Free cookie consent management tool by TermsFeed Policy Generator «Ma quale razzismo, volevano farsi giustizia», Il Manifesto, 27/05/08

«Ma quale razzismo, volevano farsi giustizia», Il Manifesto, 27/05/08

«Ma quale razzismo, volevano farsi giustizia»
Il day after del Pigneto, il quartiere «antifascista» che si scopre assediato «Alcuni immigrati non rispettano le regole. E lo Stato non fa nulla»
Sara Menafra
Roma

Ti viene il dubbio che il fascismo c'entri poco quando a prendere le difese degli aggressori del Pigneto ci si mette pure Dario Santilli, un passato da militante della sinistra con qualche accusa di terrorismo e oggi proprietario di un ristorante nel cuore del quartiere: «Farsi giustizia da soli è sbagliato, ed è giusto che chi s'è comportato così paghi, non lo metto in dubbio», ti spiega: «Però in questa zona ci sono negozi di immigrati che vendono alcol fino a tarda notte senza nessuna regola e piccole botteghe che coprono giri di droga e ricettazione. Sono anni che chiediamo l'intervento del municipio o delle forze dell'ordine. Non ci ascoltano e allora qualcuno ha pensato che i problemi potessero essere risolti come il Pigneto ha sempre fatto: all'interno, tanto lo Stato non funziona».

«Non siamo razzisti»
Sono le tre di un pomeriggio torrido e il quartiere romano incastrato tra Casilina e Prenestina si guarda attorno aspettando l'arrivo di quel corteo antirazzista in cui parecchi faticano a riconoscersi. Si sentono accusati ingiustamente, loro che, in più di un caso giurano di essere «di sinistra» e quasi sempre assicurano di avere ottimi rapporti con gli immigrati. Due anni fa, tutto il Pigneto è sceso in strada per dar manforte ai senegalesi di via Campobasso: insieme, contro un proprietario che voleva sfrattarli o aumentare l'affitto pagato «in nero». E adesso prendono le distanze, sì, ma non se la sentono di dare dei «fascisti» a quei venti giovani, capeggiati da un uomo più anziano, che sabato hanno assalito tre negozi gestiti da bengalesi urlando «andatevene» e prendendo a pretesto il furto di un portafogli avvenuto il giorno addietro. Mario, macellaio, s'affaccia dalle vetrine del suo negozietto scuotendo la testa: «E' vero, siamo tornati ai metodi di trent'anni fa. Ma una cosa gliel'assicuro, se nel mio negozio fossero capitate le cose che capitano in alcuni di quelli che hanno subito il raid, avrebbero sfondato pure le mie vetrine».

Una Soho all'amatriciana
I problemi, a sentir loro, sono cominciati due o tre anni fa, quando l'economia del Pigneto s'è messa improvvisamente a correre e il quartiere s'è trasformato in una specie di Soho all'amatriciana. Se negli anni '80 c'erano quasi solo immigrati appena arrivati, d'improvviso sono arrivati studenti universitari, quindi attori, attrici, registi, intellettuali. Andrea Callisti, titolare dell'agenzia immobiliare di zona, l'unico nel raggio di chilometri con un impeccabile gessato blu, è certo del fatto suo: «Nel 2007, questo è stato il quartiere col più alto numero di compravendite nell'intero paese. Mediamente le case costano 4.000 euro al metroquadro, quasi quanto nel centro storico». Non lievitano solo i prezzi delle case: giusto in cima alla strada, l'ex fabbrica Sirono sta per essere trasformata in un albergo d'alto livello. E due traverse più in là, il cinema l'Aquila, sequestrato alla banda della Magliana nei primi anni '80, vanta una ricercata architettura di vetro e cemento. «Rischiava di trasformarsi in un cinema intellettuale e il quartiere ha discusso per mesi, anche sui forum del sito internet (www.pigneto.it ndr), tra i giovani coatti che volevano un posto normale, che proiettasse anche "Vacanze di natale" e gli studenti e intellettuali che lo volevano di tendenza. I proprietari alla fine hanno un po' mediato, ma c'è anche questo: i ragazzi del quartiere, quelli che sono nati qui e magari sono disoccupati, si sentono espropriati da questi studenti che arrivano e magari vomitano all'angolo o suonano i tamburi fino a notte fonda», racconta Diana Martinese, proprietaria del negozietto di fotografie proprio di fronte al luogo dell'aggressione di sabato scorso.

«Tamburi da incubo»
Bonghi, piccolo spaccio, birre e bottiglie un po' ovunque, il quartiere che negli anni '70 nascondeva la «mala», all'alba dell'estate 2008 si sveglia spaventato perché gli studenti si mettono a cantare e ballare persino a notte fonda. O perché l'altra domenica c'è stata una rissa coi coltelli, persino nel parco dove giocano i bambini. E, sopra ogni cosa, si racconta invaso dall'alcol, venduto da immigrati ma consumato quasi esclusivamente da italianissimi giovanotti. «Solo negli ultimi sei mesi, il comune ha dato dieci licenze per la vendita di bevande alcoliche», l'amara statistica di Dario. Ma poi ci sono quelli che non ce l'hanno e vendono birra lo stesso, quello del "Tutto a un euro", i negozietti di telefonate internazionali, c'è persino chi tiene le birre nascoste dietro ad un muro finto. E' per questo, che lasciano da parte le convinzioni politiche quando si tratta di insultare Gianni Alemanno e la sua idea di precipitarsi qui domenica a farsi immortalare mentre stringeva la mano ad uno spacciatore del quartiere, detto «professore» perché s'è specializzato nel commercio di pasticche.
Il consigliere municipale Sandro Santilli, eletto con la Sinistra arcobaleno i suo concittadini dice di capirli bene: «La risposta da far west non è accettabile, ma quando i riflettori caleranno dovremo occuparci di tutelare meglio il territorio.Convocando ad un unico tavolo tutti i residenti».