Free cookie consent management tool by TermsFeed Policy Generator I Cpta dalla politica alla prassi, di S.Tassone, SET’05 dalla rubrica INEDITI

I Cpta dalla politica alla prassi, di S.Tassone, SET’05 dalla rubrica INEDITI

ROMA TRE                      

Master Universitario in  Politiche dell’Incontro e Mediazione  Culturale, IV edizione, 2005,  Direttrice M.V. Tessitore.

                          

Tesina Modulo D – DIRITTI UMANI, NUOVA CITTADINANZA, POLITICA DELLA LEGALITÀ[1]

 

I Cpta dalla politica alla prassi

 

 di Simona Tassone

 

L’istituzione dei Cpta - La gestione e l’organizzazione dei Cpta - Le modalità del trattenimento - La dura realtà e le polemiche intorno ai Cpta

 

L’istituzione dei Cpta

L’istituzione dei Centri di Permanenza Temporanea si deve all’art. 12 della legge 40 del 1998 (divenuto poi art. 14 del testo unico), la cosiddetta legge Turco Napolitano.

Dal diritto internazionale, più precisamente dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, deriva la facoltà per i singoli Stati di prevedere forme di arresto o di detenzione di stranieri al fine di impedire loro l’ingresso clandestino nel territorio o al fine di rendere eseguibile nei loro confronti un provvedimento di espulsione o di estradizione. Il primo comma dell’art. 5 della Convenzione, alla lettera f, prevede tra i casi tassativi in cui un soggetto può essere privato della libertà personale “l’arresto o la detenzione legali di una persona per impedirle di penetrare irregolarmente nel territorio, o di una persona contro la quale è in corso un procedimento di espulsione o di estradizione”.

Conformemente alla possibilità contenuta in tale articolo e sulla scia di esperienze già praticate in altri Paesi europei, il legislatore del ’98 ha previsto all’art. 12 della legge 40 il trattenimento in centri di permanenza temporanea ed assistenza degli stranieri sottoposti a provvedimento di espulsione o di respingimento con accompagnamento coattivo alla frontiera non immediatamente eseguibile.

La misura del trattenimento è disposta dal questore sulla base di tre presupposti:

1        Lo straniero deve essere raggiunto da un provvedimento di espulsione o di respingimento: il trattenimento non può avere una funzione cautelare, in vista dell’adozione di un possibile successivo provvedimento di allontanamento;

2        Il provvedimento di allontanamento deve essere eseguito con accompagnamento immediato alla frontiera a mezzo della forza pubblica;

3        Devono esistere uno o più impedimenti all’effettiva ed immediata esecuzione della misura di allontanamento, tra i quali la necessità del soccorso dello straniero, la necessità di accertamenti supplementari in ordine all’identità o alla nazionalità dello straniero, la necessità di acquisizione di documenti per il viaggio e l’indisponibilità del vettore o di altro mezzo di trasporto idoneo ad effettuare il rimpatrio dello straniero.

 

In altre parole, con questa misura il legislatore dà al questore, sulla base di un provvedimento prefettizio, la possibilità di trattenere in un luogo apposito, un centro di permanenza temporanea e assistenza, gli stranieri nei cui confronti sia stato emanato un provvedimento di respingimento o di espulsione non immediatamente eseguibile. La misura ha la finalità di far attendere in tali centri la rimozione degli ostacoli all’effettiva esecuzione, con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, della misura di allontanamento disposta a carico degli stranieri, evitando così che questi, lasciati liberi, possano sottrarsi all’esecuzione della stessa.

Il trattenimento presso un centro di permanenza temporanea e assistenza è una misura che incide sulla libertà personale dello straniero. Tale libertà, tutelata nel nostro ordinamento dall’art. 13 della Costituzione, è un diritto fondamentale della persona, riconosciuto anche allo straniero “comunque presente nel territorio dello Stato”, sia esso regolare o clandestino. Introducendo la misura del trattenimento in un centro di permanenza temporanea, il legislatore del ’98 ha previsto una limitazione della libertà personale per un fine diverso dalla repressione dei reati. Si può ritenere che l’art. 13 della Costituzione, non prevedendo una riserva di legge “rinforzata”, ma soltanto una riserva assoluta di legge, permetta che “restrizioni della libertà personale possono essere previste dal legislatore per qualsiasi motivo e dunque non soltanto nei casi in cui ciò sia indispensabile per il perseguimento di finalità previste dalla Costituzione, cioè per finalità di giustizia penale (art. 25 Cost.). di educazione dei minori (art. 30 Cost.) e di tutela della salute (art. 32 Cost.), ma anche per altre finalità (motivi di buon costume, fini economici e fiscali, finalità di giustizia civile, finalità di sicurezza pubblica).

