy Generator Dalle imprese di stranieri trentamila posti di lavoro, Metropoli, 18/04/07

Dalle imprese di stranieri trentamila posti di lavoro, Metropoli, 18/04/07

Dalle imprese di stranieri trentamila posti di lavoro

 Sono 230mila, crescono con un ritmo 10 volte superiore alla media e si occupano perlopiù di commercio e costruzioni. Sono le aziende di stranieri in Italia secondo il rapporto Comportamenti finanziari in una società multietnica realizzato da Nomisma con Unioncamere, Crif e Adiconsum. Chi si mette in proprio è maschio, fra 25 e 45 anni, ed ha principalmente clienti italianidi Pierpaolo Poggianti

ROMA - Sono arrivate a sfiorare quota 230mila, crescono con un ritmo dieci volte superiore alla media nazionale, sono guidate da giovani e si occupano principalmente di commercio e costruzioni. E' questo il quadro delle aziende create in Italia da imprenditori immigrati, tracciato nel rapporto "Comportamenti finanziari in una società multietnica" realizzato da Nomisma con la collaborazione di Unioncamere, Crif e Adiconsum. Una situazione che nel breve periodo potrebbe portare a risultati sorprendenti con investimenti attorno ai quattro miliardi di euro e un aumento dei posti di lavoro di circa 30 mila unità.

La fotografia, scattata dall'istituto di studi economici, evidenzia una crescita particolarmente accelerata del fenomeno negli ultimi anni con un avvio delle attività che ha cominciato a crescere a ritmi sostenuti a partire dal 2000 per arrivare ad esplodere nel 2005. L'aumento del 2006 rispetto all'anno precedente è del 12%, una cifra molto superiore al dato complessivo nazionale fermo a poco più dell'1%.

Chi sceglie di mettersi in proprio è maschio, ha tra i 25 e i 45 anni, un buon livello di istruzione ed ha, principalmente, clienti italiani. Ma la scelta di essere imprenditori, secondo quanto emerge dall'indagine, viene fatta diversi anni dopo l'arrivo: in un caso su cinque, infatti, l'imprenditore è arrivato prima del 1990.

A ritardare la scelta di lavoro autonomo sembrano esserci non solo le difficoltà di integrazione e ambientamento, ma anche la necessità di mettere da parte qualche risparmio per sostenere le spese iniziali. Dal punto di vista delle risorse, infatti, il dato più singolare è il ricorso all'autofinanziamento, che risulta la modalità prevalente per avviare l'attività, circa il 70%, ben lontana dalla richiesta di soldi fatta alle banche (15%) che viene, in questa classifica, superata anche dagli aiuti provenienti da amici e parenti (16%).

Si parte come dipendenti, quindi, e poi, raggiunta una certa somma, si prova la via del lavoro autonomo. Il ricorso al credito varia significativamente a seconda dell'origine: più propensi a ricorrere alle banche gli imprenditori provenienti da Stati dell'Est Europa o dell'Africa, mentre ricorrono a risorse proprie o di parenti, in particolar modo, i cittadini di origine cinese.

In tutto questo scenario, il rapporto con le banche si presenta ancora in chiaroscuro. Se da una parte gli istituti cercano, con offerte mirate, di introdurre nel proprio sistema clienti con disponibilità economiche sempre più interessanti, dall'altra la richiesta di servizi è ancora lontana dalla complessità delle proposte finanziarie ed è rivolta, principalmente, alle funzioni più semplici della banca, come il prelievo di denaro o il suo trasferimento, magari al Paese d'origine. In ogni caso, due richieste di prestito su 3 vengono accolte, per un valore medio attorno ai 34mila euro.

Anche sul rapporto tra rimesse e imprenditori emergono cose interessanti. Gli imprenditori stranieri, infatti, scelgono di destinare solo una minima parte dei guadagni all'invio di denaro oltre confine, preferendo investire nella propria attività, una scelta che presenta diversi vantaggi. In questo modo, infatti, non solo migliora la condizione del lavoratore, che riesce a rafforzare la propria situazione economica e quindi sociale. Ma ne trae beneficio anche il Paese che accoglie, considerando che guadagnare di più vuol dire, per lo Stato, costare meno in termini di servizi sociali.