Free cookie consent management tool by TermsFeed Policy Generator Rifugiati-fantasma nei ghetti di Rabat, Il Manifesto, 21/06/07

Rifugiati-fantasma nei ghetti di Rabat, Il Manifesto, 21/06/07

Rifugiati-fantasma nei ghetti di Rabat
Centinaia di sub-sahariani hanno ottenuto lo status di rifugiati in Marocco. Ma restano nell'illegalità, perché l'Unhcr non è riconosciuto. Intrappolati in un paese che non li vuole, maledicono gli effetti dell'esternalizzazione della frontiera europea
Stefano Liberti
Rabat

«Ci chiamano rifugiati, ma la nostra è un'esistenza sospesa. Siamo bloccati qui, senza diritti e con il rischio di essere espulsi in ogni momento». Seduta sul grande letto che occupa per metà la stanza che divide con il suo compagno Roger, la giovane congolese Marie-Claire ha l'aria afflitta. Vive a Hay Nahda, un sobborgo popolare di Rabat, da circa un anno. Arrivata dopo un viaggio via terra pieno di peripezie in cui ha attraversato mezzo continente, si è infine vista assegnare lo status di rifugiata dall'ufficio dell'Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni unite (Unhcr) in Marocco. Ma il foglio che le funge da documento equivale a carta straccia. «Se i gendarmi marocchini ci fermano, ce lo strappano e non hanno alcuna remora a deportarci in Algeria». Marie-Claire è stata respinta due volte alla frontiera di Oujda-Maghnia, nel nord-est del paese, in seguito a una di quelle operazioni poliziesche che il regno cherifiano organizza di tanto in tanto per dare l'impressione che vuole contrastare l'immigrazione irregolare sul proprio territorio. «Ho mostrato loro il documento dell'Unhcr, ma si sono messi a ridere. Mi hanno spinto al di là della frontiera. Qui, i poliziotti algerini ci hanno catturato. Hanno abusato di me e mi hanno rimandato indietro».
Sono circa 450 i rifugiati sub-sahariani ufficialmente riconosciuti in Marocco, più 1200 richiedenti asilo in attesa di veder esaminata la propria pratica. Ma la loro situazione è del tutto kafkiana: l'ufficio dell'Unhcr non è ufficialmente riconosciuto dal governo di Rabat, e quindi non lo sono neanche i documenti che questo emette. I richiedenti asilo e i rifugiati non hanno diritto a lavorare, né beneficiano di alcuna assistenza giuridica e sanitaria. Si trovano quindi a condurre esattamente la stessa vita degli immigrati clandestini, fra lavoretti informali e il terrore di finire vittime delle retate e vedersi respingere verso la frontiera algerina.
Bloccati nelle bidonville
Ad Hay Nahda, come nel vicino Takadoum - un'enorme bidonville in cui le case si affastellano tra vicoli strettissimi e maleodoranti - i richiedenti asilo cercano di dare un senso alla propria esistenza. Sono per lo più congolesi e ivoriani, fuggiti da situazioni di pericolo e di guerra. «I loro dossier sono stati attentamente esaminati», afferma Johannes Van der Klaauw, responsabile dell'ufficio dell'Unhcr a Rabat. «Le loro motivazioni sono assolutamente genuine: è gente che ha bisogno della protezione internazionale». Il funzionario ammette che la situazione non è facile per i rifugiati in Marocco. «Il nostro problema è che non abbiamo un budget tale da poter dare assistenza a tutti quelli che hanno ottenuto lo status. Facciamo quello che possiamo e cerchiamo di aiutare quelli più in difficoltà». I rapporti con Rabat, che non vuole assolutamente sentir parlare di rifugiati sul proprio territorio, sono abbastanza tesi. L'Unchr vive in una dialettica continua con le autorità, cercando di fare pressioni quando si verificano situazioni di abuso: «Nel gennaio scorso siamo riusciti a fare in modo che una settantina di rifugiati respinti alla frontiera fossero ricondotti a Rabat», sospira Van der Klaauw. Che aggiunge: «Quello che facciamo è poco, ma è meglio di niente. D'altronde, se oggi chiudessimo, cosa racconteremmo a quelli che abbiamo seguito e per i quali costituiamo un punto di riferimento?».
Ma molti rifugiati non sono d'accordo con questa valutazione. Pensano che l'Alto commissariato dei rifugiati non sia altro che la faccia presentabile di una politica il cui obiettivo principale è impedire loro di chiedere l'asilo in Europa. «Che cosa fa l'Unhcr in Marocco? Nulla», esclama Fiston Massamba, un giovane congolese di 28 anni che da due anni vive a Rabat. «Allora, tanto vale che chiuda bottega».
Massamba è un membro di spicco della nuova classe politica uscita dalle lotte dei rifugiati sub-sahariani a Rabat. Segretario del Consiglio dei migranti sub-sahariani in Marocco, sembra avere le idee chiare. «La verità vera è che l'Unhcr è parte integrante del meccanismo di esternalizzazione della frontiera messo in piedi negli ultimi anni dall'Unione europea. In nome di un illusoria "condivisione di responsabilità", l'accoglienza di noi rifugiati è derogata a paesi che non dispongono né delle infrastrutture, né dei nei necessari dispositivi giuridici». I migranti accusano l'Unhcr di essere parte integrante del meccanismo securitario messo in piedi dall'Unione europea e rimproverano al Marocco - che ha ricevuto 67 milioni di euro da Bruxelles per il rafforzamento dei controlli alle frontiere - di svolgere il ruolo di gendarme sulla riva sud, «tradendo i suoi fratelli africani».
Filo da torcere all'Unhcr
Riuniti in diverse associazioni, consorziate a loro volta con le organizzazioni più combattive della vivace società civile marocchina, i rifugiati sub-sahariani sono ben decisi a vedere riconosciuti i propri diritti, anche a costo di dare filo da torcere all'Unhcr. Nel maggio scorso, hanno manifestato per una settimana di fronte agli uffici dell'Alto commissariato, chiedendo maggiore assistenza e, vista l'impossibilità di stabilirsi in Marocco, la possibilità di essere reinsediati in paesi terzi. Ma il reinsediamento rimane una prospettiva remota. «Lo si può fare solo per pochi casi. Gli stati occidentali non sono molto ben disposti. Credono che possa generare un effetto chiamata», chiosa Van der Klaauw, lasciando intendere che le accuse mosse dai rappresentanti dei rifugiati non sono poi del tutto peregrine.
Sempre più irritati contro l'Unhcr, Massamba e il suo Consiglio dei migranti sub-sahariani annunciano nuove iniziative di protesta, «anche spettacolari». Intanto, nel buio delle loro misere stanze di Hay Nahda e di Takadoum, Marie-Claire e le altre centinaia di rifugiati fantasmi cominciano a perdersi d'animo e a rivedere al ribasso le loro speranze di ottenere un futuro migliore.