Per armonizzare il dettato legislativo della legge 40 con l’articolo 13, comma secondo della Costituzione, il legislatore ha previsto per la misura del trattenimento disposta dal questore un meccanismo di convalida da parte dell’autorità giudiziaria sulla falsariga di quello previsto per il fermo e per l’arresto.

Infatti, il questore del luogo in cui si trova il centro di permanenza temporanea (che non è necessariamente lo stesso che adotta il provvedimento di trattenimento) deve provvedere a richiedere la convalida del decreto di trattenimento al giudice territorialmente competente entro le 48 ore dall’emanazione della misura restrittiva. Il giudice (a seguito della L.271/2004, il giudice di pace) ricevuta copia dal questore degli atti relativi al trattenimento e all’espulsione dello straniero, sentito l’interessato, deve verificare la sussistenza dei presupposti di legge per l’adozione della misura del trattenimento entro le successive 48 ore.

La procedura di convalida si svolgeva - prima della sopra menzionata riforma  - ex lege, in Camera di Consiglio ai sensi degli artt 737 e ss. del codice di procedura civile. Avendo la novella del 2004 soppresso il richiamo diretto all’art.737 cpc e non avendo introdotto alcuna procedura alternativa, siamo di fronte ad un opinabile vuoto delle procedure.

 

Se il giudice non convalida la misura nelle 48 ore successive alla comunicazione del trattenimento, questo cessa di avere ogni effetto. Si noti che la mancata convalida non comporta anche la perdita di validità del provvedimento di espulsione. Nonostante il questore trasmetta al giudice sia gli atti relativi all’espulsione che quelli relativi al trattenimento, il giudice verifica la sussistenza dei presupposti di legge dell’espulsione ai soli fini della convalida del trattenimento. Il sindacato sull’espulsione da parte del giudice della convalida è infatti possibile soltanto quando lo straniero presenti ricorso avverso l’espulsione prima dell’udienza di convalida.

La convalida del trattenimento comporta la permanenza dello straniero nel centro per un periodo massimo di 30 giorni, calcolati dal primo giorno d’ingresso. Il questore può successivamente chiedere al giudice di prorogare il trattenimento di ulteriori 30 giorni; tale proroga può essere concessa sulla base di gravi difficoltà per il reperimento dei titoli di viaggio o nelle pratiche di identificazione. È evidente che in questo modo si cerca di rendere prassi ciò che dovrebbe essere l’eccezione soprattutto se si tiene conto del fatto che la proroga altro non è che un secondo provvedimento di restrizione della libertà personale. La convalida e l’eventuale proroga definiscono il periodo massimo che lo straniero può trascorrere nel centro di permanenza temporanea. Entro detti termini lo straniero deve essere però trattenuto nel centro di permanenza “per il tempo strettamente necessario”: non appena gli impedimenti all’espulsione o al respingimento risultano superati lo straniero deve essere allontanato dal territorio nazionale. Dell’avvenuto allontanamento l’autorità di pubblica sicurezza deve darne comunicazione al giudice che ha convalidato il provvedimento di trattenimento, al questore che lo ha emesso e alla rappresentanza diplomatica o consolare del Paese di appartenenza dello straniero.

Decorso il termine massimo di trattenimento senza che gli impedimenti all’esecuzione coattiva dell’espulsione o del respingimento siano venuti meno, la misura del trattenimento decade e lo straniero deve essere rilasciato. Qualora lo straniero non ottemperi spontaneamente all’allontanamento e si trattenga nel territorio, una volta rintracciato dalle autorità di pubblica sicurezza è nuovamente soggetto all’esecuzione coattiva dell’allontanamento. Nel caso in cui il questore del luogo dove lo straniero viene rintracciato riscontri ancora impedimenti all’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, si presenta al questore la possibilità di reiterare la misura del trattenimento dello straniero presso un centro di permanenza temporanea.

 

La gestione e l’organizzazione dei Cpta

Subito dopo l’emanazione della legge 40 del 1998 sono stati attivati i primi centri di permanenza temporanea e assistenza.

