Free cookie consent management tool by TermsFeed Policy Generator «Questa negra è pazza» Razzismo a Ciampino, Il Manifesto, 04/10/08

«Questa negra è pazza» Razzismo a Ciampino, Il Manifesto, 04/10/08

«Questa negra è pazza» Razzismo a Ciampino
Un’italiana di origine somala denuncia: «Umiliata e trattenuta nuda in aeroporto» La polizia: «È una trafficante di droga»
Carlo Lania
ROMA

Insultata, costretta a restare per quattro ore nuda e in piedi di fronte a sconosciuti in una stanza dell’aeroporto di Ciampino. Trattata come una trafficante di droga e, infine, denunciata. E sempre, in ogni momento, quell’insulto odioso, «negra», sputato in faccia per offenderla e impaurirla.
Dopo le violenze compiute sullo studente ghanese di Parma e su un cittadino cinese a Roma, questa volta è toccato a un’italiana di origine somala - Amina Sheilkh Said, 51 anni - essere aggredita e intimidita per il colore della sua pelle. Protagonista dell’episodio - stando a quanto denunciato dalla donna e dall’associazione Antigone - sarebbe il personale della polizia di frontiera e dell’agenzia delle dogane in servizio nello scalo romano, che il 21 luglio scorso l’avrebbero trattenuta e insultata senza motivo per oltre sette ore prima di rilasciarla. Una versione contestata ieri dal dirigente della Polizia di frontiera a Ciampino, Remo De Felice, per il quale la donna «ha precedenti per traffico di stupefacenti». «E’ falso», replica Luigi Mancuso, il marito di Amina. «Siamo stati segnalati solo perché trovati in possesso di chata edulis, una sostanza usata in Somalia durante le feste». Su quanto accaduto Amina e suo marito, assistiti dall’avvocato Luca Santini – hanno presentato una denuncia contro ignoti in cui si ipotizzano i reati di ingiuria, minacce, violenza privata e perquisizione arbitraria con l'aggravante dell’odio razziale.
Anche se i fatti risalgono a più di due mesi fa, la denuncia di quanto accaduto è arrivata solo ieri. «Per motivi tecnici», spiega l’avvocato Santini in modo da sgomberare il campo da possibili strumentalizzazioni. «Prima le ferie, poi il tempo per la famiglia Mancuso di trovare un legale e infine, visto che la signora è stata denunciata per resistenza a pubblico ufficiale, anche il tempo di decidere una strategia difensiva». Seduta sul divano della sua casa al Villaggio Olimpico di Roma, e con accanto marito e avvocato, Amina ricostruisce quanto le è accaduto. «Sono in Italia dal 1984 - racconta - e un episodio di razzismo come questo non mi era mai capitato». Suo marito, Luigi Mancuso, è un impiegato dell’Agenzia delle entrate convertito all’islam e oggi è anche giudice dell’associazione italiani-musulmani e autore di alcuni testi in arabo. Dal loro matrimonio sono nati quatto figli, due dei quali, i più grandi, hanno un cognome arabo perché al momento della nascita Mancuso era ancora sposato con una donna italiana. E proprio la differenza dei cognomi potrebbe essere all’origine di quanto accaduto a Fiumicino.
Come tutti gli anni, anche il 21 luglio scorso Amina torna da Londra con i nipoti, quattro bambini tra i sette e dieci anni. Il volo della Ryanair atterra a Ciampino verso le nove e Amina comincia le normali procedure per uscire dallo scalo. I primi problemi nascono quando mostra a un agente il suo passaporto e quello dei nipoti. «Capisco che qualcosa non va - dice - anche se non so cosa. Poi gli agenti cominciano a dire ad alta voce ‘kidnapping, kidnapping’». La diversità dei cognomi dei bambini fa forse pensare agli agenti di trovarsi di fronte a una donna che dopo aver rapito dei minori, cerca di farli entrare clandestinamente in Italia. «Cerco di spiegare, ma non ci riesco», dice. Dopo un po’ viene fatta entrare in una stanza e - dopo che un dirigente ha ordinato agli uomini presenti di uscire - viene perquisita e le viene ordinato di spogliarsi. «Obbedisco, e rimango con indosso il solo reggiseno», racconta.
Nella stanza la tensione cresce. Una donna poliziotto ordina ad Amina di assumere diverse posizioni, e lei obbedisce. Poi un’altra agente le si avvicina indossando dei guanti in lattice. L’intenzione è quella di praticarle una perquisizione anale e vaginale per verificare che non trasporti droga. «A questo punto mi rifiuto, o almeno chiedo che a farla sia una medico», dice Amina. La reazione degli agenti è violenta. Una donna comincia a urlare: «Questa negra è pazza, io la porto al centro di igiene mentale». Ma anche: «Sei negra fuori e negra dentro». Poi minacciano di toglierle i bambini. Per più di quattro ore Amina resta nuda nella stanza e «di fronte a un numero imprecisato di persone» che entrano e escono dalla stanza nella speranza di convincerla a sottoporsi alla perquisizione corporale. E nel frattempo, sempre secondo la sua denuncia, le viene anche negato di chiamare un avvocato o il console britannico, visto che sia lei che i nipoti hanno la doppia cittadinanza italiana e britannica.
Alla fine Amina viene trasportata in ospedale per le radiografie che devono mettere fine a ogni dubbio sul presunto traffico di droga. Ma anche il trasporto in ambulanza rappresenta un’umiliazione per donna. Ammanettata su una barella, il corpo le viene coperto con un cellophane. Dalle radiografie, ovviamente, non risulterà nulla.
Ieri ssera, dopo che la famiglia Mancuso ha reso nota la sua denuncia, dalla polizia di frontiera è arrivata una diversa versione dei fatti. «La donna è stata sottoposta ad approfonditi accertamenti perché aveva con sé quattro minori», ha detto il dirigente di Ciampino Remo De Felice. «Dai controlli è emerso che aveva precedenti specifici come ’ovulatrice’ (chi trasporta droga nascosta in ovuli ingeriti), per questo le è stato chiesto di sottoporsi a un’ispezione corporale». Diversa l’opinione del legale di Amina: «Non è vero che ha mai avuto precedenti come trasportatrice di droga e non ha mai subito condanne per traffico di stupefacenti», ha detto Santini. «La signora è stata soltanto destinataria di un’indagine per aver usato la ’chata edulis’, una pianta tradizionalmente usata per la masticatura nella cultura somala, ma non è mai stata condannata».