Free cookie consent management tool by TermsFeed Policy Generator Capitale d'Europa, non dei rifugiati, Il Manifesto, 23/02/08

Capitale d'Europa, non dei rifugiati, Il Manifesto, 23/02/08

Capitale d'Europa, non dei rifugiati
Dal primo gennaio 150 immigrati sono in sciopero della fame in un edificio occupato di Bruxelles. La questione migranti sbarca nel cuore dell'Ue. Che la ignora Sono sudamericani, africani, asiatici. Vivono stipati in camerate, dopo un mese e mezzo gli interventi medici sono frequenti
Giovanni de Paola
Bruxelles

«Regularisation ou mort!». È l'estrema richiesta di centocinquanta sans papiers che stanno occupando uno stabile a Rue Royale, una delle vie principali di Bruxelles, quella che collega il palazzo di Giustizia alla chiesa in stile gotico e portale barocco di Sainte-Marie. Dal primo gennaio sono in sciopero della fame.
Sono sudamericani, africani, asiatici. Elif (il nome è di fantasia) ha dodici anni ed è di famiglia turca, frequenta una scuola fiamminga a Bruxelles e vive in Belgio con i suoi cari. È lei a sostenere la responsabilità delle interviste. I bambini, benché irregolari, vanno regolarmente a scuola, dunque parlano fiammingo e francese in maniera fluente, contrariamente ai più anziani. Elif dice che sua madre è qui a Rue Royale per lo sciopero della fame. Vivono qui da più di dieci anni e non ritengono giusto essere ancora senza un documento che gli consenta di vivere tranquilli.
Quando a Elif viene chiesto se si sente integrata, la sua risposta è sicura: «Sì, sono felice qui. Parlo molto bene fiammingo perché è la prima lingua a scuola. Se dovessi tornare in Turchia sarebbe molto difficile per me imparare il turco. Per questo voglio restare in Belgio». Poi pronuncia una frase che dalle labbra di una bambina proprio non ti aspetteresti: «Lo sciopero della fame è la nostra ultima occasione». Parla al plurale, a nome della sua famiglia e di tutti gli altri occupanti di Rue Royale 91.
Elif ha 12 anni, ma è più matura della sua età. I suoi genitori sono qui irregolarmente, qualunque lavoro facciano è in nero. E la piccola Elif non lo può dire. Quando si ricorda di parlare un ottimo fiammingo, risponde solo: «È molto difficile pagare l'affitto e il cibo, i miei genitori non lavorano. È molto difficile perché non abbiamo soldi». Ha un fratello maggiore e due sorelle. Tutti vanno a scuola. In Belgio è garantito il diritto all'istruzione per i bambini, regolarmente residenti o no, purché vivano da almeno due anni tra Vallonia, Fiandre e regione della città di Bruxelles. «Sciopereremo fino a quando non avremo la regolarizzazione!», dice, «non è la prima volta, mio padre ha già partecipato a uno sciopero della fame, ma non è servito a nulla. Speriamo che questa sia la volta buona. Non ci resta altro da fare».
In uno stanzone ci sono solo migranti provenienti dall'Ecuador. Una quindicina giacciono stipati, senza distinzione di sesso e di età. Invece gli occupanti di origine musulmana sono divisi in camerate di soli uomini e altre di sole donne. La sistemazione è sempre la stessa: una distanza di due millimetri tra un materasso e l'altro, disposti in maniera tale da occupare la totalità dello spazio disponibile.
Tra gli ecuadoregni colpisce il volto di una signora dalla faccia emaciata e impallidita. Ha sui cinquanta anni. Non si direbbe essere un medico dentista. Da noi europei, medico dentista è sinonimo di benessere. Lei continua a lavorare qui in nero, non potendo dichiarare i propri guadagni. Non vuole dire il suo nome, ma racconta di essere a Bruxelles da nove anni e quattro mesi. Nel 2002 ha presentato domanda di regolarizzazione e dopo ben quattro anni ha saputo di essere stata respinta. «Sono stanca di chiedere un permesso di soggiorno perché è già tanto che provo. Sono dentista ma non posso fare niente».
Qualche materasso più in là c'è Luis, di Guayaquil. Per lui sono otto gli anni di permanenza «qui al Nord». Usa l'intercalare francese «voilà» come se fosse lo spagnoleggiante «bueno», alla fine di ogni frase. Anche lui, come gli altri qui presenti, ha frequentato scuole di lingua.
Girando per la palazzina, le storie diventano sempre più varie. Dall'Egitto c'è quella del cinquantenne Ahmed. Ha un problema al piede e racconta di essere già stato operato cinque volte. Non approfondisce quale sia l'infortunio, ma è evidente che non può camminare bene. Presto sarà nuovamente operato. Non ha soldi per il cibo e le medicine. Tira a campare con la carità. Non ha cure mediche regolari e questo non gli consente di essere abile a lavorare. Storie di vita che esistono nella ricca Bruxelles.
Suona strano pensare che, proprio qualche giorno fa e proprio qui dalla capitale d'Europa, il vicepresidente della Commissione europea Franco Frattini ha proposto misure restrittive nei confronti di chiunque entri nell'Ue. La proposta prevede un sistema che registri le impronte e fotografi il volto di tutti i viaggiatori. E non solo dei migranti irregolari. Il tutto nasce per combattere il terrorismo, l'immigrazione illegale e il crimine organizzato.
Passando anche accidentalmente da Rue Royale è facile vedere l'ambulanza arrivare a sirene spiegate. C'è probabilmente qualche migrante da assistere. Lo sciopero della fame sta debilitando i loro organismi. Vengono portati in ospedale perché ormai il fisico inizia a cedere. Dopo. Dopo un mese e mezzo senza cibo, il medico è sempre in preallarme.