I primi centri sono stati aperti in Sicilia. A Lampedusa vecchi capannoni all’interno della struttura aeroportuale e a Pantelleria una struttura ospedaliera in disuso, sono stati adibiti all’accoglienza degli immigrati e al trattenimento di questi in attesa di un successivo trasferimento nelle strutture che andavano prendendo forma nel resto del territorio italiano.

La gestione e l’organizzazione di questi centri viene affidata ai prefetti delle province in cui viene istituito il centro. La gestione del centro deve avvenire in conformità alle istruzioni di carattere organizzativo e amministrativo-contabile impartite dal Ministro dell’Interno, anche mediante la stipula di apposite convenzioni con gli enti locali o con soggetti pubblici o privati che possono avvalersi dell’attività di altri enti, di associazioni di volontariato e di cooperative di solidarietà sociale. Nel caso di stipula di convenzioni con enti locali o con soggetti pubblici o privati per la gestione del centro, la scelta del gestore deve avvenire a seguito di procedura ad evidenza pubblica. La gestione dei centri di permanenza viene affidata alla Croce Rossa Italiana  e alla Confraternita delle Misericordie d’Italia, un’organizzazione cattolica laica; alcuni sono gestiti da associazioni ad hoc – quali la cooperativa Fiamme d’Argento, composta da carabinieri in pensione che gestiscono in Cpta di Restino, e la Fondazione Regina Pacis, vicina all’Arcidiocesi di Lecce, che gestiva il centro Regina Pacis, Cpta fino al dicembre 2004. Almeno uno è gestito da un ente locale, il Comune di Otranto (che dirige il centro Don Tonino Bello di Lecce).

In ogni struttura il gestore deve perciò garantire l’assistenza igienico-sanitaria, quella religiosa, il mantenimento, il vestiario, la socializzazione e quant’altro occorra al decoroso soggiorno nel centro.

Il compito di garantire le misure necessarie per la sicurezza e il mantenimento dell’ordine pubblico nel centro è di competenza del questore. Questi provvede alla vigilanza del centro a mezzo della forza pubblica e al coordinamento degli interventi di polizia all’interno del centro, nei casi in cui questi si reputino necessari. Alle forze dell’ordine compete inoltre la gestione amministrativa della posizione dello straniero, dall’identificazione all’effettivo rimpatrio, nonché il compito di impedire l’indebito allontanamento delle persone trattenute. Lo straniero non può lasciare il centro di sua iniziativa e in caso di indebito allontanamento, la misura del trattenimento deve essere ripristinata, anche con l’ausilio della forza pubblica. Poiché lo straniero trattenuto non è ‘detenuto’ nel centro, se si allontana non commette il reato di evasione, ma deve comunque esservi immediatamente ricondotto. Lo straniero all’atto di ingresso nel centro deve essere informato che in caso di indebito allontanamento la misura del trattenimento sarà ripristinata con l’ausilio della forza.

 

Il provvedimento con cui il questore dispone il trattenimento dello straniero presso un centro di permanenza temporanea e assistenza deve essere comunicato all’interessato unitamente al provvedimento di espulsione o di respingimento. La comunicazione, effettuata mediante consegna a mani proprie o notificazione dei provvedimenti, deve avvenire con modalità tali da assicurare la riservatezza del contenuto degli atti. Se lo straniero non comprende la lingua italiana, detti provvedimenti devono essere tradotti in una lingua a lui comprensibile e ove ciò non sia possibile, in una lingua scelta tra l’inglese, il francese o lo spagnolo a seconda della preferenza indicata dall’interessato.

 

Le modalità del trattenimento

Le condizioni di permanenza dello straniero trattenuto sono state delineate in modo assai sintetico dal legislatore del’98. Questi si è limitato ad affermare che le modalità del trattenimento devono assicurare la necessaria assistenza dello straniero, il pieno rispetto della sua dignità e la libertà di corrispondenza, anche telefonica, con l’esterno.

A colmare le lacune della legge che rischiano di porre lo straniero trattenuto in una situazione materiale e giuridica di assoluta precarietà, e di attribuire all’amministrazione margini di discrezionalità estremamente ampi, è intervenuto il regolamento di attuazione emanato il 31 agosto 1999 con Decreto del Presidente della Repubblica n. 394.

