Free cookie consent management tool by TermsFeed Policy Generator Veltroni: "Né di destra, né di sinistra la legalità è un diritto", La Repubblica, 08/05/07

Veltroni: "Né di destra, né di sinistra la legalità è un diritto", La Repubblica, 08/05/07

Il sindaco di Roma risponde al nostro lettore: così si sta dalla parte dei deboli
"Invocare la legalità non è politacamente scorretto". Moltiplicare gli strumenti di integrazione per chi rispetta la legge

Veltroni: "Né di destra, né di sinistra la legalità è un diritto"

di WALTER VELTRONI

ROMA - Caro direttore, Repubblica ha ospitato ieri in prima pagina la lettera di una persona di sinistra, colta, attenta a quel che avviene nella sua comunità, che insegna alle sue figlie i valori della tolleranza e della nonviolenza, e che al tempo stesso non ne può più dei reati compiuti dagli immigrati (e ovviamente non solo da loro) e chiede sicurezza, pretende legalità, vuole che chi sbaglia paghi. Qualcuno vede in questo una contraddizione? Un uscir fuori dai binari del "politicamente corretto"? Se fosse così questo qualcuno sarebbe a mio avviso fuori strada, o meglio: sarebbe fermo a schemi che il nostro tempo, e la vita vera delle persone, si sono incaricati di superare.

La legalità non è di destra o di sinistra. La legalità non ha, e non deve avere, colore politico. E' un diritto fondamentale dei cittadini, e chiunque è al governo di una comunità sa che assicurarne il rispetto è un suo compito, un suo dovere. Soprattutto oggi, perché ogni persona che abbia occhi per vedere e orecchie per sentire percepisce che effettivamente, nella nostra società, le braci dell'insicurezza e della diffidenza verso gli stranieri rischiano di trasformarsi in un incendio di intolleranza e poi di odio, di chiusura e poi di esclusione. Quanto di più assurdo e pericoloso per la convivenza di tutti. E' il paradosso di un tempo globalizzato: riemergono barriere e conflitti di identità, religiosa o etnica. E' il rischio che dobbiamo evitare.

Cosa fare, dunque. Si evitino, intanto, le facili polemiche, i tentativi di cavalcare i problemi per fini di parte, per avere dei piccoli tornaconti dopo aver alimentato le paure dei cittadini. Una volta fatto questo, c'è secondo me un duplice atteggiamento da tenere, e per darne l'idea vorrei portare un esempio concreto. Qualche mese fa ho incontrato i ragazzi di un liceo di Roma, che mi hanno raccontato di atti di teppismo, di furti di motorini, di un clima sempre più pesante. Tutto ad opera di alcuni rom del vicino campo di via Lombroso. In quei ragazzi non ho trovato alcuna forma di razzismo, nelle loro parole non c'era nulla di pregiudiziale: c'era la volontà di vedersi assicurato il diritto di vivere serenamente nel loro quartiere, c'era una richiesta di legalità, alla quale abbiamo risposto concretamente. Con l'assessore competente abbiamo svolto diverse assemblee nel campo, purtroppo senza esito. Le famiglie responsabili di quegli atti sono state quindi allontanate, mentre tutte le altre sono rimaste a vivere in quello che è uno dei tanti villaggi attrezzati nei quali in questi anni abbiamo trasferito i rom che prima vivevano in insediamenti abusivi e non controllati.

Ecco il duplice atteggiamento: condizioni di vita migliori, scolarizzazione e inserimento lavorativo, in una parola solidarietà, per chi rispetta la legge e le regole di convivenza civile. Fermezza e assoluta severità per chi di queste leggi non si cura e queste regole le infrange.

Fare così è indispensabile. Pensiamo a cosa sono e a cosa stanno diventando sempre più velocemente le nostre società. Pensiamo all'Italia, dove gli stranieri sono passati dal milione e seicentomila del 2000 ai tre milioni e seicentomila di oggi. Sono due milioni di persone in più, in pochi anni. Sono storie e culture diverse, sono modi diversi di credere e di rapportarsi agli altri. O tutto questo saprà convivere, o si rafforzerà nel rispetto delle differenze un patrimonio comune di regole condivise, oppure i problemi sono destinati a moltiplicarsi.

Noi, come italiani, sappiamo cosa vuol dire emigrare, cosa vuol dire lasciare la propria terra, la propria casa, in cerca di speranza, di una vita migliore per sé e per i propri figli. L'Italia è stato un paese povero, che dopo la guerra si è risollevato grazie agli aiuti della comunità internazionale. Possibile non si riesca a comprendere che ora spetta a noi fare altrettanto, non solo perché è giusto moralmente, ma perché la prima radicale risposta in tema di immigrazione e di sicurezza è riuscire a fare in modo che dai paesi poveri non si debba più fuggire? Contemporaneamente, con la stessa radicalità si devono governare i flussi di entrata e moltiplicare gli strumenti di integrazione. E con la stessa radicalità bisogna affermare il principio che per chi sceglie di vivere in Italia, non ci sono solo diritti: ci sono i doveri, ci sono le leggi da rispettare. Integrazione e legalità devono sempre convivere.

Bisogna evitare ogni generalizzazione a danno di rom o immigrati, ricordando sempre che molti dei delitti più efferati sono opera di italiani come noi. Ma è anche tempo, per chi si sente di sinistra, di comprendere che battersi per la legalità significa stare, come è sempre giusto fare, dalla parte dei più deboli. Se c'è un rom che ruba la pensione ad una vecchietta, per poi andarsene in giro in Mercedes, chi è il più debole? E se alcuni immigrati spacciano droga o sfruttano la prostituzione, a danno del ragazzo che distrugge la sua vita, della minorenne buttata in mezzo a una strada dalla quale va tolta, e di tutti gli abitanti di quel quartiere, chi sono i più deboli? Per chi minaccia il diritto alla sicurezza e alla legalità dei cittadini, per chi ruba alla società quel bene prezioso che è la serenità, c'è solo una risposta, ed è la severità e la fermezza con cui pretendere che rispetti la legge e che paghi il giusto prezzo quando questo non accade, quale che sia la sua nazionalità. Allora saremo anche più forti nel momento in cui vogliamo far vivere concretamente parole come solidarietà, accoglienza e integrazione. Allora potremo sperare che quelle braci non si trasformino in un incendio, perché saremo riusciti a spegnerle.