Free cookie consent management tool by TermsFeed Policy Generator Giustizia: servono leggi eque e una cultura del garantismo, Liberazione 22/08/07

Giustizia: servono leggi eque e una cultura del garantismo, Liberazione 22/08/07

La vera causa del fallimento della giustizia penale italiana non è il garantismo ma la lunghezza dei procedimenti, e tale lunghezza è dovuta in gran parte all’eccesso di fattispecie di reato esistenti nel nostro sistema penale (più di 5mila!).  

Giustizia: servono leggi eque e una cultura del garantismo

di Arturo Salerni* e Gennaro Santoro**

 

Liberazione, 22 agosto 2007

 

Sulla questione giustizia non si scherza, sulla giustizia penale ancora meno. Dietro molti reati vi è una vittima e la violazione delle regole su cui si basa la convivenza sociale. Vi è dunque un interesse comune della persona offesa dal reato e della intera comunità ad un processo rapido, ad una sentenza che non si faccia attendere per decine di anni. Anni nei quali un imputato marcisce in custodia cautelare o anni nei quali un altro imputato trasmette un senso di impunità. La frustrazione delle vittime cresce, la forza deterrente della minaccia della sanzione viene meno, si diffonde un senso di insicurezza.

E se una persona innocente patisce per anni la custodia cautelare in carcere prima che si scopra la sua estraneità alla commissione del reato, abbiamo buttato una vita, abbiamo calpestato affetti, relazioni, famiglie, abbiamo sperperato risorse. È bene sapere che attualmente in Italia circa il 60 per cento dei detenuti è in attesa di giudizio. Troppo spesso i deboli pagano - a prescindere dall’accertamento della loro responsabilità - con arbitrarie protrazioni della custodia cautelare in carcere.

Chi ha i soldi per una buona difesa se la cava, anche con gli strumenti sostanziali e processuali approntati negli anni del centrodestra e che sono serviti soltanto a chi appartiene a categorie privilegiate e potenti. In carcere i detenuti per reati di mafia sono solo il 2,5 per cento del totale e quelli per reati contro la pubblica amministrazione il 3,5 per cento. Per altro verso, quando si perviene a sentenza definitiva (dopo anni) si scopre che l’imputato che ha patito la custodia cautelare in carcere è innocente nel 50 per cento dei casi. La malagiustizia viene pagata da tutta la società, in termini sociali e di in termini economici.

Però i media si accaniscono solo quando vi è il caso di malagiustizia dovuta, a loro dire, all’eccesso di garanzie relative alla libertà personale, ed ancor di più quando queste garanzie hanno come destinatari cittadini stranieri. Non anche in occasione dei numerosi suicidi che si sono verificati questa estate nelle carceri italiane o per i parti di detenute rom presso il carcere di Rebibbia, che determinano una situazione insostenibile sotto il profilo umano e civile.

Eppure dovrebbe essere chiaro. La vera causa del fallimento della giustizia penale italiana non è il garantismo ma la lunghezza dei procedimenti, e tale lunghezza è dovuta in gran parte all’eccesso di fattispecie di reato esistenti nel nostro sistema penale (più di 5mila!). E questa lentezza va a vantaggio di coloro che riescono ad evitare condanne (per loro è meglio che gli uffici siano intasati, così la prescrizione è più veloce del giudice), e spesso - troppo spesso - costoro appartengono a ceti privilegiati.

Intanto in California una legge in vigore dal 2000 prevede misure alternative al carcere per consumatori di droga non violenti. Risultato: il tasso di recidiva diminuisce e i contribuenti risparmiano 2 miliardi di dollari. In Italia, invece, la legge Fini-Giovanardi, a detta dell’Unione Camere Penali, ha causato "un aumento massiccio di ingressi in carcere di consumatori di droghe leggere con effetti devastanti non solo per coloro che, anche se incensurati, sono stati arrestati e ristretti in carcere, ma anche per l’intero sistema".

Insomma, c’è bisogno di una scossa al governo e al parlamento del paese perché vengano riformati integralmente il codice penale - con una riduzione massiccia delle fattispecie di reato ed una riduzione delle ipotesi sanzionatorie consistenti nella privazione della libertà personale- ed il codice processuale penale e perché vengano abrogate le leggi speciali e classiste che riempiono le carceri ed intasano i tribunali ereditate dal centro destra. Bene ha fatto Giuliano Pisapia a ricordarci su questo giornale (Liberazione del 15 agosto) come la ricetta americana della tolleranza zero non funzioni. In America negli ultimi dieci anni sono stati costruiti più carceri che scuole e ospedali, il tasso di carcerazione e di ben otto volte superiore rispetto a quello italiano. Tuttavia si è registrato "un aumento esponenziale della criminalità da far impallidire tutti i Paesi europei".

Occorre oggi spingere perché sulla giustizia si intervenga a tutto campo (si pensi allo stato disastroso della giustizia civile ed ai tempi intollerabili dei processi del lavoro) e rapidamente. Ma questa spinta propositiva va accompagnata da una battaglia culturale sulla necessità di un cambio di rotta in tema di sicurezza e di giustizia.

Perché solo un cambiamento culturale diffuso, un forte sostegno di una opinione pubblica informata può permetterci di creare una pagina realmente nuova sul terreno delle politiche della giustizia, a partire dall’abrogazione del codice fascista del 1930. Un nuovo approccio alla vicenda giustizia, senza scorciatoie e demagogie, socialmente orientato, oltre la logica sterile delle continue emergenze, quale grande orizzonte della Sinistra per caratterizzare in positivo la prossima stagione politica.

 

*Responsabile nazionale carceri Prc-Se

**Associazione Antigone