L’art. 21 del regolamento è dedicato interamente alle modalità di trattenimento. Con questo articolo il legislatore ha voluto garantire allo straniero nello svolgimento della vita in comune all’interno del centro, l’assistenza sanitaria, la libertà di corrispondenza, la libertà di colloquio, con particolare riguardo a quella funzionale all’assistenza legale, morale e religiosa. Il primo comma dell’art. 21 attribuisce allo straniero libertà di colloquio con i visitatori provenienti dall’esterno e in particolare con il difensore e con i ministri di culto. I visitatori provenienti dall’esterno cui il regolamento si riferisce sono i familiari conviventi la cui presenza sul territorio italiano sia regolare, il personale della rappresentanza diplomatica e consolare e gli appartenenti ad enti, associazioni di volontariato e cooperative di solidarietà sociale, ammessi a svolgere attività di assistenza sulla base di appositi progetti di collaborazione concordati con il prefetto della provincia in cui è istituito il centro. Requisito essenziale perché lo straniero possa avere tali colloqui è che ne faccia richiesta al gestore del centro e che tale richiesta sia autorizzata dal prefetto del luogo ove ha sede il centro.

Nell’ambito del centro devono essere assicurati oltre ai servizi occorrenti per il mantenimento e l’assistenza degli stranieri trattenuti, i servizi sanitari essenziali. Qualora lo straniero non possa ricevere le cure adeguate all’interno del centro, deve essere ricoverato in un luogo di cura.

Il sesto comma dell’art. 21 prevede infine una sorta di permesso per gravi motivi di famiglia disponendo che in caso di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente residente in Italia o per altri gravi motivi di carattere eccezionale, il giudice che procede, sentito il questore, può autorizzare lo straniero ad allontanarsi dal centro per il tempo strettamente necessario, informando il questore che ne dispone l’accompagnamento.

Il 30 agosto 2000 il Ministero dell’Interno ha emanato una direttiva avente ad oggetto i diritti ed i doveri della persona ospitata nei centri di permanenza temporanea. Questa direttiva contiene un vero e proprio ‘manuale comune’ per il trattenimento della persona ospitata nei centri, elaborato da rappresentanti del Governo e da esponenti di varie associazioni operanti nel settore dell’immigrazione, ed è stata indirizzata ai prefetti delle province in cui si trovano i centri. Lo spirito di collaborazione e di partecipazione tra Governo e associazioni è stato il frutto della constatazione comune delle difficilissime condizioni in cui erano venuti a trovarsi fino ad allora gli stranieri trattenuti, nonché dell’esigenza di esplicitare i diritti affermatisi nelle diverse prassi gestionali e di delineare uniformemente le garanzie ancora mancanti. Strutturata in 8 punti, la direttiva si pone l’obiettivo di delineare dettagliatamente le modalità di trattenimento, assicurando la necessaria assistenza e il pieno rispetto della dignità dello straniero.

Riprendendo quanto già disposto dal regolamento di attuazione, la direttiva dispone che al momento dell’ingresso nel centro lo straniero deve essere messo a conoscenza del fatto che entro 96 ore si terrà l’udienza di convalida del suo trattenimento, durante la quale verrà sentito dal magistrato che procede. ‘L’ospite’ del centro deve essere inoltre informato delle disposizioni previste dall’art. 20 del regolamento di attuazione relative all’esercizio del suo diritto alla difesa in tale sede. Al fine di rendere effettiva la difesa di udienza di convalida devono essere resi noti allo straniero i motivi alla base del trattenimento e del successivo allontanamento. Ancora a tutela del diritto a ricevere informazione legale, la direttiva dispone che deve essere reso possibile l’accesso dello straniero, prima o comunque nelle more di definizione della procedura di convalida dl trattenimento, a un servizio di interpretariato e di informazione giuridica. Ciò comporta per il gestori dei centri l’obbligo di individuare operatori esterni o interni capaci di garantire ad ogni persona trattenuta la possibilità di avere un colloquio, preferibilmente durante il primo giorno di permanenza nel centro, che, superando le barriere linguistiche, possa accertare la situazione legale del trattenuto facendo particolare attenzione alla sussistenza di un possibile divieto di espulsione o di respingimento.

Il punto 2 lettera m della direttiva tutela i possibili richiedenti asilo o status di rifugiato prevedendo per il delegato in Italia dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati e per i suoi rappresentanti, autorizzati e muniti di appositi permessi rilasciati dal Ministero dell’Interno, il diritto di accedere ai centri di permanenza temporanea e assistenza in qualsiasi momento, fatte salve le esigenze di sicurezza e di regolare funzionamento della struttura, e di intrattenersi a colloquio riservato con lo straniero trattenuto che desideri avvalersi di questa possibilità.

Ai sensi dell’art. 4 del regolamento di attuazione, del trattamento deve essere data comunicazione all’autorità consolare del Paese di appartenenza dello straniero. La direttiva aggiunge la facoltà per lo straniero trattenuto di richiedere che venga data notizia del trattenimento disposto a suo carico anche ai familiari e conoscenti limitatamente a quelli indicati dallo stesso.

In vista dell’inserimento in un ambiente di vita collettivo, al momento del suo arrivo presso il centro lo straniero deve essere sottoposto a visita medica di controllo per accertare le sue condizioni di salute.

Nel caso in cui non sia possibile il recupero degli effetti personali, agli stranieri trattenuti deve essere fornita biancheria, vestiario ed effetti d’uso in buono stato di conservazione, di pulizia e idonei a soddisfare le esigenze quotidiane.

Le donne devono potersi avvalere dell’assistenza di personale  del proprio sesso. Nel caso in cui la misura del trattenimento venga disposta nei confronti di un nucleo familiare, deve esserne garantita la permanenza all’interno del medesimo centro e, con riferimento all’alloggio, la riunione in appositi spazi separati dagli altri alloggiamenti.

In attuazione a quanto disposto dall’art. 21 comma 7 del regolamento di attuazione, in ogni centro deve essere garantito l’accesso ai cittadini italiani e agli stranieri regolarmente soggiornanti che intendano far visita agli ospiti del centro. La direttiva precisa che tali visite devono essere preventivamente richieste dallo straniero trattenuto all’ente gestore del centro e autorizzate dalla prefettura competente. Nel caso in cui l’autorizzazione al colloquio venga negata, la prefettura deve darne comunicazione scritta allo straniero entro 48 ore dalla ricezione dell’istanza, ai fini di un eventuale impugnazione. In ogni struttura adibita a centro di permanenza temporanea devono perciò essere individuati appositi spazi per i colloqui e, a garanzia del loro possibile svolgimento, devono essere individuati orari di visita non inferiori a due ore al giorno.

Precisando ancora una volta le garanzie genericamente previste dall’art. 21 del regolamento, la direttiva disciplina il diritto dello straniero di comunicazione, anche telefonica, con l’esterno. A tal fine, le disposizioni ministeriali prescrivono che nelle aree comuni e nei corridoi degli alloggi siano installati un numero di apparecchi telefonici ad uso pubblico adeguati al numero di ospiti e comunque in un rapporto medio non inferiore ad un apparato telefonico ogni 25 stranieri. L’uso di tali telefoni così come di telefoni cellulari di proprietà dello straniero non deve essere soggetto a limitazioni, salvo quelle che temporaneamente possono essere disposte dall’autorità di pubblica sicurezza per motivate esigenze di tutela dell’ordine pubblico. L’ente gestore deve altresì provvedere ad assicurare agli ospiti un servizio per la spedizione e la ricezione della corrispondenza epistolare e telegrafica. Per disposizione della direttiva in esame, inoltre, la direzione del centro è tenuta ad affrancare a proprie spese un massimo di 10 lettere e a spedire fino a 3 telegrammi di 20 parole per tutto il periodo di permanenza. L’ente gestore è invitato ad avvalersi dell’attività di associazioni di volontariato, cooperative di solidarietà o enti che, sulla base di una maggiore esperienza e specializzazione, siano in grado di fornire la collaborazione relativa ai servizi di interpretariato, informazione legale, mediazione culturale, supporto psicologico e assistenza sociale.

 

La dura realtà e le polemiche intorno ai Cpta

Un agghiacciante riserbo oscura le informazioni sui Centri di Permanenza Temporanea; sappiamo che ne esistono 11 in Italia – Torino, Milano, Modena, Bologna, Roma, Restino (Brindisi), S. Foca di Modugno (Lecce), Lamezia Terme, Trapani, Caltanisetta, Agrigento – oltre ai centri ibridi che funzionano come centri di identificazione dei richiedenti asilo, secondo la Legge Bossi-Fini, ma che hanno caratteristiche pressochè identiche. Molte prefetture negano i dati statistici sul numero dei reclusi, la loro provenienza, le modalità del rilascio, e rimandano al Ministero dell’Interno che in genere rilascia dati molto frammentati e disomogenei. Non è dato accedere ai centri se non ai parlamentari e ai rappresentanti dell’ACNUR, che poco o nulla sfruttano questa possibilità. Gli enti gestori, ormai definitivamente cooptati alla logica detentivo-punitiva, non permettono l’accesso ai giornalisti, e da qualche tempo neppure ai funzionari degli enti locali che ospitano questi luoghi. Nel gennaio 2004 la missione italiana dell’importante associazione umanitaria Medici senza Frontiere, la prima organizzazione indipendente a poter entrare nei Cpta per un’indagine completa sulla realtà umanitaria di questi centri, ha denunciato le violazioni dei diritti umani e le inadempienze rilevate da decine di medici, avvocati e assistenti sociali. Il principale obiettivo della ricerca di Msf è stato quello di valutare le condizioni sanitarie e sociali all’interno dei Cpta, lo stato delle strutture, i metodi di gestione, gli standard dei servizi forniti, il rispetto delle norme rilevanti nonché eventuali differenze tra un centro e l’altro. Accusata di slealtà dal Governo, si è vista chiudere i battenti di Lampedusa – dove aveva operato esternamente dal luglio 2003 – e preclusa ogni visita ulteriore ai Cpta.

Secondo il rapporto di Amnesty International, intitolato “Italia: presenza temporanea, diritti permanenti”, i Cpta presentano talvolta infrastrutture inadeguate: alcuni detenuti sono stati sistemati in alloggi provvisori e container inadatti al soggiorno prolungato; altri sono stati esposti a temperature estreme; altri ancora sono stati trattenuti in condizioni di estremo sovraffollamento. Alcuni centri hanno uno spazio esterno o interno per attività ricreative troppo piccolo, altri ne sono privi. In alcuni centri i detenuti sono stati tenuti all’interno per la maggior parte del tempo e hanno avuto un accesso all’aria aperta estremamente limitato.

Inoltre il rapporto denuncia la sporcizia e le condizioni insalubri di alcuni centri, così come casi di mancata fornitura di prodotti per l’igiene, lenzuola, biancheria e vestiti adeguati e puliti. 

Ci sono state denunce, sottolineate da Msf, di inadeguata assistenza medica, inclusa quella psicologica e psichiatrica, così come vi sono prove dell'eccessiva prescrizione di sedativi e tranquillanti e di carenze nelle misure prese per prevenire il diffondersi di epidemie.

Fra i detenuti dei Cpta, scrive Amnesty, vi sono numerosi casi di autolesionismo, apparentemente a causa dell'estrema frustrazione, incetezza e ansia per il futuro, mancanza di informazioni sulla loro sorte e risentimenti fra alcuni degli ex carcerati che percepiscono la detenzione nei Cpta come un'ulteriore punizione in aggiunta alla condanna al carcere già scontata.

Il rapporto di Amnesty International, che si propone all’attenzione dei lettori, riflette la forte preoccupazione in merito alla compatibilità dei centri di permanenza temporanea - attualmente funzionanti in Italia, in cui, a vario titolo, sono detenuti cittadini stranieri (migranti irregolari e richiedenti asilo) - con alcuni elementari principi di civiltà giuridica.
Il rapporto sottolinea specifici e circostanziati dati di fatto, idonei a integrare la violazione delle leggi e degli standard internazionali posti a tutela dei diritti umani fondamentali dei richiedenti asil e dei migranti.
In particolare, il rapporto segnala: a) l’incremento esponenziale delle denunce relative ai maltrattamenti fisici e alle precarie condizioni di vita cui i detenuti sono costretti, in uno stato permanente di mancata (o meramente occasionale) assistenza sanitaria e legale; b) la crescente restrizione dell’accesso ai centri, accesso ripetutamente negato all’Ufficio dell’Alto Commissario per i Rifugiati delle Nazioni Unite, agli stessi rappresentanti di Amnesty International, agli esponenti delle principali Organizzazioni non governative operanti nel campo dell’asilo e dell’immigrazione, a parlamentari italiani, giornalisti e attivisti religiosi; c) il disconoscimento dello status dei richiedenti asilo, illegalmente trattenuti nei centri di permanenza temporanea per poi essere rimpatriati; d) l’ormai cronica confusione e scarsa distinzione delle funzioni dei vari tipi di centri ultimamente denominati “centri polifunzionali”; e) l’assenza di un organismo nazionale indipendente di controllo e di ispezione, munito del mandato di effettuare visite “a sorpresa”, così come stabilito dagli standard internazionali.

 

[1] Coordinatore Stefano Anastasia.

Tutore: Gennaro Santoro